CAPITOLO 6
~ANNA~
"Insegnami a scordarmi di pensare."
WILLIAM SHAKESPEARE
Arrivo a casa dopo una manciata di minuti, la mia amica mi aspetta sulla soglia con le braccia incrociate al petto e le sopracciglia sollevate. Mi ero completamente scordata del fatto che era rimasta a casa, oggi.
Appendo la borsa e la mantella dietro la porta e mi fermo un secondo sul divano giusto il tempo di tirare il fiato e rivolgerle un saluto.
«Ti avevo detto di prendere la macchina, oggi», mi rimprovera, sedendosi al mio fianco.
«Lo sai che odio non essere autosufficiente. Tu, tutto il giorno a casa?»
«Sì, è passato il padrone di casa stamattina e dopo che se n'è andato mi sono messa a disegnare dei capi, ma dopo te li farò vedere». Mi rivolge un'occhiata profonda. «Sembri stanca».
Sospiro: «Lo sono. Molto, moltissimo».
«Vuoi raccontarmi di cosa ti è successo stamattina?»
"Devo proprio?" mi avvio verso il bagno, dandole le spalle, e chiudo gli occhi. L'unica cosa che voglio fare in questo momento è una doccia lunga un anno.
«Certo, ma dopo il bagno caldo».
«Va bene, intanto io cucino qualcosa. Quando sarai pronta, voglio sapere tutto», mi punta un dito contro.
Annuisco, prendendo un lunghissimo respiro e mi chiudo la porta del bagno alle spalle. Mi ci appoggio per un secondo. Il giusto tempo, prima di spogliarmi e accendere il getto dell'acqua calda.
Mi seppellisco sotto il sifone e sento le mie ossa sciogliersi per via del calore, nella testa percorro tutta la giornata di merda che ho passato. Di fronte a me appare quella specie di diavolo, e nelle orecchie, al posto del suono dell'acqua contro la piastra della doccia, mi giunge l'eco della sua voce dal tono caldo e profondo.
Un brivido mi corre lungo la spina dorsale, prendo un respiro profondo per riempire i polmoni, le narici si dilatano e invece che il profumo del balsamo dei miei capelli, l'olfatto mi riporta alla mente il suo profumo illegale che sapeva di peccati.
Chiudo gli occhi, ho la mente offuscata e mi si intorpidiscono le membra, un languore mi scalda il basso ventre al ricordo della sua vicinanza, rovente proprio come l'acqua che mi lambisce la pelle.
"Che cosa cazzo stavo pensando?" mi passo le mani in volto, sciacquandomi, e un altro brivido mi corre lungo le braccia nel ripensare al modo in cui mi ha trattata e ai suoi occhi magnetici che mi guardano con superiorità, dall'alto in basso.
Mi ha liquidata, come se fosse stata tutta colpa mia. Sulla lingua sento il sapore amaro della rabbia che spazza via i miei strani pensieri, il sangue mi si surriscalda nelle vene.
Il suo volto mi riempie la mente, le sue labbra carnose si piegano in un ghigno crudele, ammorbidito dalla fossetta a mezza luna, appena nascente, e un formicolio mi corre nel basso ventre.
"Basta, Anna! Come ti viene in mente!"
Apro gli occhi di scatto, fremendo di rabbia, chiudo il rubinetto e mi avvolgo in un asciugamano.
Dio, che cos'ho che non va? Non posso essere attratta da un uomo che mi ha trattata in quel modo! È tutto sbagliato, tutti i miei pensieri sono sbagliati, quella specie di mostro non merita di appropriarsi dei miei pensieri.
Sospiro a lungo davanti allo specchio per calmarmi. "Tranquilla, per un paio di giorni non lo devi vedere, magari quando torni a lavoro lui se n'è già andato".
Mi vesto e, di nuovo calma, torno da Carmen e mi affosso nel divano. La mia amica mi rivolge un'occhiata pieno di affetto, quei due zaffiri che ha come occhi brillano nella mia direzione. Si avvicina e si siede di fianco a me. «Stai meglio, ora?»
Annuisco prendendo un lungo respiro: «Sì, meglio».
Mi soppesa con lo sguardo. «Vuoi dirmi che ti è capitato stamattina?»
Le scocco un'occhiata mortificata. Per quanto provi a scordare l'accaduto, non ho via di scampo, ma non voglio parlare del mio capo.
Resto vaga. «Nulla di che, sono caduta in strada e mi si è rotto il tacco».
«Mi dispiace, piccola, questo tempo non ha pietà per nessuno, l'importante che non ti abbiano licenziato», si stringe nelle spalle.
«Per fortuna non è successo...» Appoggio la nuca sulla testiera del divano e sospiro, portandomi le ginocchia al petto. Carmen mi osserva arricciando le labbra, però non insiste.
«Va bene, ho preparato i broccoli, proprio come piacciono a te». batte le mani sulle cosce, alzandosi.
Volto lo sguardo nella sua direzione e le rivolgo un sorrisino. «Sei la mia mammina, se tu non ci fossi creperei di fame».
«Sciocchezze, se io non ci fossi, non ci saresti nemmeno tu. Siamo in simbiosi, non possiamo vivere l'una senza l'altra», ride e mi porge la mano per alzarmi dal divano.
Mi isso e rido: «Probabile».
Una volta in cucina e dopo aver messo le pietanze in tavola ci sediamo l'una di fronte all'altra. La mia amica indugia con lo sguardo sulla mia figura. I suoi occhi mi trapassano, mi squadra sorridendo appena, e ogni volta che mi osserva in questo modo, con la schiena dritta, gli occhi penetranti, le labbra leggermente arricciate come se si trattenesse dal domandarmi qualcosa, capisco che è in pensiero per me.
«Secondo me, lo studio e il tirocinio che stai facendo adesso, ti stanno corrodendo. Sarebbe molto meglio se ti prendessi una pausa. Dopo l'esame, ovviamente».
"Quant'è vero", deglutisco e per evitare il suo sguardo mi allungo a prendere qualche broccolo con la forchetta. Lo mangio in silenzio e mi appoggio con la schiena sulla sedia.
«Anche perché solo tu potresti cadere per strada in quel modo», mi schernisce.
Alzo gli occhi al cielo. «Guarda che non sono caduta da sola. Mi stavano quasi investe-» stringo le labbra, questo non dovevo dirglielo.
Carmen volta la testa di scatto, le sue sopracciglia si piegano formando un solco in mezzo alla fronte. «Cosa? Perché non me lo hai detto subito, Anna?»
Pilucco il cibo che ho nel piatto e mi stringo in spalle. «Perché quello che mi ha quasi investito era il mio dannato capo. Il proprietario dell'azienda», sbotto di petto, tanto mi sono fregata da sola.
Se possibile, la mia amica resta ancora più confusa, le sue bellissime labbra a forma di cuore si aprono appena in un leggero "o". «Che cosa?»
«Quello che ho appena detto. Quel troglodita di un grande stronzo, che ho scoperto essere il mio capo, mi ha quasi investita!», con i nervi a fior di pelle getto la forchetta sul tavolo.
La fame mi è venuta meno, avrei tanto voluto lasciare quell'episodio in doccia.
La mia amica aggrotta la fronte: «Ma... come? Com'è successo? Hai attraversato col rosso? »
Sbuffo e mi passo le mani in volto, le spalle mi si incurvano appena. «No, attraversavo col verde, però sarà scattato l'arancione e poi il rosso, che ne so. So solo che il suo autista mi è strisciato accanto a una velocità spropositata e se non fossi stata vicino al marciapiede mi avrebbe investita in pieno».
Carmen mi guarda come se fossi un alieno o robe del genere, batte le palpebre diverse volte mentre mi ascolta sfogare la frustrazione.
«Accidenti che disastro», mormora.
"E non sai il resto..."
«Che cosa hai fatto? Gli hai impartito una lezione?» mi guarda con tristezza. «Conoscendoti ne dubito, però avresti dovuto».
Faccio una risata amara. «Avrei voluto, ci ho provato! Però lui mi ha liquidata come se fossi una scema. Mi ha detto: "La colpa non è del mio autista, è tua. Dovevi guardare bene prima di attraversare", stronzo!» mi appoggio allo schienale e incrocio le braccia al petto arrabbiata, sento il caldo divulgarsi fino alle guance.
Carmen, ha la schiena dritta e le spalle tese, chiude il pugno e stringe gli occhi in due fessure mentre mi trafigge coi suoi occhi cobalto. Sembra estremamente arrabbiata, anche più di me.
«C'è dell'assurdo. Ma come si è permesso?»
Le racconto tutto, mentre lei mi ascolta in silenzio. Qualche volta annuisce, ma la rabbia che sprigiona è palpabile.
«Che bastardo!» sbotta. «Può essere anche il tuo capo, Anna, ma non farti mettere i piedi in testa da una persona simile. Dovevi farti valere di più...» si alza e inizia a sparecchiare, ormai nessuna delle due ha più fame. «Anzi, dovevi dargli un calcio dove non batte il sole, così imparava a trattarti in quel modo!»
Sospiro e mi alzo a darle una mano. «Non sai quanto lo odio, Carmen. Poi dopo avermi provocata in quel modo di fronte ai miei colleghi è stato il colmo. Mi sono vergognata moltissimo. Aveva quel sorrisino che avrei tanto voluto dargli un cazzotto in faccia».
«Quel sorrisino glielo ficco su per il culo se lo vedo», sbotta la mia amica, mentre sciacqua i piatti prima di metterli nelle stoviglie.
Il ricordo di lui che mi guardava a quel modo strano mi si palesa davanti agli occhi e una vampata mi incendia il collo. Il modo in cui ha posato lo sguardo felino su di me e come ha aggrottato la fronte quando mi ha guardato le labbra mi lascia senza fiato.
"Fanculo!" sospiro, in ansia. Mi sento strana, non mi è mai successo prima di adesso e non mi piace affatto.
«Ha un ego smisurato», borbotto.
«Se lo può ficcare dove dico io il suo smisurato ego», afferma arrabbiata.
«Sì! E non ha nessun diritto di trattare le altre persone come se non contassero nulla. Credo che sia solo un ipocrita e un gran arrogante. Dovevi vedere come si sono comportati oggi in tutto l'edificio, non solo nel mio reparto. Sembrava come se stesse arrivando il dittatore in persona», concludo.
«Non posso crederci, dico davvero! Mi viene voglia di prenderlo a sberle».
Faccio un lungo respiro e mi avvio verso il soggiorno, dopo essermi seduta sul divano, mi lascio intorpidire le membra e cerco di rilassarmi appoggiandomi sullo schienale.
Per un momento la sua figura mi appare davanti agli occhi: tutto d'un pezzo, massiccio e muscoloso, mi fa un ghigno da sadico del cazzo in una chiara provocazione.
Apro gli occhi di scatto, e sbatto per un paio di volte le palpebre col cuore in gola.
"Sto diventando pazza per caso?"
«Disobbediente un corno!» esclama la mia amica mentre mi raggiunge. «Devi dirmi chi è, perché ho tanta voglia di impartirgli una lezione», mi guarda con la mascella serrata. È proprio nera.
Raccoglie i capelli in una coda e scuote la testa.
«Che te lo dico a fare. Lui è potente». Alzo gli occhi al cielo, sospirando per calmare la rabbia che mi si scatena a secchiate nel petto.
«Me ne frego. Sono disposta ad andare in galera per te», ammorbidisce i toni.
Rido di gusto, la mia amica ha questo potere di saper farmi divertire e ridere anche nelle situazioni più drammatiche.
«Sì. Lo so, ma guarda caso, io non ti voglio dietro le sbarre. Poi chi mi prepara da mangiare?»
Il suo petto si scuote in una risata leggera e lei torna mortalmente seria. I suoi occhi azzurri come il più pacifico degli oceani, mi scrutano con insistenza. «Non farti mettere in piedi in testa da lui. Okay? Devi promettermelo!»
«Non ci penso proprio. Te lo prometto!» porto il petto in fuori e alzo il mento.
Lei si avvicina e mi abbraccia come se fossimo realmente sorelle. «Questa è la mia ragazza», dice, accarezzandomi la schiena.
Appoggio la testa sul suo petto e chiudo gli occhi. "Senza di lei non saprei proprio che fare". «Ti voglio bene, Carmen».
«Anch'io, ragazza sciocca».
«Va bene, cambiamo discorso. Non ho più voglia di parlare di quell'imbecille e delle sue manie da sono il re di "sto cazzo"».
Carmen ride: «Hai pienamente ragione. Però voglio che tu sappia che io gli caverei gli occhi se ti facesse del male. Sarà anche il tuo capo, ma se continua a prendersi gioco di te, devi solo dirmelo». mi rivolge un'occhiata determinata e io scoppio a ridere. È davvero impensabile vedere Carmen seria.
«Ha, ha, ha... divertente», mi schernisce, mentre mi lancia il cuscino in faccia. Ci osserviamo per un momento in silenzio, poi aggiunge: «A parte gli scherzi. Tu lo sai vero che io ci sarò sempre per la ragazza sciocca?»
«Sì Barbie, lo so». Rispondo abbracciandola.
«Va bene... Ora guarda i miei disegni», balza giù dal divano per andare a prenderli e una volta di ritorno me li mette davanti agli occhi. Sono schizzi di diversi abiti da sera. «Wow...», esclamo. «Questi disegni sono favolosi, Carmen!»
È davvero brava a disegnare, tutto ciò che crea è assolutamente stupendo.
«Lo pensi davvero? Sono sicuramente da migliorare», aggiunge insoddisfatta.
Ci rilassiamo davanti alla tivù e lei mi racconta come pensa di modificarli. L'occhio mi cade sull'orologio: ormai si erano fatte le otto.
«Ti lascio, io vado a studiare due orette prima di dormire, domani mi attende una giornata davvero pesante!» le dico alzandomi e passandomi le mani in volto.
Carmen mi sorride amabilmente e annuisce: «Tranquilla tesoro. Notte».
●Spazio Autrice●
Cari lettori, vi stanno piacendo i capitoli nuovi di LTGE?
Fatemelo sapere.
♧●♧●♧
Per tutti coloro che non vedono l'ora del volume due: Ci sarà da aspettare💜
Vostra, Kappa_07
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro