CAPITOLO 21
~NATHAN~
Alice: "Per quanto tempo è per sempre?"
Bianconiglio: "A volte, solo un secondo".
(Lewis Carrol)
Anna tiene gli occhi chiusi, ubriaca e con la testa appoggiata alla mia spalla. Il profumo di fiori, che indossa come se fosse la sua pelle, da così vicino è ancora più intenso. I suoi capelli morbidi del colore del cioccolato mi sfiorano l'avambraccio, ha le labbra tumefatte. Sembra irreale.
Mi ha sbalordito. Il bacio che ci siamo dati mi ha lasciato completamente senza fiato. Questa ragazzina non mi sta rendendo le cose facili. Mi ha baciato lei. Stavolta è stata lei a prendere l'iniziativa, non può accusarmi di niente. E ora continuo a volerla baciare ancora e ancora, solo per il gusto di vederla annaspare.
Sbuffo, col cazzo duro nei pantaloni. Ha un seno talmente sodo e perfetto che mi costringo a trattenere un gemito fra le labbra. "Merda! Dovevi essere solo una dannata scommessa".
«In cre-d-ibil-lle», mi punta un dito addosso, sbiascicando. Mi viene da ridere, ma mi trattengo. «Dor-rmo dal grande sto-stron-zzo stasera. Chi l'avrebbe mai deee-tto».
"Mi ha appena definito grande stronzo?" Alzo un sopracciglio e lei si piega leggermente in avanti. "Sì, l'ha fatto". Arriccio le labbra.
Si sdraia, poggiando la testa sulla mia coscia, e chiude gli occhi. Un nodo mi sale in gola. È mezza nuda cazzo, e me lo sta facendo venire ancora più duro. Mi allungo e prendo il cappotto appallottolato in fondo ai suoi piedi e glielo metto addosso. È così pura che il cuore mi batte forte nel petto senza un apparente motivo. Ma almeno sono un passo avanti nel mio piano.
Brad mi lancia un'occhiata dallo specchietto retrovisore. Resto in silenzio, osservando fuori dal finestrino le luci della città. La ragazzina dorme. Mi tocco le labbra confuso per ciò che è successo dentro il ristorante: l'ho palpata e l'ho mangiata in un modo urgente. E il tutto mi è dannatamente piaciuto.
Arriviamo a casa e Brad mi aiuta con la portiera, accarezzo la guancia di Anna con le dita per svegliarla. Apre gli occhi.
«Andiamo», le dico, ma è troppo alticcia per rendersene conto. Scendo e la trascino fino al bordo.
«Dove? Ahia, fai piano!» si lagna. Stringo i denti e la carico in braccio. Strabuzza gli occhi per un attimo e fa oscillare la testa a destra e sinistra, troppo ubriaca. Faccio le scale, diretto alla mia camera. «Se non fosh-ssi cossì stronzz- stronzo, mi sarebbe piaciuto uscire con te». Sbiascica e trattengo un sorriso.
«Non sono uno stronzo. Sono solo pragmatico, ragazzina». Le sussurro all'orecchio, ma lei mugugna qualcosa di incomprensibile. Svolto a destra e supero la prima porta.
«Vorrei baciarti così tanto». Mi dice con gli occhi chiusi. Non sa nemmeno lei ciò che sta farfugliando, ma mi piace che pensi a me anche da ubriaca; ghigno.
«Ti accontenterò domani, ragazzina. Basta che ti ricordi di volerlo anche da sobria», spingo la porta della mia camera da letto col piede, lei non risponde.
La deposito sul letto. Siamo così vicini, lei è così indifesa che potrei prendermi tutto ciò che voglio. L'accarezzo piano, sospirando. La lascio andare e mi passo le mani in volto. Sono confuso cazzo. C'è qualcosa di rilassante nell'osservarla dormire.
«P-perché mi guardi?» chiede girandosi su un fianco, i capelli sparpagliati su entrambi i cuscini. Ha le cosce allargate e vedo il pizzo nero sotto il vestito. Me lo sta facendo venire duro di nuovo.
«Cristo!» impreco, alzando gli occhi al cielo.
«Sei così bello», dice con le pupille velate dall'alcool.
Sbatto le ciglia lentamente, una sola volta mettendola a fuoco. "Anche tu lo sei cazzo. Troppo".
Si allunga coi gomiti appoggiati ai lati. «Non guardarmi così», sussurra.
Stringo gli occhi: «Così come?» mi rendo conto di avere il timbro basso e rocco. Avanzo nella sua direzione.
«Come se volessi sbranarmi». Bisbiglia.
Sento un vuoto allo stomaco e mi fermo, se mi avvicino di più, la sbrano davvero, sarei capace di ridurre a brandelli quel pezzettino di stoffa che la copre e morderla ovunque per marcarla. Mi passo di nuovo le mani in volto. "Merda mi sta confondendo".
«Non tentarmi». La minaccio, calmo. Stringo le mani a pugno per contenere la voglia di farlo veramente.
Sbatte le palpebre. «Ma io lo voglio». Dice con la voce in un sussurro flebile.
«Anch'io ti voglio, ma non così», mi avvicino, le prendo il mento fra le dita e la fisso intensamente, le sue guance rosa diventano più rosse e adoro questo fenomeno che ho visto solo in lei. Deglutisce.
«Quando ti scoperò, tu dovrai essere sobria, ragazzina. Voglio vedere ogni minima espressione del tuo volto, mentre con gli occhi lucidi mi accogli con devozione. Voglio che la tua piccola fica pianga e la tua bocca canti mentre ti porto a toccare note sul pianoforte che è il tuo corpo, che nessun uomo ha mai raggiunto».
I suoi occhi si allargano e il suo petto scatta come se avesse trattenuto il respiro fino allo struggimento. Il cazzo mi si ingrossa nei pantaloni, l'idea di trovarmi dentro di lei mi sta piacendo più di quanto voglia ammettere. Apre la bocca e la richiude in continuazione, è rimasta senza parole. Faccio un mezzo sorriso che scompare subito.
«Ora va a dormire e non provocarmi più. Perché non sarebbe giusto fotterti in questo stato, anche se mi stai facendo perdere il controllo».
Con mia grande sorpresa, scivola sotto le lenzuola distogliendo lo sguardo di fuoco e incredulità che ha nel volto. «Stronzo». Sbiascica prima di chiudere gli occhi.
Alzo un sopracciglio. "Ti insegnerò a parlare".
Una volta addormentata mi sfilo la camicia e i pantaloni, indosso una t-shirt nera e un paio di pantaloni corti e mi stendo vicino a lei. Mi avvicino e la osservo come un cazzo di maniaco. Lascio scivolare lo sguardo sulle sue curve perfette e su quel seno che ho toccato con urgenza e deglutisco. "Dovrei cambiarla, merda". Faccio un respiro profondo costringendomi a contenere la voglia di toccare ogni centimetro del suo corpo.
Brad mi ha portato un paio di cose ma non ha portato il pigiama. La tiro su e la appoggio sulla mia spalla. Accarezzo i suoi capelli e ne inspiro il profumo; sa di fiori di ciliegia. Con estrema cautela le sfilo le spalline, lei mugugna qualcosa, ma non si sveglia.
"Merda, non indossa il reggiseno". Mi si azzera la salivazione.
Il suo seno è rotondo, i capezzoli piccoli e turgidi per via del freddo sembrano due bottoncini da leccare e mordere. Si muovono al ritmo del suo respiro. L'areola rosa ha una circonferenza talmente perfetta che gemo per non lasciarmi andare e succhiarlo con tutte le mie forze. Deglutisco, sono fatti apposta per le mie mani. Il ricordo di averlo stretto mi fa ingrossare talmente tanto che ho bisogno di darmi sollievo.
Prima di fare qualche cazzata le infilo una mia maglietta. Sospiro, chiudo gli occhi e le abbasso il vestito lungo le cosce. Respiro pesantemente dal naso, facendo appello a ogni grammo del mio autocontrollo, e mi prometto di non toccarla. Il pizzo scuro delle sue mutandine mi fa esplodere il cazzo nei pantaloni.
Poso un bacio delicato sulla pelle candida delle sue cosce sfiorando con le dita il polpaccio, salgo fiorando la sua coscia con le labbra lentamente fino al piccolo neo quasi invisibile se non lo si guarda proprio da vicino, poco più sotto delle mutandine; il sangue freme nelle mie vene e mi costringo a staccare le labbra dalla pelle calda, sono consapevole di essere un maniaco di merda, me è più forte di me. Appena osservo la pelle leggermente lucida per via della saliva che le ho lasciato addosso sulla sua pelle morbida una miriade di emozioni mi esplodono nel petto e la voglia di averla si amplifica; il mio cazzo duro ne è la prova. Mi allontano velocemente, stringendo i pugni, il cuore che non credevo sapesse battere lotta contro la gabbia toracica.
"Non posso, ora non posso". mi ripeto e la copro.
Mi infilo in bagno e mi tuffo sotto il getto dell'acqua fredda per scrollarmi di dosso questa situazione che mi sta facendo impazzire, ma tutto mi riesce tremendamente difficile.
Torno da lei e so che non riuscirò a dormire. Osservo il suo volto rilassato che lo fa per entrambi. Coi polpastrelli memorizzo i suoi lineamenti, le sue sopracciglia nere sono perfette e le ciglia lunghe la fanno somigliare alla Bella Addormentata. Ha il naso sottile e piccolo, lo tocco delicatamente, abbasso lo sguardo sulle sue labbra carnose rosee e deglutisco. Vorrei baciarla ancora, ma non posso approfittare di questa situazione.
Anna si muove nel sonno e si rigira con gli occhi chiusi. Il mio cuore inizia ad accelerare, pensavo di averla svegliata. Appoggio la testa sul cuscino e cerco di dormire per qualche ora.
Mi sveglio tutto sudato e trovo Anna dormire sul mio petto. L'ho avvolta tra le mie braccia senza nemmeno rendermene conto. Ha le labbra appoggiate sul mio petto nudo. Sorrido e le accarezzo il viso. Sul comodino, l'orologio segna le sette del mattino. Ho dormito tutta la notte senza rendermene conto e non ho fatto nessun incubo. "Strano".
Appoggio delicatamente la testa di Anna sul cuscino e mi alzo. La osservo ancora per qualche secondo, esco dalla camera e scendo in palestra. Sono confuso. Da quando è entrata nella mia vita è stata solo un mezzo per raggiungere un fine, ma il bacio di ieri sera... sta mandando i miei propositi a puttane.
Scendo le scale con un mezzo ghigno, sono piuttosto sicuro che quando si sveglierà e ricorderà ciò che abbiamo fatto ieri sera, le sue guance diventeranno due mele mature e non vedo l'ora di vedere quel fenomeno che mi piace così tanto.
A un paio di gradini dal fondo alzo la testa e i miei pensieri scompaiono. Resto fermo, sbattendo una sola volta le palpebre e mi ricompongo, il sorriso divertito che avevo sul volto scompare, gli occhi fissi sull'uomo calvo in completo nero che ho di fronte. Raddrizzo le spalle, il mento in alto e scendo gli ultimi gradini con gli occhi puntati nei suoi. Lui si alza dalla poltrona nera dell'ingresso lisciando la giacca impeccabile.
«Marcus», dico calmo.
L'uomo, mi saluta con un cenno e si rivolge a me con cordialità. «Signor Bailey. Spero di non averla disturbata...» si precipita a dire.
"No, ma hai acceso la mia curiosità". Sospiro, sono ben consapevole di essere a petto nudo, e molto più rilassato del solito, per non parlare del fatto che non ero già svegli dall'alba. L'uomo che ho di fronte mi osserva con insistenza senza sfuggirgli nulla, i suoi occhi scuri si accendono di curiosità. «Seguimi nel mio studio, Marcus». volto a destra, diretto alla porta di legno massiccio, ben consapevole che lui mi stia ancora fissando la schiena.
La apro, Marcus mi segue. Lo invito a sedersi sulla poltrone in pelle nera attorno al tavolo di vetro. Agguanto una bottiglia d'acqua lasciata lì spora, ancora chiusa, e la apro. Marcus segue ogni mio movimento come un falco. Ne scolo a metà, riavvito il tappo e la lascio sul tavolo.
«Cosa ci fai qui?» mi siedo di fronte a lui. "Ho bisogno di un caffè, non posso intrattenere questa conversazione senza la mia dose mattiniera".
«Sono qui per ordine della signora Katherina». Mi informa, restando perfettamente composto. Ha le spalle dritte e il mento in alto, le mani appoggiate sulle cosce fasciate dai pantaloni neri del completo.
«Questo è ovvio, Marcus. Ma, la mia domanda era: che cosa ci fai qui a Bologna», stringo appena gli occhi; lui non batte ciglio. "Se la nonna lo ha inviato qui, vuol dire che è una cosa seria". Mi appoggio allo schienale, sospirando. Lui mi guarda attentamente, i suoi occhi scuri scivolano sul mio aspetto insolito. È passato parecchio tempo da quando mi ha visto in uno stato di totale rilassamento. Forse l'ultima volta era stato tredici anni fa o giù di lì.
«Sua nonna vuole tenere una serata di beneficenza. Mi ha detto di riferirle che si terrà il sette aprile a Montreux. Nel suo albergo. Ci saranno i vostri soci in affari. La signora ha spedito gli inviti. A lei, invece, voleva lo dicessi io». toglie un grumo di polvere invisibile dalla giacca.
"Perché?" Mi raddrizzo, sospirando. «Vuoi dire i miei soci», lo scruto da sotto le ciglia, ma lui resta impassibile. «Quale dei due tipi? I mafiosi o i governatori corrotti?»
«Non sono in grado di darle una spiegazione più approfondita. Ma sarà sua nonna a dirglielo di persona». Dice calmo.
Scatto con la testa indietro. «La nonna vuole venire qui?»
«Sua nonna è già qui, signore. Alloggia nella tenuta Adria».
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