CAPITOLO 9
~ANNA~
"Preferirei dover rimettermi a curare le mie ferite piuttosto che sentir raccontare come le ho ricevute."
(Coriolano) - WILLIAM SHAKESPEARE
Saluto la barista, che si rivolge a me con un sorriso e mi chiede se voglio il solito. Appoggiata al bancone, confermo e tamburello le dita, mentre lei fa il caffè.
Prendo la tazzina e mi siedo vicino alla vetrata affacciata sulla strada e lo sorseggio. Le panchine del parchetto sono vuote e i passanti mi camminano veloci davanti.
«Buongiorno! Un espresso, per favore», la voce del mio capo risuona alle mie spalle e mi fa saltare un battito; mi volto di scatto.
«Questo troglodita non fa altro che perseguitarmi», sussurro e faccio un respiro profondo, gonfiando il petto.
Indossa un completo nero con la camicia bianca che gli sottolinea il fisico a triangolo in un modo che toglie il fiato, il fazzoletto rosso che sbuca dalla tasca della giacca a doppio petto gli dona un tocco di classe in più.
Classe, che in realtà non ha. La sua apparenza inganna. I capelli neri sono pettinati così bene e alla moda che probabilmente avrà i parrucchieri personali a casa. “Sì, sicuramente. Un megalomane come lui, figurati se non ce l’ha”.
La sua aura, all’apparenza tranquilla, attira l’attenzione e incute rispetto. I presenti si sono ammutoliti, addirittura Mari, che non smette mai di sorridere, ha le labbra piegate in una “o”, affascinata dalla sua aura di mistero e potenza.
Diverse colleghe, due tavoli più in là, se lo stanno letteralmente divorando con lo sguardo.
“Vi prego…” alzo gli occhi al cielo; è umano, come tutti. Non capisco perché faccia sempre quest’effetto alle persone.
La me cocciuta vorrebbe andare da loro e raccontare come stanno le cose per distruggere i loro castelli di sabbia, ma in realtà poco importa. Se non fosse il mio capo, lo avrei preso a calci in culo.
“Perché questo… arrogante dev’essere così attraente?” mi mordo il labbro, scuotendo la testa.
“Smettila di pensare a lui in quel senso, Anna! Ricordati, che è uno stronzo senza precedenti!” distolgo alla svelta lo sguardo e gli do le spalle per sorseggiare anche l’ultima goccia di caffeina.
“Bevi Anna, perché puoi scommetterci le penne che ti servirà”.
«Signorina Giordania…»
Resto col cuore in gola. Chiudo gli occhi, arricciando le labbra. Avrei tanto voluto che non mi avesse riconosciuta, ma mi obbligo a voltarmi lentamente verso di lui. Regge la tazzina con noncuranza a un soffio dalle sue labbra piene, distese in un sorriso ironico, mentre mi misura con lo sguardo.
I suoi occhi sono freddi, eppure i giochi di luce che nascondono all’interno sono caldi. L’oro e il verde dalla fitta vegetazione si mescolano tra loro, creando l’unicità assoluta.
Un brivido mi attraversa il corpo. Deglutisco la pallina che mi si è formata in gola e lo saluto a fatica: «Buongiorno, signor Bailey».
Lui si avvicina al mio tavolo con passo felpato, ma deciso. Tamburella le dita lunghissime e affusolate contro la tazza, come se stesse contemplando la sua prossima mossa. Nell’indice e nel medio ha dei tatuaggi incomprensibili, sembrano geroglifici.
“Cosa significheranno?” Distolgo lo sguardo alla svelta per non aggrottare la fronte e fargli capire che mi hanno incuriosita.
«Oggi ha qualche altra lezione per me?»
“Ma perché si deve comportare così?” il cuore inizia a battere con più insistenza contro la gabbia toracica.
Un calore denso mi si espande nel collo. Sento un mix di imbarazzo e rabbia, e non so quale dei due avrà alla meglio.
«Do lezioni gratuite solo quando non ho altra scelta, signor Bailey», cerco di tenergli testa, ma la voce mi tradisce, tremando appena.
«Pensavo che oggi saresti stata più… docile», afferma sogghignando.
“Cosa? Ma come si permette!”
Non ce la faccio a trattenermi, appoggio la tazza del caffè e mi alzo: «Perché si comporta così? La diverte giocare con le persone? O semplicemente non è in grado di intrattenere una conversazione matura e intelligente?»
«Non devo dare nessuna spiegazione a te di come mi comporto, ragazzina». Fa un passo avanti, come a enfatizzare la serietà della sua affermazione.
«Eppure è qui a intrattenersi con me sparando un mucchio di boiate, signore». Sputo velenosa tenendogli testa.
Il modo in cui mi squadra, coi suoi freddi occhi nocciola e le labbra contratte in una linea dura mi fa morire le parole in gola. Deglutisco a fatica, è la prima volta in vita mia che vedo un’espressione del genere: ira pura. Fa paura. Fa dannatamente paura.
«Bene. Sono contento. Se no, non sarebbe stato più divertente», afferma in tono duro, tornando strafottente.
“Cosa vuol dire?” Aggrotto la fronte, confusa stringendo forte l’angolo del tavolo fino a sbiancarmi le nocche.
«Ah, sono felice che lei si diverta, perché io no».
«Su signorina, quasi mi sento in colpa nell’averla stuzzicata così tanto». Continua a ghignare.
«Stuzzicata?» domando indignata prima di fare un sorriso sghembo pieno di rabia. Apro la bocca per dire qualcosa, ma la richiudo subito. Non posso versargli addosso tutto il veleno che porto dentro, è il mio capo.
Lui scrolla le spalle e gonfia il petto, guardandomi intensamente negli occhi. «Se non riesce a reggere delle battute, come fa a reggere… altro?»
Sgrano gli occhi, mentre una vampata mi si irradia dal collo fino a pervadermi le guance. Sogghigna come se avesse vinto al gioco che nemmeno sapevo stessimo giocando.
«È meglio se me ne vado, perché se parlo potrei dire qualcosa di cui potrei pentirmi».
Non voglio continuare questo gioco assurdo. È meglio se sparisco, rischio di entrare in guerra col mio capo e mi sono già resa abbastanza ridicola ad accontentarlo nel botta e risposta.
«Ma davvero? Peggio di ciò che mi ha già detto?» tiene gli occhi fissi su di me e beve un sorso di caffè.
«Sì, ma—» respiro profondamente, devo tacere o mi caccerebbe e così addio tirocinio.
“E poi perché la sua vicinanza mi turba così?”
I suoi occhi diventano nuovamente cupi, probabilmente sta immaginando ciò che gli direi. È così chiaro che è irrequieto, che mi sudano le mani.
“Perché fa paura, dannazione! Ecco perché”.
«Per essere così piccolina, hai la lingua lunga. E cosa le farei…» mormora.
“Aspetta, cosa farebbe a cosa? Alla mia lingua? Oh, mio Dio!” Quasi mi cade la mascella a terra. Il sangue inizia a scaldarsi, brucio dalla vergogna tanto da evaporare.
“Beh, ma che diavolo! Come si permette a dire certe cose?”
«Io la saluto. Devo entrare in ufficio», prendo la tazzina vuota, raggiungo in fretta il bancone e la appoggio. Mi devo trattenere per non sbatterla. “Docile un corno!”
«No! Aspetti, le offro il caffé e la seguo», dice, mentre osserva i miei movimenti.
«Non c’è bisogno, grazie. Ho i soldi per pagarlo», mi sento arrossire sotto il suo sguardo gelido. “Oh, Anna! Perché non stai mai zitta?”
«Ho detto che offro io», si rivolge a me in tono freddo e autoritario, come se fosse il padrone del mondo. È solo un cazzo di antipatico prepotente.
I nostri occhi si scontrano di nuovo; mi sembra di camminare su un tappeto di spine, ma lascio i soldi alla cassa sotto lo sguardo vigile di Mari e Nathan, che stringe la mascella. Senza voltarmi, mi dirigo spedita fuori dal bar.
Procedo per attraversare la strada, ma il semaforo è rosso. Mi fermo per attendere il verde e sento la sua presenza dietro di me, in pochi attimi mi è accanto. La sua vicinanza mi manda una scarica di brividi lungo le braccia.
Diversi colleghi ci stanno guardando mentre si sussurrano all’orecchio. Magari si stanno dicendo: “Guarda la nuova arrivata come si intrattiene col giovane capo. Forse vuole stare nelle sue grazie per raggiungere i suoi scopi.”
«Vorrei sapere», il suo tono perentorio non ammette repliche. I suoi occhi sono vigili e socchiusi, mentre si spostano sul mio volto come se volesse leggere i miei più intimi pensieri; il cuore mi martella il petto. «Vorrei sapere cos’ha da dire una ragazzina come te, su un tipo come me».
«E io le ho detto che non posso dirglielo, non ho voglia di farmi licenziare. Poi, perché mai a una persona come lei dovrebbe interessare la mia opinione?»
Ho lo sguardo fisso nei suoi occhi gelidi, una scossa elettrica mi percorre la spina dorsale. Il suo respiro genera un calore languido che si espande dalla gola all’attaccatura dei capelli, deglutisco a fatica.
«Non importa, per oggi non la licenzio». Aggiunge con voce dura come il ghiaccio.
«Ma perché lo vuole tanto sapere? Cosa le importa?» cerco di sembrare il più dura possibile, ma la mia voce interiore finisce la frase: “di ciò che pensa una ragazza qualunque?”
«Perché odio avere dei dubbi e odio quando la gente non dice ciò che pensa», lui fa un passo in avanti.
«Vuole davvero saperlo?» sostengo il suo sguardo con le mani sui fianchi.
Ma lui resta muto e un sorriso strafottente gli illumina lo sguardo mentre alza il mento e mi osserva dall’alto in basso. Un’altra scossa mi attraversa la schiena, ma questa volta non ho paura, sono solo furiosa.
«E va bene: glielo dico! Penso che lei sia un prepotente che crede di avere il mondo ai suoi piedi. Un megalomane e un tiranno che pensa solo a sé stesso e non si preoccupa del resto, oltre a essere un grande presuntuoso. Contento?» tiro il fiato, il petto mi si alza e si abbassa con difficoltà, i polmoni supplicano di essere riempiti.
«C’è altro che debba sapere, ragazzina?» domanda risoluto, mentre mi scruta il viso.
«Sì! Si atteggia come se tutti fossero i suoi servi e lei Dio sceso in terra».
Sostengo il suo sguardo con le narici che fremono. Ho il diritto di pretendere delle scuse, anche dal mio capo. «Non capisco cosa le ho fatto. Se è per l’altro giorno, mi sono soltanto difesa. Potevano licenziarmi!»
«Se è delle scuse che pretende, non le avrà», ha il viso cupo, gli occhi nocciola ancora fissi su di me, la postura dritta e impassibile.
«Cosa c’è di male ad ammettere di aver sbagliato?» domando, ancora più arrabbiata.
Mi rivolge un’occhiata talmente tagliente che un brivido mi fa accapponare la pelle. Le lacrime salgono, ma le soffoco e distolgo lo sguardo dal suo.
Alla fine, chi sono io per pretenderle? Una delle tante ragazze sciocche e insignificanti che lavorano nella sua azienda. Vorrei non avergli detto niente.
«Sono le nove, signorina», guarda il suo orologio da polso super costoso. «Farà tardi. Matilda si chiederà che fine abbia fatto. Buona giornata». Si allontana con passo deciso, seguito a presso dai suoi “man in black”.
Rivolgo lo sguardo verso il semaforo arancione e, ancora scossa, mi tocco la fronte come se dovessi togliermi di dosso il sudore e fermare le lacrime che stanno salendo in superfice. “Non provare a piangere in mezzo alla strada, Anna!”
Prima che scatti di nuovo il rosso, attraverso con passi malfermi e raggiungo il palazzo in cui lavoro. Mi ha chiamata ragazzina, come se stesse parlando con una bambina. Mi ha soltanto preso in giro ancora.
Chiamo l’ascensore e appena si aprono le porte, entro e rilascio le lacrime che ho trattenuto. "Speriamo che se ne torni da dove è venuto, il prima possibile. Quel brutto orco!"
Asciugo in fretta il viso e le scorrevoli si aprono. Sgattaiolo velocemente verso l’ufficio, sperando che nessuno si accorga che ho pianto, ma mi imbatto in Matilda appena fuori dalla porta.
«Buongiorno», sforzo un sorriso e distolgo lo sguardo per non farle vedere gli occhi lucidi.
«Buongiorno, Anna», mi passa accanto con un’occhiata, si ferma e si gira verso di me assottigliando lo sguardo. «È successo qualcosa?»
«Oh, niente di grave. Un po’ di allergia», mi affretto a risponderle e a controllare la voce perché non tremi più del dovuto.
«Sicura che vada tutto bene?» mi fissa con insistenza.
Faccio sì con la testa, ma faccio un lungo respiro e colgo la palla al balzo per le ferie. Ne ho davvero bisogno. «Matilda, vorrei parlarti un momento, se è possibile».
«Certo, seguimi». Mi conduce verso il suo ufficio, in fondo a sinistra. Mi fa accomodare e chiude la porta dietro di me. Con passi decisi si sposta alla scrivania, scrutando il mio volto con delicatezza.
«Volevo chiederti qualche giorno di ferie per andare a trovare i miei. Sarebbe possibile assentarmi?» le domando con una punta di agitazione nel petto.
Matilda controlla lo schermo, alza la testa e incolla i suoi occhi azzurri nei miei, annuendo. «Sì, è possibile. Ma ricordati che al tuo ritorno avrai molto lavoro da sbrigare».
«Certo. Grazie infinite» le rivolgo un mezzo sorriso.
Mi alzo e mi dirigo spedita verso la mia postazione, in parte sollevata.
Almeno una cosa non è andata storta, oggi, e la felicità di poter vedere i miei mi fa rilassare il cuore.
🥀●Spazio Autrice●🥀
Ciao cuoricini viola💜
Avete visto tutti questi cambiamenti? Cosa ne pensate?
Il POV di Nathan tornerà, ve lo prometto. Ma tenete presente che ho omesso diversi capitoli. Perché sarà una sorpresa quando o, se diventerà cartaceo.
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Come sempre vi ricordo che mi potete contattare per parlare con me su:
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Vostra, Kappa_07
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