★Capitolo 4 - Evan - Un Salvataggio in Extremis★
Nel frattempo in città...
Sistemando al meglio il berretto di lana nero sul capo e, avanzando per le strade della città, sono a piedi. Sfortunatamente, il carburante dell'auto è ormai terminato. Ho bisogno di fare un rifornimento. Le temperature iniziano a diminuire, fa così freddo, che sono costretto a sfregare le mani una contro l'altra per riscaldarle.
Ho lasciato l'auto nei pressi di una stazione di benzina vicino a un MC Donald's desolato. Nel quale, ho trovato degli snack in un distributore automatico. Li ho raccolti e conservati nello zaino.
Il cielo è illuminato dalla pallida luna. Da un po' ormai è calata l'oscurità, e la neve inizia a cadere dall'alto e ad appiccicarsi sui miei vestiti e sulle ciocche di capelli ribelli che escono dal berretto.
Mi guardo intorno: le strade sono deserte, alcuni esseri mostruosi in lontananza si avvicinano.
Faccio frettolosamente un Self service alla stazione di benzina.
Mentre sto per salire in auto, vedo spuntare dalla strada una ragazza che scappa verso un vicolo cieco.
Si sentono dei versi inquietanti delle creature mostruose. La ragazza è circondata da un gruppo di quelle creature abominevoli. Istintivamente impugnando la pistola miro alle loro teste e faccio fuoco, uccidendone tutti in pochissimo tempo.
La ragazza è lì tremante e infreddolita. Indossa: dei jeans azzurri strappati sulle ginocchia e una maglia grigia a brandelli sulle braccia.
È sotto shock, si è accovacciata nel vicolo illuminato dalla luce dei lampioni.
Si toglie la maschera antigas e solo in questo istante posso vederla in viso. Stranamente, noto che in lei c'è qualcosa di familiare.
È come se la conoscessi da tempo, mi avvicino con cautela e con un gesto delicato le appoggio la giacca di pelle sulle spalle.
Non è il massimo per coprirsi dal freddo pungente, ma sempre meglio di niente.
Lei appena le ho coperto le spalle con la mia giacca, se la stringe al petto e smette di tremare. «Sta bene? Ma sta sanguinando, oddio è ferita!» Biascico notando del sangue sui suoi vestiti.
La ragazza scuote il capo. «Sto bene ed è merito tuo, non è il mio sangue quello. Ma delle creature orrende che ho ucciso.» Mormora con un filo di voce.
«Mi fa piacere che non sia ferita. È pericoloso girovagare in strada con quegli esseri in giro, vuole venire con me?» Le chiedo con sincerità, mentre le porgo la mano.
La ragazza, alza lo sguardo verso di me.
È bella: di altezza media, intorno a un metro e settanta. Ha i capelli lisci e corti, una ciocca bionda le scivola davanti al viso, i suoi stupendi occhi colore acquamarina mi rapiscono, ho soffermato lo sguardo per un attimo sulle sue labbra rosee che le donano un aspetto innocente. Osservandola lì di fronte a me, appare di corporatura minuta al confronto con la mia stazza fisica un metro e ottanta.
Ha lo sguardo basso, forse per la timidezza si sfiora nervosamente una ciocca di capelli. Noto che al collo pende una collana, ciò che mi colpisce di più sono due cuori d'argento intrecciati, e sopra i quali vi si scorgo delle iniziali A. e E.
Devo ammettere che la ragazza e la sua collana mi sono stranamente familiari. Sento che c'è un legame tra me e la ragazza misteriosa.
Indietreggiando di un passo avvicino la mano alla fronte, una fastidiosa emicrania mi colpisce e subito dopo avverto una sorte di visione.
Nella quale vedo me stesso mentre stavo allacciando la collana al collo della ragazza che ho di fronte.
Perché non ricordo il suo nome? Mi sembra di conoscerla, maledizione! Non ricordo nulla, penso e con amarezza mi passo una mano tra i capelli.
«Tutto bene?» Sento la sua voce che mi riporta alla realtà.
«Sì», rispondo di rimando.
Appena incrocia il mio sguardo, la ragazza sgrana gli occhi. Nei quali leggo stupore, come se fosse meravigliata di vedermi lì, e in un istante, mi trovo tra le sue braccia.
Mi cinge forte a sé in un abbraccio caloroso.
«Evan! Che gioia. Grazie al cielo stai bene, mi sei mancato!» Sussurra con voce flebile.
Resto lì immobile per un attimo, incredulo nel comprendere che lei conoscesse il mio nome. Chi è? E soprattutto come è riuscita a sopravvivere in mezzo a quell'orrore? Mi chiedo, mentre con dolcezza le cingo le spalle e istintivamente l'ho abbracciata.
«Fa piuttosto freddo qui fuori, venga con me», mentre mi stacco da quel affettuoso abbraccio la ragazza mi guarda negli occhi. «Verrò con te. Non capisco, non ricordi chi sono?» Abbassa tristemente lo sguardo, si morde il labbro inferiore.
Sto per risponderle, ma improvvisamente, si sentono i versi inquietanti delle creature abominevoli che spuntano da un vicolo. Prendo la ragazza per mano e trascinandola la costringo a seguirmi. Correndo verso la Chevrolet vicino alla stazione di benzina.
Uccido uno di quei mostri che ostacola il nostro cammino.
La giovane mi guarda stupita. Apro lo sportello dell'auto, costringendola a salire a bordo. Lo richiudo in fretta, salgo al lato guida, metto in moto e partiamo. Accendo il riscaldamento e nell'abitacolo, l'ambiente inizia a riscaldarsi. La ragazza è in silenzio forse ancora sotto shock per ciò che sta vivendo.
«Ah! Che bel tepore, sta meglio adesso?» Le chiedo per rompere un po' quell'atmosfera di tensione.
La ragazza resta un istante in silenzio.
«Sì, si sta molto meglio adesso. Grazie, sono felice che tu stia bene. Non ti ricordi chi sono, in effetti è normale, ti sei risvegliato dal coma. Comunque, mi chiamo Alessa!», Mi dice con un tono di voce dolce, appena sento il suo nome, in quel momento ho un flash, un ricordo che mi lega a lei.
Era una fredda sera invernale, pioveva camminavo sotto la pioggia ero diretto verso casa. La mia amata Isabelle non era più con me ormai da molto tempo, il cancro me l'aveva portata via. Non volevo restare solo in casa, era piena dei nostri ricordi.
Quella sera, ero nei pressi della mia abitazione. Quando a un tratto udii una voce femminile gridare «Aiuto, qualcuno mi aiuti!» Mi voltai indietro dove provenivano le grida della giovane e vidi in un istante un uomo con un cappuccio sul capo che stava importunando la ragazza, tenendola ferma con forza.
A quella scena, compresi le malevole intenzioni dello sconosciuto e con uno scatto mi avventai contro il malvivente, lo colpii con un pugno al volto così forte che lo tramortì.
Mi rivolsi alla ragazza per sincerarmi che non fosse ferita, lei era lì con i capelli biondi bagnati, aveva un aspetto un po' trasandato e sembrava un adorabile pulcino.
Con un sorriso timido mi ringraziò, mentre chiamai la polizia e feci arrestare l'aggressore.
«Lei è stato gentile, mi presento, mi chiamo Alessa. Qual è il suo nome?» Mi chiese la ragazza con un sorriso timido. Eravamo in strada sotto la pioggia vicino casa mia. La guardai negli occhi e stranamente la vidi arrossire.
Affondando le mani nelle tasche dei jeans con un po' di imbarazzo dissi «Ehm... Mi chiamo Evan, piacere di conoscerti. Allora Alessa vieni con me? Quella è casa mia, se resti ancora qui fuori con questo freddo prenderai un malanno», le indicai l'abitazione alle nostre spalle.
Alessa mi guardò un po' titubante.
«Oh! Sei così gentile, accetto l'invito!» Mi disse in tono dolce.
La condussi in casa in soggiorno, e accesi il camino.
«Preparo della cioccolata calda, ti va? Intanto puoi farti una doccia, ti mostro il bagno», le dissi.
Lei semplicemente mi sorrise, e la condussi verso la porta del bagno e le porsi: un paio di jeans e un mio maglione. La lasciai entrare in bagno e chiuse la porta dietro di sé.
Mentre iniziai a preparare la cioccolata calda, poco dopo Alessa tornò in soggiorno. Indossava i vestiti che le avevo consegnato. Mi sorrise.
«Grazie, adesso va molto meglio», si era seduta sul divano, mentre era intenta a messaggiare al cellulare con qualcuno. La cioccolata calda emanava un buon odore, era quasi pronta e bella calda. Spensi il fuoco e la versai in due tazze. Volsi lo sguardo alla giovane e le porsi la tazza, quest'ultima mi guardò con un timido sorriso. «Grazie», disse raccogliendola. E, nel farlo le nostre mani si sfiorarono involontariamente. Entrambi, eravamo seduti l'una di fronte all'altro.
I nostri volti erano arrossati per quel semplice e innocente gesto. Mi grattai la nuca a disagio. Quando a un tratto il cellulare di Alessa squillò, raccolse il cellulare sul tavolino di vetro. E, guardandomi disse «Scusa un attimo, devo rispondere», farfugliò alzandosi dal divano.
Mi voltò le spalle, e conversava a telefono con qualcuno. Riuscii a udire un nome Chris e ipotizzai che fosse il suo fidanzato.
Sorrisi e con la tazza ormai vuota tra le mani, la lavai nel lavabo e la riposi. Alessa sorridendo mi si avvicinò. Notai che il suo sorriso si spense.
«Scusami, ma devo proprio andare. Ti ringrazio di cuore per tutto. Spero di rivederti... Buona notte», mi scoccò un bacio sulla guancia. Sorpreso dal suo gesto sorridendo le dissi -Allora devi andare...capisco, buona notte. Ciao- le aprii la porta e la accompagnai sull'uscio della porta d'ingresso.
All'esterno aveva smesso di piovere, un'auto si fermò vicino. Alessa mi salutò, e la vidi salire in auto. Vidi sul lato guida un ragazzo, non riuscii a vederlo bene in viso, ma scorsi dal finestrino Alessa che baciava il ragazzo. E, subito dopo si allontanarono.
Restai un po' lì fuori, e sospirando sorrisi felice per Alessa che almeno lei aveva ancora accanto la persona che amava.
Rientrato in casa, feci una doccia veloce. Indossai un paio di pantaloni di tuta, e un maglione. Entrai in soggiorno, presi una bottiglia di vodka. E ne versai un bicchiere e così lasciai annegare i miei dispiaceri nell'alcol. Esausto crollai sul divano.
Ricordo il mio primo incontro con Alessa. Sono felice di averla ritrovata, anche se è fidanzata non importa. Ciò che per me importa, è che fossimo amici e che sono riuscito a salvarla giusto in tempo da quel tentato stupro. Mentre guido l'auto con lo sguardo diritto sulla strada. «Alessa, cosa sono quelle creature mostruose? Sai per caso cos'è successo?» Chiedo serio.
«Evan, ascoltami: quelle creature sono zombie, c'è stato un contagio alla Centrale Nucleare e le persone infette dal misterioso virus diventano aggressive. È orribile!» Afferma convinta.
Scuoto il capo contrariato. «Oddio! Alessa, ma stai scherzando? Gli zombie, non esistono. Sono solo leggende metropolitane!» Rispondo scettico.
La ragazza sbuffa. «Nemmeno io credevo che esistessero, purtroppo mi sono ricreduta quando ho assistito impotente alla morte dei miei colleghi per mano di quei mostri! Non sono riuscita a fare niente per salvarli!» Sento il suo tono di voce diventare triste. Con gli occhi lucidi, stringo il volante tra le mani. «Mi dispiace davvero tanto per i tuoi colleghi. Scusami», mi sento in colpa per non averla creduta, ma comprendo che è tutto reale quei mostri sono reali, sembra che fossi in un incubo. Nell'auto regna un silenzio tombale, che viene interrotto dal suono del mio cellulare che squilla. Siamo nei pressi di un negozio di armi. Prendo lo smartphone e sul display vi è una chiamata anonima.
Accetto e rispondo. «Pronto? Chi parla?» Appena sento la voce di mio fratello Eric dall'altro lato, sulle mie labbra si allarga un sorriso di gioia.
«Evan, grazie al cielo sono riuscito a rintracciarti, siamo a casa di mamma e papà ti aspettiamo domani mattina partiremo verso Lansing. Lì saremo al sicuro. Stai bene?» Sono felice avrei avuto la possibilità di riabbracciare le persone a me care. Sono vivi, e in salvo.
«Sto bene, grazie. Ho incontrato e salvato una ragazza, Alessa. È con me, Eric, quegli esseri sono zombie! C'è stato un contagio e le persone infette diventano zombie. Stiamo arrivando, salutami tutti. Passo e chiudo!» Sorridendo termino la conversazione.
«Chi era? Dove stiamo andando?» Chiede con curiosità.
«Mio fratello Eric, stiamo andando a casa dei miei genitori. E domani mattina partiremo per Lansing!» Rispondo di rimando.
Alessa sbadigliando sospira. «Capisco, che stanchezza», il clima nell'auto è nella norma, l'ambiente è accogliente. Inizio a sentire il peso della stanchezza, e lo stress accumulato. Batto un paio di volte le palpebre per restare sveglio, da lontano si scorgono le abitazioni ormai disabitate. Probabilmente l'esercito ha soccorso i cittadini ed eravamo rimasti solo noi. Vedo l'auto di mio fratello: una Jeep della Range Rower nera in giardino. «Siamo arrivati, puoi scendere» Riferisco sfilando il cappuccio dal capo, scendo dall'auto seguito da Alessa. Suono al campanello e, subito dopo aprono la porta. Mio fratello che appena mi vede mi abbraccia forte a sé. «Evan! Eccovi finalmente! Mi sei mancato, entrate!» Annuncia gioioso accogliendoci in casa e chiudendo la porta alle nostre spalle con un grosso lucchetto.
Mi sento un peso in meno sul petto e sospirando sorrido.
«Evan è un miracolo che tu sia qui. Oddio che gioia!» Dicono commossi, non volevo piangere. Le lacrime di gioia scendono sulle mie guance.
«Eccomi sono tornato, e non vi lascerò più. Promesso!» Ribatto sorridendo, mentre asciugo le lacrime e li abbraccio uno a uno finalmente.
Mio nipote Brian, mi si avvicina e con un sorriso mi salta letteralmente in braccio, aggrappandosi a me come un Koala.
«Zio, che bello rivederti! Sapevo che saresti tornato. Lo sentivo, non potevi lasciarci!» L'ho adagiato sul divano, gli accarezzo i capelli. «Ehi, tesoro! Sono qui con voi, visto piccolino?» Accenno guardando negli occhi mio nipote, che annuisce gioioso.
Presento Alessa alla mia famiglia.
«Lei è Alessa e domani verrà con noi.»
«Piacere di conoscert», dicono, mentre tutti siamo felici.
Aiuto mio fratello e mio padre a sbarrare le porte e finestre per impedire che gli zombie entrassero.
E così consumando una cena frugale: dei cheeseburger e qualche frutto. Bevendo della semplice coca cola. Una volta terminato, iniziamo a preparare un giaciglio per dormire.
Alessa e io eravamo destinati a condividere il letto nella sala ospiti al piano inferiore. Faccio una doccia veloce e indosso dei jeans e una maglietta a mezze maniche.
Il riscaldamento è acceso, giunto in camera da letto. Alessa è distesa nel letto rivolta su un lato. Sospirando mi sono disteso sul lato destro con un po' di imbarazzo. «Buonanotte», mormoro spegnendo la lampada.
Sento Alessa che si volta verso di me, mi cinge la schiena in un abbraccio. «Buonanotte», mi scocca un bacio sulla guancia.
«Sogni d'oro», farfuglio e chiudendo gli occhi poco dopo mi appisolo. Mi sento più al sicuro nelle mura domestiche.
Un forte battere di porta ripetuto e dei passi che provengono all'esterno, mi svegliano di soprassalto, scuoto la coperta e di scatto scendo dal letto.
Alessa si è svegliata e confusa chiede «Cos'era quel rumore?» Accendo la lampada e la guardo negli occhi. «Credo siano zombie», rispondo irrequieto, il mio intuito infatti non mi ha tradito. Sbirciando dalla fessura di una finestra sbarrata, all'esterno intravido che nell'oscurità della notte si aggirano gruppi di zombie.
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