CAPITOLO 3
~ANNA~
Finché possiamo dire:
"quest'è il peggio",
vuol dir che il peggio ancora può venire.
Re Lear-William Shakespeare
Le porte dell'ascensore si aprono sul mio capo. Indossa un tailleur grigio e tacchi alti laccati, i liscissimi capelli biondi sono raccolti in una coda di cavallo che le scende lungo la schiena e si muove al ritmo dei suoi passi. Tiene in mano dei documenti e li sta ispezionando senza guardarmi.
«Buongiorno, Matilda», la voce mi è uscita più forte di quello che speravo; spero solo di non essere licenziata in tronco.
«Buongiorno, Anna. Finalmente sei arrivata», appena alza lo sguardo su di me, i suoi occhi azzurri passano sui miei piedi scalzi e sui vestiti sporchi, la sua espressione pacata muta in una di puro sdegno. «Cosa diavolo ti è successo? Perché ti presenti così?»
«Ti prego non licenziarmi, l'autista di un riccone con una macchinona mi ha sporcata. Ed era tardi per tornare a casa... Però ho già telefonato alla mia amica per portarmi un cambio», mi stringo nelle spalle.
«Oggi avremo una visita molto importante dall'alto. Non puoi presentarti così!» I suoi occhi mi scrutano pieni di disgusto costringendomi ad abbassare lo sguardo a terra.
C'è una differenza abissale tra me e lei. Sa il fatto suo. Si trova davanti a me, fiera e bellissima, la schiena dritta, lo sguardo penetrante e ha quella naturalezza di mostrarsi sempre pronta a qualsiasi cosa.
"Quanto vorrei che mi desse un po' della sua sicurezza".
Sposto i capelli dietro le orecchie e raddrizzo la schiena, deglutisco per darmi un contegno e controllo la voce perché non tremi. «Ma davvero? E chi è?»
"Vai così", mi sostiene la mia vocina interiore. Spero solo che Carmen faccia più in fretta possibile.
Matilda mi guarda incredula e sospira: «Stai parlando sul serio, Anna? Mi stai chiedendo veramente di chi si tratta? Non hai ricevuto l'e-mail dall'azienda due giorni fa?»
«Potrebbe essermi sfuggito, il fine settimana è stato un inferno. Ho un esame tra poco e mi sono dedicata allo studio», metto su una delle mie migliori espressioni mortificate.
«Accidenti a te, con tutto quello che ho da fare devo starti dietro come una bambina!»
Resto zitta, ha ragione, non dovevo essere così negligente.
«Spera che quel cambio ti arrivi presto, altrimenti per te saranno guai», lei rilassa le spalle, sospira e mi indica il mio reparto. «Ora vai alla tua scrivania. E, indossa lo stesso quelle dannate scarpe. Non siamo al circo, qui».
Annuisco vigorosamente e guardo il cellulare sperando che Carmen sia in arrivo prima di dirigermi verso la mia scrivania.
I miei colleghi mi guardano perplessi per il modo in cui sono conciata e per come zoppico sul tacco rotto, rivolgo loro un sorriso di circostanza e dalla vergogna mi affretto a raggiungere Nanuk e Vanessa, che si guardano l'un l'altro e increduli mimano con le labbra: 'cosa ti è capitato?'
Raggiungo la scrivana, mi siedo con un tonfo e sbuffo nella loro direzione. Vanessa inclina il capo e una ciocca dei capelli neri che le incorniciano il viso fine le finisce davanti agli occhi in attesa che io parli.
Chiudo gli occhi: per essere le otto e venti del mattino, ne ho abbastanza di questa giornata.
«Allora, mi dici che ti è successo oppure no?» sussurra Vanessa avvicinandosi a me.
Sospiro di nuovo, togliendo la scarpa sinistra. Prendo il tacco intatto, lo strappo con forza e prendo quello rotto. Li getto entrambi sulla scrivania e rindosso le scarpe ormai distrutte. Entrambi i miei colleghi mi osservano con gli occhi spalancati.
«Anna...» mi chiama Nanuk. «Stai bene?»
Evito di guardarli, raccolgo i capelli con una matita e annuisco. «Non c'è che dire, marzo è il mio mese storto per eccellenza, e per quanto ci provi, non ne faccio una giusta. Odio questa giornata!»
Entrambi si guardano sospirando, si scambiano occhiate mute che sembrano dire: "Oh, povera ragazza, non ne fa una giusta anche quando ci prova. Non durerà a lungo dentro l'azienda se continua così."
«Mi dispiace piccola, se hai bisogno del nostro aiuto, lo sai che ci siamo», mi risponde Vanessa.
«Sì, Anna, qualsiasi cosa ti sia successa, puoi contare su di noi», mi rincuora Nanuk.
Sorrido a entrambi; Vanessa, con il suo viso fine incorniciato dai capelli neri sciolti sulle spalle, mi incoraggia con un sorriso.
Lui si avvicina e mi annusa come se fosse un bulldog francese, mi scosto risentita. «Profumi di rose».
«Oh, grazie, Nanuk. Il profumo alle rose l'ho preso in un'erboristeria, in centro. Ti do l'indirizzo se vuoi regalarlo a tua moglie», rispondo con un sorriso sornione.
«Sì, grazie. Tu ragazza, non sai quante volte mi hai salvato dalle discussioni, che prima o poi ti farò un monumento di fronte alla piazza Maggiore. Ogni volta che me ne consigli uno e glielo regalo, Umma ne resta così affascinata che si dimentica il litigio».
Sia io che Vanessa ridiamo di rimando; Nanuk è una persona buona, ma lo vedo facile far arrabbiare sua moglie.
«Non ce n'è bisogno Nanuk, lo sai che faccio le due cose che mi piacciono di più. Consigliare le fragranze e aiutare le coppie come te e Umma».
Mi decido e accendo il computer, posiziono il quaderno degli appunti alla mia destra quando Matilda entra nell'ufficio marketing e si ferma sulla soglia.
«Buongiorno a tutti, vorrei un attimo di attenzione, per favore». Ha le mani raccolte davanti al grembo e vaga con lo sguardo da una scrivania all'altra. Si ferma su di me, rivolgendomi un rimprovero silenzioso.
Lascio stare il blocchetto coi fogli gialli che avevo in mano per concentrarmi su ciò che ha da dire. Lascia il mio sguardo e lo posa a tutti gli altri.
«Oggi dovete essere a dir poco formidabili. Sapete tutti che attendiamo in visita una persona molto importante dalla sede centrale della Bailey Corp. di Manhattan per valutare l'efficienza di ognuno di voi. Purtroppo, non sono ancora al corrente della figura che ci farà visita, ma voglio fargli una buona impressione. Perciò spero che collaboriate in modo che il nostro ospite dia un'ottima valutazione al nostro lavoro. Ricordate che il futuro di quest'azienda è nelle vostre mani. Più ci impegniamo per un lavoro perfetto e più saremo ricompensati, quindi a lavoro e rendetemi fiera di voi».
Matilda gira i tacchi e va nel suo ufficio, lasciandoci a mormorare e fare ipotesi su chi sia la misteriosa ed influente figura in vista. Ascolto i mormorii dei miei colleghi. C'è chi parla di inviati dal reparto risorse umane, chi parla del responsabile marketing di Manhattan, altri ancora che pensano sia il proprietario in persona a farci visita.
Mi concentro sui documenti che avevo lasciato in sospeso l'altro giorno, in attesa che la mia amica arrivi; l'orologio segna quasi le nove in punto, e io sto iniziando ad agitarmi.
"Proprio oggi non ci voleva questo casino", prendo il telefono e controllo le notifiche. Carmen mi ha mandato un messaggio: 'Sono nella hall'.
Tiro un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi; il cuore mi batte forte nel petto. Digito in fretta: 'Arrivo' e mi alzo per andare a prendere la roba.
Per fortuna la mia amica ha fatto in fretta, ringrazio la buona stella che ha deciso di aiutarmi in questo momento.
Prendo l'ascensore e scendo nella hall, la mia amica è in piedi vicino alla reception con una borsa in mano. Appena mi vede, mi viene incontro con la fronte aggrottata. La raggiungo a passo svelto.
«Grazie, mi hai salvato la vita, e anche il posto».
Lei mi osserva preoccupata, gli occhi pieni di domande. «Dopo mi racconterai tutto», sentenzia, mortalmente seria.
Annuisco e prendo la borsa che mi sta offrendo. «Sì, dopo ti racconto tutto».
Mi guarda dalla testa ai piedi aggrottando la fronte, ma indietreggia. «Ci vediamo a casa», mi saluta e se ne va.
Mi volto per tornare all'ascensore, un paio di uomini vestiti come man in black, sono sparpagliati dentro la hall e si parlano negli auricolari; mi blocco.
"Ma sono gli uomini di quel troglodita di stamattina? E se fosse lui la persona importante?" Aggrotto la fronte, confusa, e premo il pulsante di chiamata. "No, certo che no! Non posso essere così sfortunata".
Le scorrevoli si spalancano con un dling, entro e sento un peso che mi schiaccia i polmoni, sospiro e mi passo le mani in volto.
Tutte le forze del cosmo si sono unite per rendermi la vita un inferno, ultimamente, e io non posso fare altro che seguire l'onda.
Il trillo dell'ascensore mi porta alla realtà, esco in fretta e furia e mi dirigo alle toilette. Una volta dentro, mi dedico al cambio: la mia amica è stata molto efficiente, ci ha addirittura messo un paio di mutande. Mi viene da ridere, ma non ho tempo. Lavo i piedi e infilo pantaloni e scarpe. La camicia era pulita, perciò cambio solo la giacca del tailleur.
Una volta pronta, mi osservo allo specchio. La mia figura sembra urlarmi di smetterla di forzare il mio corpo. Scaccio il pensiero e mi sciacquo il volto un paio di volte con l'acqua tiepida, ma quando risollevo il viso, il mascara cola sulle guance disegnando dei rivoli neri.
"Perché tutte a me?"
Agguanto un po' di carta e mi pulisco fino a toglierlo del tutto. Una volta ritenuto di essere professionale e pulita, esco e torno alla mia postazione.
Dopo un paio d'ore, qualcuno bussa alla porta dell'ufficio di Matilda, e una voce concitata le annuncia che il presidente è qui.
"Il presidente?"
Un pensiero fulmineo mi passa nella testa: macchinone, guardie del corpo. Quella persona che dice: "Stia tranquilla nessuno la licenzierà".
"Il presidente è qui..." sbianco. "Oddio, no, non è vero. Ti prego fa che non sia lui!"
In subbuglio spero fortissimo di sbagliarmi, incrocio le dita in una preghiera silenziosa, mentre il piede mi si agita convulso sotto la scrivania.
«Beh, questa è una novità», dice Nanuk sporgendosi dalla sua postazione. «Non si era mai fatto vedere nei cinque anni che lavoro qui».
«E allora perché è qui? Devono licenziare qualcuno?» domanda Vanessa agitata.
«Speriamo proprio di no», sospira Nanuk.
«Sì, speriamo», susurra Vanessa.
Mi volto verso di loro stringendo le labbra con le braccia incrociate. Nanuk assottiglia lo sguardo mentre mi soppesa in silenzio. «Che c'è?» domando, incuriosita dalle loro espressioni facciali.
«Beh, per lo meno ora sei presentabile», afferma la mia collega.
«Buongiorno, Matilda», una voce roca e profonda mi trapassa i timpani e mi s'insinua nella testa.
"Quella voce!" Massaggio le tempie, non voglio crederci. Magari è solo il mio cervello che cerca di farmi un brutto scherzo.
«Cosa-?» esclama Matilda, riportandomi nel mondo dei viventi. «Cosa ci fai tu qui?»
«Sono venuto per porgerti i miei omaggi per il lavoro eccellente che hai svolto finora», la voce del "presidente" è piena di sarcasmo, di nuovo quella voce.
«Oh, ma figurati! Se lo avessi saputo avrei organizzato un comitato di benvenuto».
«Meglio così. Non mi piacciono le moine, lo sai».
"Ti prego, fa che non sia lui. Non è giusto! Quel dispotico non può essere il capo del mio capo. Si ricorderà di sicuro... Sono fritta", tiro un respiro profondo, ho la gola riarsa e il cuore batte come un treno in corsa.
Il secco ticchettio dei tacchi di Matilda si avvicina insieme a passi più pesanti e decisi, maschili. Stritolo il block notes, il cuore batte come un treno in corsa. La figura rigida del mio capo si staglia sulla soglia, gli occhi azzurri passano sull'intero ufficio.
Alle sue spalle c'è un uomo alto e massiccio, i capelli neri tirati indietro a scoprire la fronte e le sopracciglia aggrottate sopra i freddi occhi nocciola.
Smetto di respirare e l'unica cosa che penso è: "Game over".
Prendo diversi respiri profondi, nascondendomi dietro il computer, e quando alzo la testa mi accorgo che ci sta scrutando in silenzio, me compresa, senza però lasciare trapelare nessuna emozione o un cenno di avermi riconosciuta.
Matilda prende la parola: «Attenzione, prego. Vorrei presentarvi il presidente dell'azienda, nonché proprietario della Bailey Corp.», lascia la parola al troglodita con cui ho avuto lo scambio di veduta questa mattina e fa un passo indietro.
Lo sguardo del presidente torna su di me, lui sorride con aria fredda, ma lo nasconde subito dopo, come se fosse un gesto meccanico.
«Buongiorno a tutti. Io sono Nathan Bailey. E sono qui per fare la vostra conoscenza in qualità di CEO dell'azienda», la sua voce mi fa tremare tutta, mi sento come se stessi affogando senza la scialuppa di salvataggio.
«Buongiorno, signor Bailey», saluto insieme ai miei colleghi, con la speranza che non mi riconosca e di passare inosservata.
Eccolo lì, in piedi davanti a me in tutta la sua maestosità. È il mio capo, quindi forse il mio tirocinio andrà a quel paese.
La sua presenza incute rispetto e timore, ma non posso fare a meno di ricordare l'incontro di stamattina. Non dovrei sentirmi in questo modo, come se fossi io quella sbagliata. Non ho fatto niente di male, chiunque fosse stato al mio posto avrebbe detto le stesse cose, per ovvie ragioni. Il suo autista doveva essere più prudente.
"Allora perché mi sento così?"
Lui si massaggia il mento e continua a studiarci, impassibile.
"Vorrei sapere a cosa pensa".
Si avvicina alla mia scrivania e si ferma a un paio di passi di distanza. «Lei... Non era lei la ragazza con i piedi scalzi nella hall, circa due ora fa?»
Qualsiasi cosa succeda adesso, non si può tornare indietro. Per un momento assottiglio lo sguardo e gli rivolgo una di quelle occhiate che augurano la giornata storta, ma questo lavoro mi serve tanto quanto l'aria che respiro così mi sforzo di essere più neutra possibile. «S-sì, sono proprio io...»
Ho gli sguardi di tutti i miei colleghi addosso, ma lui si avvicina ancora.
Arriccio le dita dei piedi e stringo le cosce per la tensione insopportabile, la vergogna mi si irradia nel volto e ogni parte del corpo inizia a formicolare.
Lui si piega verso di me, e il suo profumo mi investe in pieno, le narici mi si dilatano e mi dà alla testa.
È avvolto da un profumo raro dalle note d'ambra e zafferano, il sentore di Agarwood mi ricorda la fitta vegetazione di una foresta lontana. Sa di peccati carnali, di segreti, e di potere.
Tutti i miei sensi sono in allerta e il respiro mi si blocca, trattenendo nei polmoni quel profumo tempestoso.
«Stia tranquilla, le avevo detto che sono magnanimo», mi sussurra all'orecchio e il cuore inizia a battermi all'impazzata nel torace. Si fa beffe di me, che ho la pelle d'oca e il respiro corto. «Poco importa se arriva scalza. Di certo non licenzierò una dipendente solo perché ha avuto uno sfortunato incidente di percorso con una scarpa. I problemi sussistono dal momento in cui una persona è disobbediente».
Sospira in modo pacato, come se fosse una semplice routine per lui rendermi a disagio, prima di dire: «Mi dica, lei è disobbediente, signorina?»
Spazio Autrice
Eccoci qui con il capitolo tre.
Anna ha scoperto chi è colui con cui aveva avuto lo scambio di parole.
E vedremo se sarà disobbediente oppure no, nel prossimo capitolo
Restate aggiornati.
Baci, baci
Kappa_07
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