KISSES WITHOUT LOVE
E l'aveva stretto, fra le sue braccia, baciandolo. Non lo baciava per amore, ma per convenienza, per sentirsi al pari delle altre, per sentirsi accecata,
per poter dire, finalmente, di aver baciato un ragazzo, un uomo, nella sua auto, in quella di lui. Lui, con la sua lingua, famelica, non di parole, ma di fatti, si apriva un varco in quella di lei, con passione, con ferocia. Nel frattempo lei indugiava, con la mano destra sulla schiena di lui, stringendo a sé quelle spalle possenti, muscolose, strette nella camicia troppo piccola, mentre con la sinistra gli accarezzava la nuca, pizzicandosi con i suoi capelli quasi a spazzola. Avrebbe (lei) dovuto sentirsi felice in quel momento, ma non era felicità quella che provava, ma disgusto. Sentiva un brivido lungo il suo corpo attraversarlo e scuoterlo, come fosse una marionetta, per poi concentrarsi all'altezza della spina dorsale. Si sentiva male, e aveva paura e, mentre ancora lui indugiava sulle sue labbra, chiudeva gli occhi, e piccole lacrime scendevano sulle sue guance. Non era così che aveva immaginato il primo bacio d'amore (e quello, comunque, non era il suo primo bacio, ma uno di quella lunga serie di baci che aveva condiviso, in quell'anno, con diversi uomini). Baciare un uomo per il quale non si prova nulla le aveva sempre fatto paura, se non schifo, e ogni volta, pur promettendosi che non l'avrebbe più fatto, vi ricascava, come l'uomo che, sentendosi male per l'assunzione di acidi, o anfetamine, più volte, continua a farne uso in modo spropositato, danneggiando non solo sé medesimo, ma anche i propri cari. E in quel momento, con gli occhi ancora chiusi per nascondere la tristezza ( i suoi occhi, velati di pianto, tradivano infatti tutte le emozioni che aveva nel suo intimo, emozioni che spesso lei stessa non si rendeva conto di avere nel cuore), e le lacrime, e, per evitare di guardare il viso di quell'uomo che, famelico, si avventava sulle sue labbra, rivedeva il volto di sua madre e di suo padre, quello del ragazzo che veramente amava (e che lui non avrebbe mai amato), e quello della sua amica più intima, torto in uno sguardo di disprezzo, rabbia e disappunto, guardo che le colpiva il cuore e la mente, con una forza maggiore di un proiettile puntato, in una russian roulette, da una revolver sulla nuca. E stava male non per il disappunto dei cari, di quello non le importava quasi nulla (non si curava mai di quello che gli altri potevano pensare di lei, perché sapeva che, quelli che giudicano l'azione di un qualcuno al di fuori di loro stessi, sono i primi poi a compierla, e, nascondendosi nell'ipocrisia de "Io non l'ho mai fatto", criticano, pur essendo i primi, nel migliore dei casi a riconoscere, con una punta di disprezzo nel cuore e nella spina dorsale, che ancora loro, in quella determinata situazione e momento, avrebbero fatto la stessa cosa), ma per il semplice fatto che le sembrava di vedere i loro occhi, marroni e verdi, i suoi sentimenti, e la sua colpa, come in uno specchio, e sopratutto il disgusto che provava per sé medesima, ogni volta, in una simile situazione. S'immaginava l'amore non come un sentimento, o come qualcosa di astratto, o, come nel più normale dei casi, farfalle che, impazzite, volano nello stomaco, come alla disperata ricerca di una rosa su cui posarsi. Per lei l'amore era sofferenza nei confronti dell'amato, data dalla gelosia o dal dispiacere, eterno tormento, ma era un tormento e un dispiacere e una sofferenza che voleva provare, che mai aveva provato e che avrebbe dato qualunque cosa di più caro aveva per sentirlo su di sé anche per un solo secondo, un solo istante. Sentiva l'amore come la più disperata delle sensazioni, come il malanno più duro da un unico rimedio: il sorriso e gli occhi dell'amato.
Lui, finalmente, si staccò da lei, forse avendo capito che lei non contraccambiava la sua passione, il suo desiderio, il suo bacio, dato da lui non per volere di lei, ma per mera brama di lei. E, guardandolo negli occhi, si rendeva conto che in quelli di lui non c'era sentimento, ma pura bramosia, puro capriccio. E, incurante dei suoi pensieri, lo prese di nuovo fra le braccia, baciandolo forte, famelica, simili i suoi baci a leccate animali, dettate dal desiderio disinteressato, dalla foga del momento. E, nel momento in cui lui avvicinò la mano alla sua coscia, colpì il misfatto.
L'unica cosa che ricordava era la mano di lui accarezzarla il corpo, preso dal desiderio del Proibito, indugiare sulle sue spalle, scendere rapide e poi feroci verso i suoi pantaloni. E in quel momento lei stessa capì di essere fatta, di essere una mera bugia, una contraddizione ambulante, e di non aver fermato ciò che aveva sempre odiato, insomma, capì di essere debole. L'ultima cosa che vide fu, chiudendo di nuovo gli occhi, il volto del ragazzo che veramente amava, Alex. E nuove lacrime attraversarono, belle e livide e dolenti, le sue guance, scendere lente, inesorabili, dolorose come una lama di un coltello che attraversa una gola, fredda e ghiacciata.
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