CAPITOLO 18
~NATHAN~
🔴TRIGGER WARNINGS🔴
Attenzione questo capitolo contiene scene esplicite di violenza sulle persone. Si sconsiglia la lettura alle persone deboli di cuore.
'La vita ci insegna ad essere forti, se riesci a vincere la paura della sofferenza hai il mondo ai tuoi piedi'
Kappa_07
Mi trovo seduto su di una sedia di fronte alla piscina dall’acqua cristallina mentre medito sul da farsi riguardo a tutte le faccende in sospeso della mia vita.
I miei uomini hanno catturato Domingo un paio di giorni fa, appena in tempo prima che arrivasse in Sicilia. Ora è confinato in un capannone abbandonato, a ovest di Bologna, e sorvegliato dai miei uomini. Brad ha detto che non è stato facile prenderlo, ma poco importa. Hanno ottenuto lo stesso il risultato.
Erasmus ha confermato i miei dubbi: mio cugino ci stava tenendo d’occhio, sapeva che al molo ci sarebbe stato il carico. Per quanto provi a farmene una ragione, non riesco a placare la voglia di uccidere chiunque mi capiti di fronte. Sono stato battuto ancora una volta da quel verme.
In questi giorni, ho scaricato la frustrazione sul ring. Ho spaccato il naso a uno dei miei uomini, mentre combattevamo. Il sangue mi ribolle in corpo come lava, e per quanto la giornata si prospetti positiva, so che non riuscirò concentrarmi al cento per cento sul mio obbiettivo finale.
Stringo forte i braccioli; i passi di Flora si avvicinano. Conosco il suo passo leggero e sicuro, da quando ne ho memoria. Alzo lo sguardo su lei, che mi sta portando la colazione. Indossa un completo grigio dalle comode scarpe nere.
«Buongiorno Signore». i suoi occhi scuri mi esaminano e lei lasciare sul tavolo i due piatti che profumano di spezie, uova e bacon. Mi sale l’acquolina in bocca.
Le regalo un sorriso flebile.
«Buongiorno Flora. Dormito bene?»
Flora annuisce, regalandomi un sorriso. «Molto bene signore, la ringrazio. Ho fatto le uova come piacciono a lei. Ci ho aggiunto l’ingrediente segreto».
«I granuli di pistacchio?»
«Esatto. Ora mangi, e la smetta di frustrarsi su ogni problema della sua vita». Mi redarguisce gentilmente.
«Se solo fosse così facile, Flora». sospiro di frustrazione.
La donna dai capelli castani mi osserva per un attimo in silenzio. «Sa, suo padre ogni volta che doveva risolvere un problema grave, si prendeva qualche giorno di pausa per riflettere. Mi ricordo che una volta mi disse: «‘Con la mente sgombra riesco a vedere il quadro più ampio della situazione. E laddove non riesco a trovare la soluzione, mia moglie riesce a fornirla in pochissimo tempo’».
Mi osserva profondamente, i suoi occhi mi perforano, e col groppo in gola al ricordo dei miei genitori, le rivolgo un sorriso flebile che scompare subito.
«Lei non ha una moglie, ma ha due armi potenti: l’intelligenza e la minuzia. Si estranei da tutto e cerchi di fare come suo padre, trovi la soluzione dove sembra non esserci».
“Hai ragione. Ma se solo fosse così facile”, faccio un lungo respiro e annuisco. «Forse dovrei smettere di pensarci e occuparmi d’altro. Hai ragione».
Flora mi regala un sorriso, gli occhi pieni di speranza e le rughette agli angoli della bocca più pronunciate. Sembra felice della mia risposta. Se ne va, lasciandomi solo a consumare la colazione.
Ingurgito tutto il piatto, ma non faccio in tempo ad alzarmi per andare a prepararmi che Erasmus mi raggiunge col volto pieno di collera. Ha le mani strette a pugno, le spalle tese e il respiro corto. Si siede con un tonfo sulla sedia di fronte alla mia.
Alzo un sopracciglio. «Non sei riuscito a trovare nulla?»
«No, cazzo! Hanno manomesso tutte le telecamere prima, e sui nastri registrati, non c’è nessuna traccia. Hanno agito di notte, l’ultima registrazione è avvenuta all’una e tredici. Quei bastardi sapevano ciò che facevano». Sputa velenoso. Il suo volto si deforma, rivelando un solco in mezzo alle sopracciglia folte.
Annuisco, benché la rabbia sia tanta, tergiversare su questo argomento non ci porterà da nessuna parte.
«Oggi si balla?» domanda Erasmus.
«Cercherò almeno di risolvere una delle questioni in sospeso nella mia dannata vita, visto che le altre sembrano non avere soluzione». Mi prudono le mani e stringo il morso per contenere la tempesta che ho dentro.
Domingo ha avuto la brillante idea di rompermi le palle non una, ma ben due volte di seguito nonostante il mio avviso. E uno dei suoi ha tentato di fare del male a quella ragazzina. Ho idee molto chiare su cosa fare a quel gangster da quattro soldi.
***
Joel è stato minuzioso nello scegliere il posto dove torturare la gente. Tra i capannoni abbandonati della zona, il terreno è vasto e l’erba alta. Oltre a una dozzina dei miei uomini, non c’è anima viva.
«Dov’è?» domando a Brad, che è a fianco a me assieme a Erasmus. Luke fuma una sigaretta.
«È legato dentro, signore».
«Bene». Annuisco e arrotolando le maniche della camicia faccio un respiro profondo.
Apro e richiudo le dita, il sangue mi corre come veleno nelle vene. “Indossare una camicia bianca non è stata una buona idea”.
Apro la porta grigia, che cigola, ed entro seguito dai miei uomini; l’odore di sangue e muffa mi pervade le narici. Imbavagliato e legato mani e piedi a una sedia c’è un uomo pelato dalla fronte piena di sangue. Sogghigno e gli vado di fronte. Chiazze di sangue secco macchiano il pavimento e la rabbia torna a trionfare.
Prendo una sedia abbandonata in un angolo della stanza e con un tonfo la posiziono davanti a lui. Mi siedo e appoggio i gomiti sulle cosce. Ha un sopracciglio spaccato, l’occhio destro è violaceo. Sul mento, sotto il bavaglio che gli tappa la bocca, ha un rivolo di sangue secco. Tiene la testa ciondoloni mentre si guarda le cosce. I miei uomini ci hanno dato dentro durante la cattura.
«Allora, dimmi: cosa non ti è stato chiaro dei miei due avvertimenti?»
Mi osserva sotto le ciglia. I suoi occhi esprimono una rabbia cieca.
“Pensi di sopportare tutto quello che ti farò?” Ghigno, sbatto le mani sulle cosce e mi alzo.
«Le cose possono andare in due modi», mi sfrego il labbro inferiore con l’indice e fingo di meditare. «Potresti essere collaborativo, e questa situazione finirebbe in fretta. Oppure, potresti restare muto come in questi due giorni e soffrire come un cane fino al tuo ultimo respiro». Domingo, deglutisce, ma resta zitto. Faccio un mezzo sorriso che scompare subito. «Bene, vedo che hai scelto».
Joel si avvicina con delle pinze e me le porge. Domingo alza la testa di scatto, gli occhi sgranati come biglie. «C-cosa vuoi sapere?» domanda balbettando, la paura abbraccia il suo volto massacrato.
«I punti deboli di Don Giovanni. Dopotutto sei uno dei suoi lacchè». Arrotolo le pinze fra le mani, in attesa della sua risposta.
«N-non ne ha nessuno», dice a denti stretti, allungando il collo.
Chiudo gli occhi, deluso. «Risposta sbagliata». Faccio un cenno a Joel, che capisce al volo e va dietro a Domingo. Gli prende la testa, quest’ultimo si dibatte, ma Joel sposta una mano sotto la mascella e l’altra sulla fronte e lo tiene fermo.
Mi avvicino senza mai staccare gli occhi da Domingo; ogni atomo del mio corpo è concentrato su un unico pensiero fisso: farlo soffrire. Gli prendo la mascella e gli spalanco la bocca. Vi conficco le pinze e le chiudo attorno a un molare.
«Mi piacciono gli uomini come te. Quelli che pensano di essere forti». Alzo il mento e gonfio il petto, il cuore mi rimbomba nelle orecchie. «Quelli che non hanno paura di niente», stringo le pinze e le ruoto appena. «Ma sono curioso di scoprire quanto resisterai».
Tiro in uno strappo deciso, il dente si sradica dalla gengiva al rallentatore. Domingo emette un urlo soffocato dal sangue che gli imbratta la bocca. Si agita, le sue gambe si muovono in modo convulso e le mani legate sfregano con forza contro il ferro della sedia. Una lacrima lascia le ciglia dell’uomo sofferente intrappolato nelle mani di Joel che non cede la presa. L’odore del ferro si mescola con quello della sigaretta che sta fumando Luke dietro di me.
Faccio un respiro profondo e osservo il dente insanguinato che stringo nelle pinze. «Di nuovo. Cosa nasconde il tuo capo?» libero il dente, lasciandolo cadere in un tumbler vuoto.
Joel lo lascia andare Domingo, che fa oscillare la testa, sofferente. «È imbattibile. Tutti ci hanno provato, ma sono morti», dice col fiato corto. Il suo petto va su e giù velocemente.
Sbuffo e a denti stretti scandisco: «Informazioni».
«N-non conosco i suoi segreti g-giuro». Balbetta.
Prendo un lungo respiro dal naso; Joel lo blocca di nuovo, imperturbabile.
«Vediamo se così ti ricorderai qualcosa di utile», afferro un canino e con un colpo secco glielo sradico dalla bocca. Domingo piange, tremando. «Vediamo se rispondi a questa domanda, che è la più semplice». Mollo le pinze e agguanto il panno che mi passa Brad. Pulisco le mani dal sangue che mi imbrattava le dita e riporto lo sguardo su di lui. «È stato Don Giovanni a dirti di fare casino a Bologna? Hai fatto tutto per ordine suo, non è così?»
Domingo alza la testa lentamente, i suoi occhi sono socchiusi dalla sofferenza. «Voleva solo darti un po’ di fastidio. Ma io non volevo, giuro. Non volevo…»
Ghigno. «Dimmi i suoi punti deboli. Voglio sapere tutto».
Lui nega con gli occhi sgranati. «Non li conosco ».
Annuisco, per nulla contento delle sue risposte. Joel prende l’iniziativa e gli sferra un pugno in pieno. Domingo sputa sangue, la chiazza rossa del suo pugno è immediatamente visibile.
«Ti piace la carne cotta sulla brace?» gli domando, assottigliando lo sguardo. Domingo muove la sedia facendo un verso. «Shhh… shhh… tranquillo. Le cose con te le farò con calma. Non ho alcuna fretta», mi accuccio di fronte a lui per guardarlo negli occhi. «Quali sono i segreti di Don Giovanni?»
Brad accende il fuoco e prende il solito lungo ferro chiodato. Lo mette sul fuoco e lo lascia scaldarsi. Domingo saetta lo sguardo dal fuoco a me. Sorrido, questa faccia sgomenta è ossigeno per me. «Dimmi qualunque cosa possa compromettere lui e morirai senza soffrire più. Continua a restare vago e soffrirai».
Domingo mi sputa contro, ma non con abbastanza forza da raggiungermi. Sibilo un’imprecazione e gli tiro un pugno in faccia, il suo naso inizia a sanguinare.
«Qualunque cosa io ti dica, non riuscirai mai a vincere contro di lui» sibila divertito.
Gli occhi mi si infiammano e gli tiro un altro pugno alla gola. Tossisce e respira a fatica.
«Tu provaci a raccontare, è l’unica salvezza che ti rimane». Parlo pacato, ma deciso.
«Non mi uccidi e io ti racconto tutto. È questo il patto. Tutti sanno che mantieni la parola data. Quindi… lasciami vivere e io ti racconterò tutto» la voce è disperata, gli occhi sgranati, ma le pupille mostrano una scintilla di speranza.
Assottiglio lo sguardo e mi volto verso Dylan, lui annuisce in silenzio, imperturbabile con le braccia raccolte al petto.
«Da parte mia, ti do la mia parola che non ti ammazzerò». Dico con gli occhi incollati nei suoi. Un sorriso subdolo mi nasce sulle labbra, ma lo nascondo in tempo, mentre Domingo osserva con terrore il ferro appuntito e scintillare.
Lui inizia a balbettare: «D-Don Giovanni… h-ha un figlio», lo sguardo corre sempre più veloce nella direzione del fuoco.
“Ha un figlio. Interessante scoperta”.
«Abita a Londra e si chiama Gennaro, ma si fa chiamare Grady. S-so che è il suo punto debole, perché è l’erede, e che lo tiene sempre nascosto, ecco tutto quello che so».
«Altro», chiedo deciso.
Domingo scuote la testa, balbettando: «È l’unica cosa che so, te lo giuro. Non so altro, ora lasciami andare». Chiede disperato.
«Bene, ora ti libero». Gli dico, ma sento un fruscio alle mie spalle.
Dylan si mette al mio fianco. «Lui ti ha promesso che non ti avrebbe ucciso, ma io no», con un movimento lento e veloce allo stesso tempo, estrae la pistola da dietro la schiena, abbassa la sicura e fa un passo in avanti, puntandola al centro della fronte di Domingo. Quest’ultimo sgrana gli occhi, pervaso dal terrore, e prima ancora di pronunciare una sillaba, un boato riempie il capannone.
Dalla fronte di Domingo scorre del sangue cremisi. I suoi occhi si spengono, il corpo si affloscia in avanti, la testa penzoloni.
Mi volto verso i miei uomini, Joel e qualcun altro sono già all’opera per ripulire. Esco dal capannone e riunisco i miei uomini. Hanno sentito tutto e attendono i miei ordini. «Dylan, sai già che cosa devi fare».
Lui annuisce, i suoi occhi verdi comunicano carica determinazione. «Ho già contattato Tony, stasera partirò per Londra e rapiremo Gennaro per avere un vantaggio su quel vecchio bavoso».
Rispondo con la voce graffiante: «Molto bene».
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