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CAPITOLO 2



~ANNA~

"Se io mi dibatto contro il fango, è certo che vincitore o vinto, ne rimarrò imbrattato."
Giacomo Casanova

«Anna!» la voce della mia coinquilina mi raggiunge attraverso il corridoio, sussulto e lascio la fetta biscottata nel piatto, sbuffando. Non riuscirò mai a comprendere come faccia ad avere una voce così squillante alle sette del mattino, è un mistero.

«Che succede?» corro da lei, che fissa l'interno della mia camera dalla soglia e si gira verso di me, pallida.

«Oggi passa il padrone di casa!»
Mi affaccio e lancio uno sguardo alla mia camera. Vicino al comò c'è una pila di vestiti che avrei dovuto piegare ieri, la camicia nera che mi ero tolta ieri sera, una volta tornata da lavoro, giace sul pavimento. Il mio reggiseno pende agganciato al bracciolo della poltrona blu di fronte alla scrivania, un paio di libri sono stati gettati sul comodino vicino all'armadio scuro e un'altra pila di vestiti all'angolo implora di essere lavata.

«Che disastro», mormoro mortificata. «Mi dispiace, ieri sera ho studiato fino alle due per l'esame di spagnolo...»

La mia migliore amica rotea gli occhi al cielo con uno sbuffo. «Va bene, ti darò una mano a sistemare la tua camera, ma questa è l'ultima volta. Intesi?», mi rimprovera bonariamente.

Le rivolgo un sorriso pieno di gratitudine e le scocco un bacio sulla guancia. «Sei un tesoro, chissà come sarebbe la mia esistenza senza di te».

«Sarebbe un disastro ecco come sarebbe. Ora va a vestirti, ci penso io», Carmen muove la testa in un gesto d'impazienza e inizia a raccogliere la roba sparsa.

Mi avvicino allo specchio e nei miei occhi castano chiaro si vede tutta la fatica e la stanchezza accumulata: sono arrossati, contornati da profonde occhiaie scure, la mia chioma ribelle color cioccolato mi incornicia il viso spossato.
"Dio, come ti sei ridotta, Anna. Sei senza speranze."

«Maledetto Gerald! Finirà per farmi odiare lo spagnolo!»

Mi faccio una doccia veloce, asciugo i capelli con il phon e applico giusto un po' di mascara per mettere in risalto le ciglia e gli occhi. In cucina, trovo Carmen con in mano il cesto della biancheria sporca raccolta nella mia camera; i capelli dorati le cadono sulle spalle e brillano come una cascata di diamanti.

«Non ti merito, Carmen. Dico davvero».

«Lo so, sciocca ragazzina disastrosa».

«E dai, non sono poi così male. La pasta di ieri sera era buona, mi pare», la prendo in giro.

«Togliendo il fatto che era salatissima, direi che no, non sei male», ridacchia,
un grande sorriso le illumina gli occhi, azzurri come il più pacifico degli oceani.

«Allora, devi sempre mettere i puntini sulle I? E dai! Almeno ho cucinato, no?»

Lei rotea gli occhi al cielo per la seconda volta e posa il cesto per terra.
«Vai, adesso, o arriverai in ritardo per la terza volta in una settimana».

Giuro che a volte sembra mia madre.
«Lo so, ma gli appunti di Gaia sono un disastro», aggiungo sospirando. «In più fuori sta ricominciando a piovere e io sono in bici».

«Ho visto la luce accesa, mi dispiace. Se vuoi, prendi la mia macchina».

«No, tranquilla, con un po' di fortuna riuscirò ad arrivare in tempo. Poi con la pioggia il traffico sarà un inferno. Meglio la bici».

«Tu e la paura di guidare! Sveglia, bimba, ormai hai la patente da sei mesi!»

«Ti prego, non iniziare con le tue ramanzine già alle sette e mezzo del mattino.»

«Sei sicura? Ho appena iniziato e ne ho per tutto il giorno.» Afferma cercando di mantenere un'espressione seria, ma i suoi occhi azzurri brillano di divertimento. «Oggi ho il giorno libero. Dopo la visita del padrone di casa, mi dedicherò alle pulizie e guarderò un po' di TV», poggia il cesto della biancheria intima a terra e sospira rilassata abbandonando il discorso in corso.

«Che bel programma», sbuffo. «Non sai quanto ti invidio. Ma ora vado, ciao».
Le bacio la testa, indosso la mantella nera per proteggere il tailleur dalla pioggia ed esco di casa.

Come ogni giorno, prendo tre respiri profondi per farmi coraggio e affrontare la giornata di lavoro, scendo le scale e inforco la bici.

Pedalo veloce sulla strada dissestata, tra autobus e automobili, sperando di evitare l'acqua che sta per riversarsi sulla città e sulla mia testa. Le persone camminano sotto i portici accanto a me, immerse nei loro pensieri, e i negozi stanno alzando le saracinesche. Il profumo di pioggia e di asfalto bagnato mi entra nelle narici, a tratti sento anche un sentore di caffè appena macinato, ogni qualvolta passo affianco ai bar. Nonostante le nuvole nere, l'aria fredda e la luce cupa, tutto di questa città mi affascina.

Le prime gocce mi bagnano il viso e per un secondo contemplo l'idea di infilarmi sotto i portici.
"No, c'è troppa gente, ci metterei il doppio, e sono già in ritardo", aumento il ritmo delle pedalate e sfreccio sotto la pioggia, coi capelli che mi s'incollano al viso.

Arrivo al bar accanto al lavoro che sono fradici, non oso immaginare come siano ridotti.
«Maledizione... ci avevo messo mezz'ora a sistemarli», sibilo tra i denti e fisso la bici col lucchetto nel mio solito angolino riparato.

Tolgo la mantella zuppa ed entro nel bar, Marie mi saluta, senza chiedere mi fa il caffè che bevo al bancone. La saluto e me ne vado, diretta alle strisce pedonali.

Guardo distrattamente a destra e a sinistra, le auto si stanno fermando. Scatta il verde, il segnale acustico è così acuto da essere fastidioso.

Attraverso insieme agli altri pedoni, attenta a non schiantarmi contro nessuno e a non infilare i tacchi nelle crepe dell'asfalto.

A un passo dal marciapiedi, una ventata d'aria carica di gocce di pioggia mi sferza e una sfilza di macchine mi sfreccia accanto. Scatto avanti per non essere investita. Il tacco cede e si rompe e la caviglia mi si piega con una fitta di dolore, cado sull'asfalto bagnato sporcando i pantaloni.

Resto a bocca aperta, il cuore mi batte selvaggio nella gabbia toracica, ma il pensiero corre al mio capo e a quanto non sia propensa a tollerare la sciatteria e il disordine.
«Maledizione! E adesso come faccio? Matilda mi ucciderà, o mi licenzierà, nel migliore dei casi».

L'osso sacro mi fa male, e anche la caviglia, ma stringo i denti e mi rimetto in piedi con uno sbuffo.

Mi giro nella direzione delle macchine colpevoli, con mio gran stupore si sono fermate davanti all'ingresso del palazzo in cui lavoro. Aggrotto la fronte, sono tre bestioni neri coi vetri oscurati.

Le portiere si aprono e degli uomini in giacca e cravatta smontano. Lo sportello del guidatore della macchina più grossa si apre, rivelando un uomo alto e calvo che si volta per aprire la portiera posteriore, da cui smonta un altro uomo dalle spalle larghe e rigide. Con la sua statura imponente, e i tratti distinti, ha una presenza notevole.

I capelli scuri e la mascella squadrata ne sottolineano l'aura di forza. Indossa scarpe nere laccate e un raffinato completo blu che gli calza a pennello. Inclina la testa in alto, verso la scritta "Bailey Corp".

Gli altri uomini, che suppongo siano le sue guardie del corpo, si sparpagliano ai quattro angoli e osservano la strada e il perimetro.
"Bastardi!"

L'idea di essere licenziata per colpa di uno sconosciuto pieno di soldi mi provoca un brivido caldo lungo la schiena, mi viene da piangere.

«Signorina, sta bene?» un uomo con la fronte aggrottata e con un chihuahua in braccio richiama la mia attenzione, ma io non riesco a staccare gli occhi dallo sconosciuto che sembra uscito da Forbes.

Come se avesse avvertito il mio sguardo su di sé, lui si volta e mi guarda. Ho un vuoto allo stomaco e mi si mozza il respiro. È il doppio di me, il vento gli scompiglia appena i folti capelli neri, pettinati alla perfezione, facendo cadere un ciuffo di fronte agli occhi. Le labbra carnose sono serrate in una linea dura, i tratti simmetrici, la mascella squadrata e la postura impeccabile gli conferiscono un tocco magnetico.

Per un attimo, guardarlo è doloroso. Penso che sia l'uomo più bello che io abbia mai visto in vita mia.

«S-sì sto bene. Grazie», deglutisco e sostengo il suo sguardo. Il brivido freddo che mi provoca fa a botte con la rabbia che mi esplode nel petto.
Faccio qualche passo malfermo sul tacco rotto, il sangue mi corre veloce nelle vene, e un nodo mi strozza la gola. Sono sull'orlo delle lacrime.

Mi fermo per darmi un contegno.
"Non preoccuparti, telefona a Carmen e fatti portare un cambio".

Prendo il cellulare dalla borsa e la chiamo. Lei accetta subito. «Ehi, tesoro, ho un problema».

«Cos'è successo?»

«Ti spiego tutto più tardi, ma potresti portarmi al volo un paio di pantaloni del tailleur e un paio di scarpe?» mi trema la voce e le lacrime mi pizzicano li occhi.

«Va bene, arrivo», mormora dopo un attimo di esitazione.

«Grazie, sei un tesoro», chiudo la chiamata e sospiro, l'aria fredda mi sferza i vestiti bagnati e mi fa rabbrividire.

Quell'uomo mi sta ancora guardando.
Più mi avvicino, più i suoi occhi mi catturano, addensando l'aria nei miei polmoni.

Lui si sofferma per un istante sulle mie labbra tremanti dal freddo e riporta gli occhi nei miei. Le iridi nocciola, quasi dorate, sono risaltate da pagliuzze verdi, il taglio degli occhi sembra triste, in contrasto coi tratti severi del viso.
Un brivido mi corre lungo la schiena, e questa volta non è il vento. Ho bisogno di sfuggirli, eppure non riesco a distogliere lo sguardo da quello sguardo ipnotico.
Dovrebbero essere illegali su un volto del genere.

Le sue guardie del corpo gli si chiudono attorno, una si frappone tra noi e interrompe il contatto. L'aria mi rientra nei polmoni, non mi ero accorta di aver smesso di respirare. Lui fa un cenno agli uomini che si rilassano e riaprono il passaggio.

«Chi sei?» la sua voce roca e profonda mi ghiaccia ogni fibra del corpo. Denota potenza e maturità, conferendogli un aspetto sensuale nell'insieme.
Tutto ciò che poteva aver scatenato in me si dissolve nell'aria come il fumo di un rogo appena spento.

Dovrei tirarmi indietro e non dirgli niente, ma non posso fargliela passare così, dopo essere stata quasi investita...

Deglutisco e schiarisco la gola: «Salve. Il suo autista mi stava per investire, poco fa», la voce mi esce molto più bassa di quello che avrei voluto, in compenso sostengo il suo sguardo imperturbabile.

Passa in rassegna il mio corpo senza dire niente e si sofferma su un punto indefinito del mio viso, ma tace. Tutto in lui grida attrazione, potere e freddezza. È bello, imponente e attraente... molto attraente. «Devo andare al lavoro e di certo non posso andarci così. Per colpa del suo autista, mi licenzieranno», deglutisco di nuovo, il cuore aumenta il ritmo e ho le mani sudate.

Lui mi squadra di nuovo da capo a piedi, impassibile, in un modo che mi fa sentire disperatamente inappropriata. Un calore mi pervade e non ho bisogno di guardarmi allo specchio per sapere che sono diventata bordeaux.
Fa un verso roco, come se non gli importasse nulla.

Si gira verso la strada e osserva un punto lontano. «Sono costernato per il suo disagio, ma avrebbe dovuto guardare meglio, prima di attraversare la strada. La colpa non è del mio autista».

"Ma che cazzo!"

Apro e richiudo la bocca, scioccata. È come se qualcuno mi avesse gettato in testa una secchiata di acqua gelida. Si sta facendo beffe di me.

"Stai calma, Anna. Se si trova qui vuol dire che è qualcuno di importante e tu non vuoi perdere il posto di lavoro, giusto? Quindi respira."

La voglia di rispondergli a tono, però, ha la meglio. «Sì certo, sarà stato un colpo di vento a farmi cadere e a rompermi il tacco».

«Non sa chi sono io, vero?»

"Che pallone gonfiato", sgrano gli occhi, il suo comportamento mi provoca un nodo arido alla gola.
Faccio lunghi respiri profondi assottigliando gli occhi.

"Respira, Anna. Stai calma, per l'amor del cielo."

«No, in realtà non so chi sia lei, ma deduco dalle guardie del corpo che sia qualcuno di importante, e lungi da me dichiarare che mi trovo in questa situazione a causa sua o del suo autista», a questo punto non posso fare più nulla, se non sperare che Matilda abbia pietà di me e non mi licenzi. Scoppio in una fragorosa risata nasale per la disperazione, lui mi fissa torvo e aggrotta la fronte. «Mi scusi, mi scusi. Rido perché stanno per licenziarmi da qui a qualche minuto».

«Stia tranquilla, nessuno la licenzierà».
Apro la bocca e la richiudo indecisa se parlargli del mio capo. Se la conoscesse saprebbe in che casino sono.

"Ma anche fosse, cosa gliene fregerebbe? Guarda come ti ha risposto."

«Con permesso», mi abbasso e mi tolgo le scarpe, pronta a entrare nella hall, lui alza le sopracciglia di colpo.


«Mi faccia capire: ha intenzione di andare al lavoro scalza?»
Fa un mezzo sorriso che incurva gli angoli della sua meravigliosa bocca in una mezza luna e il mio ventre si contrare.

«A mali estremi, estremi rimedi, signore».

Lui arriccia le labbra, come se lo avessi divertito e annuisce, gonfiando il petto ampio.

«Interessante. Non ha un cambio con sé, come sono solite a fare le donne?»

«In realtà, ho chiamato la mia amica perché me lo porti, ma purtroppo devo entrare, altrimenti rischio di tardare».

L'uomo imperioso mi osserva sorpreso, i suoi occhi tornano di ghiaccio come anche la sua espressione.

Gli do le spalle, ma la sua voce roca mi fa sobbalzare: «Buona giornata».

"Buona giornata un corno."

Spazio Autrice

Allora voglio sapere nei commenti che ne pensate del primo incontro tra Anna e il misterioso "Stronzo".

Per chi l'ha già letto in passato, mi piacerebbe sapere che ne pensate di questo cambiamento.

Baci, baci.
Kappa_07
💜

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