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ALCUNI ANNI PRIMA...
Ancora una volta, l'auto della polizia si fermò davanti casa Arcangelo. Fuori regnava ancora il buio, ma oltre le colline si poteva intravedere qualche raggio di sole: l'alba era ormai vicina.
Dalla parte del conducente scese un uomo con indosso la divisa blu, tipico delle forze dell'ordine di cui faceva parte. Senza troppi indugi e pensieri, andò a bussare alla porta della grande casa. Mentre attendeva che i proprietari aprissero la porta, con la coda dell'occhio sbirciò la figura dentro la sua auto. Il ragazzo, seduto vicino al posto del conducente, aveva la testa coperta dal cappuccio della felpa e per far passare il tempo di attesa si era messo a giocare con la radio.
-Agente Ross.-lo chiamò una voce ancora assonnata.
Oltre la porta si presentò un uomo alto e dal corpo tonico nonostante l'età. Occhi sottili, che scrutavano attentamente la situazione, infatti non ci mise più di 20 secondi a capire il tutto.-Lucky...-pronunciò il nome del proprio figlio in modo aggressivo.
L'agente Ross si mise davanti all'uomo, fermandolo dal suo intento.-Vincenzo, non è il caso...te lo chiedo da amico.-disse con voce sincera e sguardo docile, quasi implorandolo di non fare nulla di avventato al ragazzo.
Dall'auto Lucky guardava la scena di discussione tra suo padre, Vincenzo, e l'agente. Nella sua mente si immaginava cosa sarebbe successo non appena i suoi piedi avrebbero calpestato le piastrelle nuove della propria casa, e anche il solo pensiero lo faceva rabbrividire.
Guardò il cellulare: nessun messaggio da lei.
Appena sentì la portiera dell'auto aprirsi, mise velocemente il cellulare nella tasca dei jeans.
L'agente Ross, con il solo movimento del capo, lo indirizzò verso suo padre.-Dai, torna a casa. Per questa volta non ti faccio nulla.-
Il ragazzo abbozzò in un sorriso di ringraziamento, e a fatica, scese dalla vettura, incamminandosi così verso la propria abitazione.
Vincenzo Arcangelo, padre del ragazzo, lo aspettava all'uscio della porta, con le grosse mani incrociate al petto e con uno sguardo freddo e sottile. Entrò per primo in casa, lasciando il figlio alle sue spalle.
-Siediti.-ordinò con voce dura non appena il figlio entrò in casa.
Lucky fece come ordinato, mettendosi seduto al piccolo bancone di marmo che costituiva la zona bar. Il padre, evidentemente arrabbiato, si versò due dita di Whisky e 2 cubetti di ghiaccio in un bicchiere tipico per quell'alcolico.
Il figlio guardava in silenzio tutti i procedimenti del padre, e solo alla fine aprì bocca.
-Non mi scuso.-
Le parole del ragazzo fecero scaturire una risata quasi torva da parte del padre. Si portò il bicchiere alle labbra ma prima di sorseggiare si rivolese al figlio.-Sei patetico.-e detto ciò si lasciò al Whisky.
-Sono come te.-ribatté Lucky, assumendo uno sguardo simile a quello del padre; in fin dei conti, loro due si assomigliavano più di quanto avrebbero ammesso.
Vincenzo, sorpreso della risposta azzardata del proprio figlio, posò in maniera aggressiva il bicchiere sul bancone, rischiando quasi di romperlo. Tale gesto fece sussultare Lucky.
-Se sei come me.-iniziò l'uomo, poggiandosi con le grosse mani sulla lunga lastra di marmo bianco, avvicinando la propria faccia a quella del figlio.-Paga per le tue cazzate. Intendo...-si fermò, riuscendo a leggere la suspence nei occhi verdi di Lucky.-Che da domani andrai nella stessa scuola di tua sorella.-
Il quel momento l'aria venne a mancare per il giovane ragazzo moro, si sentiva come se fosse appena stato colpito alla gola.-Scusa?-chiese, convinto di aver sentito male.
Vincenzo si allontanò del viso ormai pallido del figlio.-Da domani smetterai di frequentare quella scuola per teppisti e drogati, andrai nella scuola privata, la stessa di tua sorella Amaya.-ripeté con voce più calma, sorseggiando fra una parola e l'altra il liquore.-Ti avevo già iscritto e aspettavo proprio questo, un tuo passo falso per mandarti. Così vedremo se imparerai a stare al mondo.-
Dentro di sé Lucky si sentiva bruciare, voleva alzarsi, prendere la sedia e sbatterla in testa a quel pagliaccio del padre, ma si limitava a guardare il pavimento e a stringere i denti, consapevole che doveva stare alle decisioni del vecchio.-Va bene padre.-sussurro lievemente. Dire quelle tre parole erano la cosa più difficile al mondo. Odiava dare ragione al padre, ma la paura aveva un ruolo fondamentale nel loro rapporto padre figlio.
Ormai arreso, e dispiaciuto, si incamminò verso camera sua, salendo le scale e andando direttamente nella stanza. Per la frustrazione iniziò a mettersi le mani nei capelli, camminando avanti e indietro e borbottando parole incomprensibili.
-Cazzo!-gridò dando un forte pugno nell'armadio.
Il colpo fu talmente forte che nel mobile rimase il segno del pugno.
Per calmarsi si sedette sul margine del letto, tenendosi la testa tra le mani. Il padre aveva giocato sporco, come suo solito. Aveva approfittato della situazione per incastrarlo e mandarlo nella scuola da lui scelta.
La porta si aprì leggermente, piano come per non fare rumore. Sotto lo stipite si comparì una ragazza bionda e dal corpo molto sviluppato per la giovane età di 16 anni.
-Amaya, giorno.-il fratello cercava di sembrare il più calmo possibile, non voleva spaventare la sorellina.
Sbadigliando accennò ad un "buongiorno" e stiracchiandosi guardò meglio la stanza, vendendo così il segno del pugno nell'armadio.-Hai litigato ancora con papà?-intuì lei, guardando il fratello spostarsi continuamente i capelli all'indietro, tipico suo segno di frustrazione.
Lucky si alzò dal letto e con passo lento oltrepassò l'intera stanza per poi fermarsi davanti alla cara sorella.-Tranquilla patata, è tutto ok.-disse con un sorriso credibile e con l'infallibile occhiolino.
Amaya odiava essere chiamata così, però sentirselo dire da suo fratello era diverso, trasmetteva una certa dolcezza, cosa molto rara da parte del moro.-Va bene fratellone.-si alzò in punta di piedi, essendo molto la differenza di altezza tra i due, e lasciò un bacio sulla guancia, accompagnato da.-Ti voglio bene. Ho saputo da papino che verrai nella mia stessa scuola, così posso mostrare Lucky, il mio fratellone figo.-
Lucky sorrise, questa volta sinceramente. Certe cose solo Amaya era in grado di fare, come strappare, anche se piccolo, un sorriso.-Già, staremo più tempo assieme. Ora vai a fare colazione, io ti raggiungo.-
La sorella fece come detto, chiudendosi la porta dietro.
Era buffo come suo padre aveva calcolato tutto. Sapeva dall'inizio che Lucky non si sarebbe ribellato alla sua decisione, e se avesse provato, il solo pensiero di deludere Amaya lo avrebbe fatto cambiare subito idea. Non c'era modo di cambiare le carte in gioco.
-Bastardo...-ringhiò a denti stretti.
•••
Ok, un personaggio è stato introdotto. Bene, mostrerò i vari personaggi, così è più facile "immaginarli".
Partiamo con la famiglia:
Lucky E. Arcangelo. Origini italiane, primogenito della famiglia Arcangelo.
Amaya Arcangelo. Origine Americane, adottata dalla famiglia di cui porta il cognome.
Vincenzo Arcangelo. Padre dei due.
L'ultimo personaggio, nonostante non sia in questo capitolo, è la madre, Mia Arcangelo. Origine anch'esse Italiane.
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