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CAPITOLO 5

~NATHAN~

"Non sono essenzialmente un uomo di scienza, non un osservatore, uno sperimentatore, non un pensatore. Sono per temperamento niente altro che un conquistatore e un avventuriero."

SIGMUND FREUD

«È tutto pronto, signore». Brad cammina al mio fianco, gli altri bodyguard mi fanno strada verso l'auto. «C'è anche Dylan».
«Perfetto. Tu e Dylan verrete con me anche domani. È importante questo incontro».

Esco dall'auto e osservo nei paraggi. Mi trovo in una delle zone più chiuse di Bologna, detta anche città satellite che si nasconde in bella mostra tra gli edifici dai tetti in mattone rosso e le colline boscose e campi aperti. Lontani dagli occhi indiscreti. Per raggiungere il bar, abbiamo dovuto serpeggiare le strade tra gli edifici imponenti e quelle trafficate, ma ben tranquille alla vista degli occhi delle persone, motivo per cui l'architettura è parecchio simile a tutto il resto. Il bar si erge modesto lungo una strada principale con tavoli all'aperto. Le luci soffuse e la musica moderna creano un'atmosfera accogliente, ma allo stesso tempo depistano dalla vera ragione del perché esiste veramente questo posto.

Entro nel pub, la parete degli alcoolici è illuminata da soffuse luci blu elettrico, le sedie sono posizionate sui tavoli di legno. Lungo la parete delle scale, diverse applique accompagnano la curva che porta al piano superiore. Dylan è appoggiato allo stipite e fuma una sigaretta, la camicia azzurra infilata nei jeans fascia il suo fisico muscoloso. Incontro i suoi occhi verdi, su cui ricade un ciuffo completamente spettinato. Sicuramente ha appena scopato. I capelli rasati agli angoli.

«Finalmente sei arrivato», ruota il bicchiere di vodka che ha in mano e mi guarda da sotto le ciglia.
«Tutto pronto?»
«Sì!» lui scola il bicchiere e mi fa strada oltre il bancone del bar.

Dylan sposta le bottiglie in una serie di combinazioni e il quadretto a sinistra della parete degli alcoolici si sposta di lato, rivelando lo schermo per l'impronta digitale. Il mio amico ci poggia la mano sopra, l'apparecchio gli scansiona il palmo, producendo due click. La parete avanza e Dylan la scosta di lato, rivelando un passaggio segreto che dà su una rampa le scale in discesa illuminate da applique chiare.

Entriamo, scendiamo e giungiamo di fronte a una spessa tenda nera. Dylan la sposta e rivela un'altra porta chiusa.. Una volta aperta, mi conduce in una stanza dai muri bordeaux che si snoda in uno stretto corridoio illuminato da soffuse luci a led. Lo seguo, lui apre un'altra porta nera, sposta una tenda di velluto rossa e mi fa cenno di entrare.
Lo supero, attraverso un altro piccolo corridoio e arrivo in una stanza illuminata da una fievole luce calda, le pareti granitiche di uno scuro color cenere fanno risaltare il pavimento beige su cui si riflettono le applique a muro.

Dylan fa scattare un interruttore e la luce sul soffitto schiarisce la stanza. Una cinquantina d'armi sono allineate su quattro tavoli. A destra ci sono dieci carabine MK18 e altri fucili d'assalto leggeri e pesanti.

Goblev ne sarà molto entusiasta. Rivolgo un sorriso a Dylan: «Ottimo lavoro».
Il mio amico mi fa un cenno gonfiando il petto: «Erasmus è stato bravo a scoprire le sue preferenze», sorride e ammicca verso i panetti di polvere bianca.
«Erasmus sa sempre quello che fa». Sospiro.
Il mio amico si avvicina di fianco a me. «Ti piace quello che vedi?»

Mi avvicino ai panetti di cocaina e ne afferro quello in cima alla piramide e lo soppeso in silenzio prima di poggiarlo di nuovo. «Non male. Avete avuto problemi col trasporto?»
Dylan scuote la testa stringendo le labbra carnose appena: «Con così poco preavviso non è stato facile, ma è filato più liscio di quanto immaginassi», fa spallucce.

«Mancano solo le donne, ma a quelle ci penserò io», aggiunge Brad dietro di noi, mi volto verso di lui che ha le mani congiunte di fronte a sé con il volto molto determinato. Annuisco nella sua direzione prima di dare un ultimo sguardo alla stanza.
«Ne voglio cinque. Le migliori, rosse bionde e more», dice Dylan: «Non lasciamo nulla al caso».
«Sì signore».

***


«Il ristorante è a sua disposizione signore». Mi informa Brad.
«Ottimo». Salgo i due gradini che mi separano dalla porta di vetro seguito appresso dalle mie guardie del corpo e raggiungo l'unico tavolo apparecchiato alla destra del locale.
«Buonasera signor Bailey». Mi saluta il proprietario insieme ai camerieri che mi attendono sulla soglia.

Faccio un cenno con la testa: «Buonasera».
«è un piacere avervi qui». Mi accompagna all'unico tavolo apparecchiato nel locale. Mi siedo sulla poltrona grigia e subito dopo mi versa da bere nel calice prendendo la bottiglia dalla Seau a glace. Lo ringrazio con un cenno.

L'interno è moderno, ma allo stesso tempo molto accogliente, in sottofondo suona una musica melodica dolce che rispecchia il posto e la sua esclusività. Le pareti bianche in contrasto col pavimento nero sono impreziosite da moderni quadri astratti.

La porta del locale si apre sulla figura di Michael, fasciata da un elegante cappotto, i capelli scuri pettinati indietro. Mi raggiunge con passi felpati, si ferma di fronte a me e mi fa un cenno. «Signor Bailey».
«Buonasera, Michael», lo invito a sedersi sulla poltrona vuota. «Mi servono delle informazioni su una persona», gli passo una busta gialla, che lui prende. «Voglio sapere tutto, nei minimi dettagli».
«Sì, signor Bailey», Michael l'afferra e la nasconde in tasca. «Qualcos'altro, signore?»
«No, puoi andare».

Lui si alza velocemente e mi fa un piccolo cenno prima di darmi le spalle e avviarsi verso l'uscita. Sulla soglia incrocia Matilda Erasmus e Luke, che gli lanciano un'occhiata a cui Michael risponde nel medesimo modo prima di fuggire.

I miei amici mi raggiungono, Matilda prende posto e Luke mi saluta con una domanda muta negli occhi. Si siede accanto a lei, accigliato. «Cosa ci faceva qui Michael?»
«Deve fare qualcosa per me».
Erasmus e Matilda ci osservano in silenzio, le espressioni curiose, mentre il mio amico assottiglia lo sguardo. «Che tipo di cosa?»
«Luke! Quando vorrò dirtelo, te lo dirò. Ora, per favore piuttosto ditemi dov'è Dylan. Perché ho fame e voglio cenare».
«Non lo so dov'è Dylan». Risponde alzando le spalle.
«Bene, ora che ci siamo parlo io», dice Matilda secca.
«In realtà manca Dylan, ma se proprio devi, prego», gesticolo.
«Oh, guarda» Erasmus ammicca verso l'ingresso.

Dylan varca la soglia del ristorante, ha la mascella stretta, gli occhi stretti a due fessure, un solco profondo in mezzo alle sopracciglia. Saluta tutti e si siede con poco garbo sulla poltrona alla mia sinistra. Sembra nero. "Che cazzo gli è successo?"
«Che hai?» gli domanda Luke.
Lui lo guarda in cagnesco e abbaia: «Niente che debba raccontare a te!»
Alzo le sopracciglia, perplesso. Conoscendolo, non dirà nulla, a meno che non sia lui a decidere di parlare.
«Come vuoi», Luke scrolla le spalle e si gira verso Matilda. «Prego, di' ciò che dovevi».

«Sapete che oggi Nate mi ha chiesto delle informazioni su una dipendente?» Esordisce raddrizzandosi sulla poltrona. Gli occhi azzurri brillano di prepotenza.
"Cazzo, Matilda! Perché devi avere sempre la lingua così lunga?"
I ragazzi ridono, alzo le spalle con noncuranza e mi porto il calice alle labbra. «Non c'è niente di male, è una mia dipendente, potevo chiedere le informazioni su chiunque. Diciamo che io e lei abbiamo avuto una piccola discussione», rido.
«A me sembra che tu abbia qualcosa in mente, amico mio». Assottiglia lo sguardo curiosa.
Faccio una smorfia. «E se fosse?»
«Aspettate, mi sono perso qualcosa?» domanda Luke perplesso.
I ragazzi ridono sotto i baffi. «Che hai in mente?» domanda allusiva alzando un sopracciglio.
Rido: «Qualcosa...»

Appoggio la schiena alla poltrona e incrocio le braccia al petto rivolgendo lo sguardo verso Luke, il quale ha un sopracciglio alzato come Matilda. «Ti ricordi quel patto che abbiamo fatto la sera del casinò?» alzo il mento.
Lui stringe gli occhi: «Sì. Perché?» lui guarda un po' me, e un po' Matilda. I suoi occhi dal colore del cielo in estate brillano in aspettativa.
«Che cos'è questa storia?» domanda Erasmus.
«C'è che io e Nate, tempo fa, abbiamo fatto una scommessa. Se lui riuscirà ad agganciare e far innamorare una ragazza sprovveduta entro un mese, e ovviamente senza avvalersi dei suoi trucchetti da: 'Io ce l'ho grosso, devi vedermi a letto', ma intendo proprio farla innamorare della sua anima», ride ancora, alzando un sopracciglio, e agguanta il bicchiere; lo guardo in cagnesco. «Gli cederò il trenta percento della mia azienda e non gli romperò più le palle. In caso contrario, sarà lui a cedermi il trenta percento della sua e sopportarmi per il resto della vita. Però, ripensandoci, anche solo vederlo fallire mi basterebbe», Luke fa un sorriso da squalo, in una chiara provocazione.

«È quella la ragazza? Hai intenzione di sedurre la tua dipendente?»
«Siete veramente degli immaturi», esclama Matilda. Nessuno dei due la sta ascoltando, siamo troppo impegnati a fissarci sogghignando.
«Senti, Luke, facciamo che invece, in cambio mi dai l'edificio dell'ottocento», metto altra benzina sul fuoco per aumentare la posta in gioco. Dal modo in cui sogghigna, sono più che certo che il mio amico non mi creda, ma la cosa mi intriga, anche se non credo avrò la pazienza di portarla a termine.
«Sì, per me va bene!» Luke mi porge la mano. Ghigno e gliela stringo davanti agli occhi perplessi di tutti. Sento gli occhi di Matilda addosso, ma non me ne curo.

«Ragazzi, non mi sembra il caso. Ha solo vent'anni, diamine. Non puoi farle una cosa del genere! E poi non sai nemmeno se le piaci», dice perplessa.
«Oh, lo so! Lo so! E anche se non mi volesse, farei in modo che mi voglia! Nessuno fugge da me. Nel caso, la costringerò con le buone o con le cattive. E ovviamente vincerò un edificio dell'Ottocento!» alzo il bicchiere di vino per brindare. «Ho tutto sotto controllo».
Il cameriere, un ragazzo mingherlino dai capelli scuri e folti e il viso spigoloso, arriva a prenderci le ordinazioni, e nel mentre sento addosso gli occhi di Matilda che mi scruta con insistenza.
«Cos'è che ci hai trovato in lei?» domanda Erasmus, «Cioè intendo perché proprio quella poveretta?»

«Il soggetto è bello, e ha una lingua biforcuta. Perciò mi divertirò!» gli rispondo dopo aver atteso che i camerieri ci portassero le pietanze. Taglio la bistecca che ho nel piatto e me la infilo in bocca. È talmente morbida che si scioglie e il gusto della carne si sposa alla perfezione con la salsa piccante a base di peperoncino.
«Come no!» dice Erasmus. «E dopo?» domanda.
«Dopo...» sorrido, «dopo, ce ne andremo a New York e ci rideremo su».
«Questa cosa è assurda», ride Erasmus. «Non vedo l'ora di sapere come va».

I ragazzi mi guardano, chi ridendo di gusto, chi perplesso. Matilda muove la testa con una smorfia disgustata, ma lo vedo nei suoi occhi che brillano pieni di aspettative. «Non ho più fame in realtà. Me ne voglio andare, ci vediamo domani», il timbro della sua voce è freddo mentre si alza dalla poltrona.

Stringo i denti fino a farmi dolere la mandibola. Accetto i suoi consigli, ma non il suo sdegno. Sento una vampata scaldarmi il petto. Dentro sono tutto una furia, ma controllo la voce: «Siediti».
Lei aggrotta la fronte. «Non ti devo obbedire, Nathan. Ricorda che ti conosco da quando avevi tre anni, a me non puoi dare ordini», si volta per andarsene.
«Ho detto: siediti, Matilda», lascio trasparire la collera dietro l'ordine perentorio.
«Nathan!» la mia amica sgrana gli occhi e deglutisce, in difficoltà.

Gli altri sono ammutoliti, forse non approvano il mio modo di fare, ma non osano a dire niente. Rivolgo lo sguardo alla sedia vuota e lo riporto su di lei, che stringe la mascella e puntando lo sguardo di fronte a sé in un punto indefinito si siede con un tonfo.

Sono piuttosto sicuro che vorrebbe mettermi le mani al collo, in questo momento.
«Spero che t'innamori e la cosa ti si ritorci contro!» sibila.
Scoppio a ridere. «Innamorarmi? Io? Di quella ragazzina stramba? Ma non scherziamo!»
«Sei senza scrupoli», inveisce.
«E chi se ne frega», ribatto serafico.
«O la va o la spacca!» sghignazza Luke. «Ma avrei bisogno di vedere la ragazza, sai per... per capire come è fatta».
Serro la mascella e gli rivolgo un'occhiata fredda. Non è il momento di parlare di questo, ora.
«Oppure no!» aggiunge, mostrandomi i suoi denti bianco perla.
"Che testa di cazzo".

Erasmus lo osserva in silenzio e scuote la testa; Dylan, che non ha aperto bocca, si aggiusta sulla poltrona e rivolge lo sguardo al soffitto. "Ma che cazzo ha?" Qualcosa non va, non che ci sia mai una cosa che gli vada.
Mi pulisco le labbra e mi schiarisco la voce poggiando la schiena sulla poltrona: «Ora, parliamo di cose serie»,

«Eric, non si trova da nessuna parte», esclama Dylan. Tutti ci giriamo verso di lui. «I miei uomini lo stanno cercando in ogni angolo di New York, quelli di Daniel lo stanno cercando a Boston. Anche mio padre ha sguinzagliato i suoi uomini migliori. Drake mi ha comunicato che sta tenendo d'occhio le strade di Seattle e niente, non c'è traccia di lui. Sembra svanito nel nulla. Puff», si raddrizza, il morso stretto, estrae una sigaretta e l'accende.

Un cameriere arriva a sparecchiare il tavolo mentre un silenzio tombale avvolge il tavolo. Osserva il fumo, ma non dice nulla. Se ne va e ritorna con un posacenere subito dopo. Lo congedo, dicendogli di andarsene.
«Nemmeno io lo trovo, sembra sparito. Ho cercato in tutti i database e anche nelle telecamere della città, ma di lui nessuna traccia. Se si sta nascondendo, non lo sta facendo da solo, altrimenti a quest'ora l'avrei già scoperto. Si è alleato con qualcuno», dice Erasmus.

Sbuffo, la rabbia mi infiamma il sangue e ogni fibra del corpo. «Oh, lo troveremo. La serpe non si nasconderà per sempre, uscirà allo scoperto. Dobbiamo solo avere pazienza, e se c'è qualcuno che lo sta proteggendo, allora gli farò mangiare la sua stessa carne anche a loro».
«Non vorrei che quel coglione ci porti altri guai. L'ultimo colpo non è stato facile da giustificare al dipartimento della polizia di New York», la voce graffiante di Luke è intrisa d'odio e rabbia.

«Ha avuto fortuna solo una volta Luke... Ma non farò mai più lo stesso errore. I suoi colpi non mi fanno più nulla, ormai», aggiungo freddo. «Per quanto riguarda ai federali, e alla polizia di New York, finché il senatore Williams sarà nel mio libro paga, ha parecchi favori da farmi».

Durante la cena discutiamo di tematiche navali: nel giro di un anno, le mie navi transatlantiche portacontainer hanno percorso rotte nuove grazie alle alleanze che ho stretto quasi con l'intero continente asiatico.

Matilda invece è rimasta in silenzio, tranne per qualche affermazione. Ci passiamo la cena in tranquillità, con Luke che fa qualche battuta e poi mi avvio verso casa. Il display del mio cellulare si illumina rischiarendo l'abitacolo che era avvolto nell'oscurità.
Il nome della mia trombata preferita appare in verde. Sidney.

Sbuffo prima di accettare.
«Ciao Sidney». Rispondo morbido.
«Buonasera sconosciuto». La voce civettuola mi giunge all'orecchio. «Ti sono mancata?»
"No". Sospiro toccandomi il ponte del naso e chiudo gli occhi. «Certo piccola, ma ne abbiamo già parlato... ricordi?»
La sento sbuffare dall'altra parte: «So che ne abbiamo parlato, però non puoi costringere anche a me di pensarla come te».

Stringo la mano a pugno stringendo la mascella. Prima o poi lo capirà che non ci potrà essere nulla fra noi spero.
«Sidney». La ammonisco in un rimprovero silenzioso.
La sento sbuffare di nuovo. «Va bene, non apriamo di nuovo questo discorso. Quando hai intenzione di tornare?».

Rivolgo lo sguardo verso il finestrino, le luci della città mi accompagnano insieme ai miei pensieri. C'è ancora gente in giro, nonostante sia mezzanotte passata. «Presto».
La sento squittire. «Non vedo l'ora di vederti».
Alzo gli occhi al cielo esausto.
«Rallenta, lo sai come sono fatto». Le ricordo.
«Lo so bene, eppure non riesco a non pensarti».
Sospiro esausto da questa conversazione. Non fa una piega. «Ora devo andare Sidney. Ci sentiremo quando torno».
«Nathan...»
«Buonanotte, o buona giornata».
Spengo il cellulare già esausto di tutto.

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