CAPITOLO 4
~NATHAN~
L'umorismo è il più potente meccanismo di difesa. Permette un risparmio di energia psichica e con una battuta blocchiamo l'irrompere di emozioni spiacevoli.
Sigmund Freud
I capelli neri della ragazza scalza mi sfiorano la guancia, carichi del profumo dolce delle rose. Lei freme senza respirare e stringe i pugni in grembo.
Chissà se ha lo stesso sguardo determinato di questa mattina o se deciderà di abbassare la cresta.
Mi scosto appena per scoprirlo, i suoi occhi sgranati e intimiditi mi mandano un brivido caldo lungo la schiena e io non riesco a trattenere un mezzo sorriso.
"Non fai più la splendida, ora che sai chi sono..."
Lei, però, si schiarisce la gola e solleva appena il mento. La sua lingua rosea fa capolino tra le labbra schiuse e le lecca con un lento movimento che mi manda a fuoco.
Anche se le tremano le mani sostiene il mio sguardo: «Sono ubbidiente, quando credo che gli ordini siano giusti, Signore».
"Questa... ragazzina!" l'incendio mi risale la schiena, i capelli mi si rizzano sulla nuca. Nessuno si è mai permesso di parlarmi in questo modo.
Ghigno, faccio un passo indietro e lentamente passo lo sguardo su tutta la sua figura, il suo petto florido si alza e si abbassa veloce e quella lingua torna a fare capolino tra le labbra.
"Chissà se saresti così spavalda anche da nuda", vorrei proprio vederla a guardarmi in ginocchio, nuda e domata.
Altro calore mi si accumula nella parte bassa della schiena e i boxer iniziano a tirare, infilo le mani nelle tasche per mascherare la cosa anche sotto la giacca.
«Molto bene, signorina. A quanto pare il coraggio non le manca», la squadro un'altra volta.
«Lei mi ha fatto una domanda e io le ho risposto, signore».
Continuo a sostenere il suo sguardo, stringendo appena la mascella. Non so se continuare a stuzzicarla ancora un po' o andarmene.
«Lo vedo», abbasso la voce appena di qualche tono, lei deglutisce ma mi guarda negli occhi. Le mostro un altro ghigno e con un gesto deliberatamente lento le do le spalle.
«Vieni, Matilda. Accompagnami nel mio ufficio».
Nessuno si è mai permesso di parlarmi in quel modo, senza abbassare il capo e farmi la riverenza. Invece quella mocciosa non solo non l'ha fatto, ma ha addirittura continuato a rispondermi per le rime.
"Chissà come sarebbe se la portassi su in ufficio e le insegnassi io a come chiudere la bocca".
Sì, l'idea non è male. Mi piacerebbe scopare la sua bocca per bene, senza pietà, per farle dimenticare come si usa la lingua in altri modi.
I passi di Matilda mi seguono lungo il corridoio, ma lei resta in silenzio. Fermi davanti alle porte dell'ascensore, con la coda dell'occhio la vedo scrutarmi con insistenza. Le scorrevoli si aprono, entriamo e ci avviamo verso il mio ufficio in religioso silenzio.
La luce bacia la stanza dalle tinte avorio e illumina i quadri astratti alle pareti. È tutto pulito, nonostante nessuno ci abbia messo piede da parecchio tempo. Sulla scrivania di cristallo nero a forma di mezzaluna c'è solo il computer.
Mi avvicino alla cassettiera e sfioro con la punta delle dita le foto che ritraggono me e i miei genitori, una sensazione dolorosa mi si aggrappa al petto.
Il trillo del telefono mi riscuote, Matilda è rimasta in piedi a osservare le mie mosse. Mi avvicino alla scrivania e rispondo.
«Capo», dice Daniel attraverso l'apparecchio.
«Che c'è?»
«Ho brutte notizie, i Miller non accettano l'accordo».
Resto in silenzio, immagazzinando la furia che inizia a scorrermi nel petto e stringo forte la mano a pugno per non scaraventare a terra tutto ciò che ho di fronte.
«Ne sei sicuro? Sono state le sue ultime parole?»
«Sì, Nate. Lo sai cosa vogliono, non cederanno. Hanno detto che se insistiamo, ci sarà una guerra».
Sospiro così a fondo che mi si scuote il petto e una risata amara mi resta incastrata in gola. «Pensano di poterla vincere?»
«Tu sei in Italia. Non possiamo permettercelo adesso». Afferma diretto il mio amico dall'altra parte della cornetta.
«Cazzo!» mi tocco la punta del naso in gesto nervoso. «Bisogna escogitare qualcosa. Qualsiasi cosa».
Daniel resta in silenzio per lunghi instanti e sospira: «Io da solo qui posso fare poco, al momento. La cosa migliore da fare adesso è che tu torni, ma vedendo la situazione, dobbiamo aspettare, Nate».
«Mi serve quel territorio Daniel. A ogni costo!» sibilo a denti stretti, voltandomi verso la vetrata dell'ufficio, e stringo tra le dita lo schienale della poltrona in pelle.
«Nathan non incazzarti con me. Comunque ti terrò informato. Cerca di finire il prima possibile lì, qualsiasi cosa tu stia facendo».
Spengo il telefono e osservo la città che si estende all'orizzonte. La pioggia accentua il rosso dei tetti, il parco sotto di me è vuoto, ma il verde riesce a trasmettermi tranquillità. Faccio un lungo sospiro e mi volto verso Matilda, sposto la poltrona e mi appoggio incrociando le braccia al petto.
«Qualcosa non va?» domanda, sedendosi sulla poltrona di fronte alla scrivania, gli occhi azzurri ridotti a due fessure fissi su di me.
Sospiro, mi tolgo la giacca e mi siedo sulla poltrona. «No, va tutto bene». Unisco le dita davanti al volto e le tamburello tra loro. Come sempre, il suo volto fine lascia trapelare la preoccupazione per me.
«Senti, ti devo fare delle domande su quella dipendente».
La mia amica gonfia il petto e sospira chiudendo gli occhi, la fronte aggrottata. «Per cosa, Nathan?»
«La ragazza scalza...»
Matilda sgrana gli occhi e fa un sorriso sghembo. «Non dirmi che è per colpa tua se si è presentata in quello stato».
«Io non ho fatto niente. È venuta ad accusare Brad».
La mia amica annuisce e si appoggia meglio alla sedia. «Oh, capisco. Sì, è una dei nuovi tirocinanti di quest'anno. L'ho assunta personalmente perché era la prima del suo corso in lingue. Che cosa vuoi sapere?»
Faccio un sorriso obliquo: «Come si chiama? Che cosa sai di lei?»
«Si chiama Anna Giordania, è brava nel suo lavoro e vorrebbe fare di più, ma ci sono delle gerarchie da rispettare».
«Altro?»
«Ci siamo viste un paio di volte fuori dal lavoro, cosa che non interferisce con i nostri ruoli. Mi è sembrata simpatica e ha una grande passione per le opere d'arte. Che cosa vuoi sapere nello specifico?»
«Basta così», scrollo le spalle, lei incrocia le braccia al petto perplessa. «Questa sera, se ti va, si cena da Belvedere alle ventuno, ci saranno anche gli altri ragazzi».
Annuisce vigorosamente prima di alzarsi e lasciarmi solo coi pensieri.
Quella stramba ragazzina con la lingua lunga continua a tornarmi in mente. È interessante il modo in cui ha continuato a ribattere. La scaccio dalla testa, devo pensare ai Miller.
Basta il nome a farmi prudere le mani. Non è facile usare la diplomazia con loro, e il poter fare poco mi fa stringere lo stomaco.
Mi passo le mani fra i capelli, spettinandoli, e accendo il computer per mettermi al lavoro e capire che cosa fare con i nuovi progetti avviati in America e da riportare anche in questa sede.
Resto per lungo tempo immerso nei documenti, e solo quando leggo l'ora sull'orologio da polso mi rendo conto che è molto tardi. Le lancette segnano le cinque del pomeriggio.
«Merda, il tempo è volato...» mi alzo, agguanto la giacca appesa e mi avvio all'ascensore.
Nella hall, le mie guardie del corpo mi vengono incontro guidate da Brad. Li saluto con un cenno e chiudendo i due bottoni della giacca proseguo verso l'uscita.
La ragazzina scalza cammina nella stessa direzione, la testa bassa e le spalle ricurve. Tiene al petto una serie di documenti e si appresta a raggiungere le porte scorrevoli. Non dovrei perdere tempo con lei, ma la voglia di stuzzicarla ha la meglio.
Infilando una mano nella tasca dei pantaloni e gonfiando il petto faccio un sorriso di scherno. «Signorina!»
Lei si arresta all'istante, alza il capo di scatto e mi osserva con quei grandi occhi scuri, il suo petto si abbassa a scatti e le sue labbra si schiudono appena prima di rispondermi: «Sì signore?»
Per un attimo, l'insicurezza nella sua voce mi fa deglutire. Torno imperturbabile e faccio un paio di passi volutamente lenti verso di lei, la misuro con lo sguardo. Lei sembra sul punto di voler scappare, deglutisce stringendo ancora di più i documenti al petto, tanto che gli angoli si piegano appena.
Nonostante tutto, schiarisce la voce e cerca di raddrizzare le spalle. «Cosa posso fare per lei?»
"Molte cose..." scrollo le spalle e mi incurvo appena. "Vediamo se sarà sincera nel rispondermi".
«Per iniziare, potrebbe dirmi come si chiama, in modo che io non la chiami più: "la ragazzina scalza"».
Lei sgrana gli occhi per un momento, poi alza il mento; un ghigno mi si forma sulle labbra.
«Il mio nome è Anna Giordania, signore», risponde, marcando su 'signore'.
Libero una risata roca. «Molto bene, signorina Giordania. Domani cerchi di essere presentabile. È raro che io dia una seconda possibilità, lo rammenti per il futuro».
Lei deglutisce stringendo le labbra prima di ribattere: «Certo, signore, non si preoccupi. Non succederà più. A meno che non ci sia un pazzo, là fuori, che non aspetta altro che io attraversi la strada per cercare di investirmi».
"Che mocciosa dalla lingua biforcuta..." faccio un respiro profondo e ghigno, agganciando i suoi occhi in una muta gara di sguardi. "Ancora non sai con chi hai a che fare, bambolina. Ma presto lo scoprirai".
«In tal caso, le sconsiglio di farsi vedere conciata in quel modo. Non sarò così benevolo. Potrei anche decidere di punirla, a modo mio».
Il suo volto muta, le sue gote iniziano a colorarsi e le labbra si schiudono per la sorpresa. Deglutisce e per un attimo mi fissa imbambolata. «Speriamo che non succeda, signore. L'idea che qualcuno mi aspetti là fuori è raccapricciante», la sua lingua va in collisione con le sue labbra ogni volta che mi risponde per le rime.
"Possibile che questo gioco mi diverta così tanto?" Aggrotto la fronte, accigliato.
«In tal caso quella persona non vedrebbe un altro giorno signorina».
«Mi scusi?» domanda perplessa, aggrottando la fronte.
"Cazzo, Nathan..."
«La scuso».
Lei mi osserva in silenzio, una luce attraversa i suoi occhi grandi come un fulmine a ciel sereno, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
«Allora, se per lei è tutto, io tolgo il disturbo. Arrivederla».
«Arrivederci, signorina Giordania».
●Spazio Autrice●
Cosa ne pensate del nostro Nathan Bailey? Quanto è oscuro fino al midollo?
Fatemelo sapere, oppure no, a voi la scelta
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Kappa_07
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