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明るさ (Leggerezza)


"La mia scrittura non è altro che l'elogio che io, semplice essere umano, sia in grado di tessere alla vita, per dimostrarle riconoscenza, e allo stesso tempo rabbia, per tutto, per tutti" -cit.

Il respiro si era fatto pesante, quasi come se i polmoni avessero smesso di funzionare correttamente, modificando la loro semplice essenza carnale in qualcosa di pesante, di terribile, come il piombo; la testa si era fatta d'acciaio in un primo momento, greve, dal peso insostenibile per un semplice essere umano e poi, quasi fosse stata una forza superiore ad intervenire, demoniaca o angelica, buona o cattiva, leggera, come idrogeno, l'elemento più leggero. Con forza immane, data dalla disperazione del momento, dall'angoscia, dal terrore, si era portato le mani alle tempie, stringendo forte, facendosi male: non riusciva ad avere il controllo di sé stesso, si sentiva leggero, troppo leggero, di una leggerezza terribile, tangibile; si sentiva inconsapevole, di quell'inconsapevole terribile inconsapevolezza che dicono dia la droga, che molti ricercano, cercando la leggerezza, cercando l'allontanamento del peso di ogni preoccupazione, di ogni peso appunto, di cui la vita umana è colma, quasi come se la sua essenza stessa non fosse la vita, ma la pesantezza. Alex aveva sempre avuto paura di tutto ciò che è pesante, sia elemento fisico (un peso troppo elevato da sollevare) sia astratto (una sensazione terribile, una responsabilità troppo grande): aveva sempre associato, sin da quando era più piccolo, la pesantezza a qualcosa di terribile, a qualcosa da evitare a ogni costo, eppure solo quel giorno si rendeva conto che non era l'essenza del pesante a fargli paura, quanto la leggerezza, l'insostenibile leggerezza del perdere il controllo, la terribile, mastodontica leggerezza di non sapersi controllare, di non saper trattenere le lacrime, la paura e, in quel momento, la strana sensazione che stava provando, e non capiva, proprio ora, perché gran parte delle persone, dei suoi coetanei, dei suoi amici fosse così determinata a raggiungerla, tramite l'alcool, con la perdita di cognizione della propria persona data dall'inebriante calore causato da troppo vino, o tramite la droga, con il suo inesorabile, distruttivo, letale e lento bruciare la psiche umana. E si rendeva conto che avrebbe preferito sopportare qualunque problema, dall'insufficienza in matematica al rifiuto di quella ragazza che gli piaceva tanto, situazioni che fino a qualche minuto prima considerava terribili, invece di provare quello che provava in quel momento, ovvero la totale incapacità di provare qualcosa che non sia totale assenza di controllo. E provare l'assenza di controllo è l'incapacità di provare qualcosa, di sentire qualcosa: è il perdere la coscienza, tragica e amara, ma necessaria e importante allo stesso tempo, di sé stesso, è il perdere la propria umanità, è l'abbassarsi al grado di oggetto inanimato, come un sasso, o una biro mangiucchiata da una ragazza troppo ansiosa. Alex sentiva soltanto la propria anima, e non avvertiva il suo corpo di quindicenne, la sua pesantezza rassicurante, e ne aveva paura, paura perché non si sentiva vivo, e pregava Iddio, o chi (o cosa) per lui, che quel momento finisse, che qualcosa di pesante (lui, lui che aveva sempre odiato la pesantezza) tornasse a fargli visita, per rassicurarlo, per allontanare da lui la visione di una donna troppo bella, troppo perfetta, per essere una creatura della Terra, dai lunghi capelli corvini e dalle forme sinuose, che si avvicinava verso di lui, per poi tramutarsi, da corpo femminile, in una chiazza di luce abbagliante nella sua oscurità, che Alex credeva dovesse essere la morte. Eppure non era la morte, ma era la Paura.  E in quel momento riprese coscienza di sé stesso, cacciò un urlo, e finì a terra stremato, disperato e allo stesso tempo felice, ringraziando un'entità soprannaturale che la sua mente aveva figurato come una donna bellissima (frutto probabilmente, dei troppi libri e racconti fantasy di cui si nutriva fino a solo l'anno precedente).
Ed era Felice per aver recuperato il suo corpo.
Felice per aver recuperato i suoi pensieri (che erano in quel momento : "Che cosa diamine mi è successo?").
Felice per aver recuperato sé stesso.
Felice per aver recuperato la sua umanità.
Felice per aver recuperato la sua vita, la sua pesantezza.
Felice di aver abbandonato per quel giorno la Leggerezza, e allo stesso tempo felice, in un controsenso meraviglioso, controsenso che paragonava ad un vortice blu e giallo (colori che sua madre considerava terribili insieme),  di averla sperimentato, e capiva perché provasse quella felicità contrastante: perché la felicità, si diceva, è il più perverso, il più contraddittorio e insensato dei sentimenti umani, che ben si dice al più grande paradosso, l'uomo.



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