★Capitolo 1 - Evan - Solo in mezzo all'Inferno★
Due ore dopo l'incidente alla Centrale Nucleare. Ospedale Henry Ford.
Avverto dei suoni ovattati, simili a dei passi che si avvicinano verso di me. Cerco di svegliarmi, ma non ci riesco. Sento un suono di un cicalino.
Quando apro gli occhi, mi trovo prigioniero in una sorte di capsula orizzontale che somiglia a una camera iperbarica.
Sopra di me vedo da un oblò e la luce dei neon.
Non ricordo niente, la vista è offuscata e i ricordi confusi.
Mi passo una mano sulla fronte madida di sudore, ho fatto strani sogni, nei quali vedevo delle sagome umane deformi con occhi rossi e subito dopo mi sono svegliato di soprassalto. I miei pensieri sono rivolti a mio fratello maggiore Eric, di trentacinque anni dai capelli castani e occhi acquamarina, ai miei genitori e a mio nipote Brian.
Sorrido e dentro di me percepisco un forte desiderio di rivederli.
Lo sportello superiore si apre automaticamente e a fatica mi reggo sulle gambe ancora intorpidite accuso un lieve capogiro.
Avverto le gambe che non mi reggono e in un istante crollo sul pavimento. Non riesco ancora a sollevarmi, resto lì seduto per una mezz'ora, sospiro profondamente e con fatica riesco a rialzarmi in piedi. Mi guardo intorno, non sapendo come fossi arrivato in ospedale. La stanza è avvolta dalla penombra.
C'è la luce d'emergenza che funziona a intermittenza. È tutto avvolto da uno strano silenzio.
Noto sul display della targhetta intarsiata vicino al macchinario una scritta digitale di colore verde. Processo di guarigione del paziente completato.
Ecco i benefici della tecnologia avanzata...
Lentamente inizio a fare piccoli passi, i muscoli del mio corpo sono ancora un po' indolenziti, ma almeno riesco a restare in piedi.
Osservo la stanza asettica, le pareti bianche. Indosso un camice. Stringo i denti ed estraggo l'ago della flebo dal braccio mugugnando dal dolore. Apro l'armadio, dove trovo dei vestiti che qualche mio familiare aveva riposto.
Indosso i jeans, la maglia a mezze maniche e la giacca di pelle nera.
Guardo allo specchio la mia immagine riflessa: ho un aspetto trasandato i capelli scompigliati e un filo di barba incolta.
Scorgo sulla parete un calendario: la data è Lunedì 10 Ottobre 2030. Sono stato in coma per due mesi.
Sospiro e con amarezza penso, cosa è successo? Ma dove sono gli infermieri? Non c'è nessuno qui... È tutto così strano. Eric chissà dove sarai... Alcuni ricordi confusi affiorano nella mia mente: l'incidente d'auto con mio fratello.
Eravamo in auto, Eric guidava e con il piede sull'acceleratore sfrecciava sull'asfalto, ricordo che stavamo litigando in modo animato.
«Mi dispiace tanto per la tua Isabelle, so che è dura, ma devi andare avanti. Mi sono reso conto solo adesso che hai bisogno del mio sostegno, mi dispiace, ma puoi sempre contare su di me», mi disse con un tono di frustrazione.
Lo guardai per un attimo e stringendo i pugni restai in silenzio.
«Lo so, capisco che è difficile andare avanti senza di lei, che devo reagire ma non ci riesco, ho tanti ricordi che mi legano a lei. Maledetto cancro», risposi annichilito dal comportamento di Eric, le nostre vite vennero messe a rischio, tutto accadde in un attimo, un cervo spuntò da uno steccato davanti alla nostra auto e urlai, «Attento!» Purtroppo l'impatto fu inevitabile, l'auto si scontrò contro un albero. Ero bloccato nella cintura di sicurezza. Sentivo mio fratello piangere e urlare il mio nome, la sua voce sempre più lontana.
A quei ricordi avverto le lacrime che solcano la guancia destra, mentre con amarezza penso a mio fratello e al dolore che aveva provato nel temere di perdermi.
Rimembro che mentre ero in coma sentivo la sua voce.
Il mio corpo è ancora debole non sono in grado di muovermi agevolmente e per questo sono costretto a restare ancora in quella stanza per un bel po'. Lo stato di coma in cui ero non era poi così grave: in effetti sul tabellone medico ci sono i miei progressi, mi sono svegliato dal coma farmacologico. La tecnologia scientifica avanzata ha guarito completamente le mie gravi ferite, praticamente grazie alla tecnica dell'auto-rigenerazione cellulare.
A fatica esco dalla stanza. Il corridoio è appena illuminato dalle luci dei neon a intermittenza.
Il generatore di emergenza è attivo. L'ospedale è in black out.
I corridoi sono silenziosi ed è tutto sottosopra, come se l'intera struttura fosse stata evacuata in fretta.
In una zona del corridoio il neon funziona a intermittenza ed emette un sinistro ronzio.
Sarà successo qualcosa di molto grave, non c'è nessuno.
Questa situazione è così inquietante, cosa diamine sarà successo? Devo scoprirlo!
I miei pensieri vengono interrotti bruscamente da dei rumori sinistri in una stanza.
Uno sbattere di porta e, subito dopo un grido femminile mi fa trasalire, deglutisco un groppo in gola. «C'è qualcuno?» Nessuna risposta.
Avanzando cauto mi sorreggo alle pareti, mi fermo verso la porta aperta della stanza.
Nell'aria c'è un forte odore di disinfettante. Sento dei versi e grugniti animaleschi oltre la porta. Resto sorpreso e felice dalla scena che si para davanti ai miei occhi: un uomo che dal camice bianco comprendo che sia un dottore mi volta le spalle è inginocchiato.
Risollevato avanzo verso quest'ultimo. «Dottore, mi scusi, ma cosa è successo?» Chiedo incuriosito.
L'uomo si volta indietro di scatto e scorgo che il suo volto è deforme, quasi cadaverico. Resto impietrito da quella scena. Fa un paio di passi nella mia direzione, allungando le braccia in avanti sembra un automa.
«Stia lontano!» Grido allarmato nel notare il suo aspetto orrendo: il volto completamente sfigurato, la bocca squarciata mostra parte della mandibola, la capigliatura presenta chiazze di calvizie e ciocche di capelli rossi, gli occhi vermigli e lo sguardo vitreo.
Da dietro la sagoma del dottore, noto un corpo inanimato di una ragazza, e con mio orrore, intravedo che sul corpo di quest'ultima dei segni di morsi. Il ventre è completamente squarciato come da un animale selvaggio. C'è molto sangue intorno al corpo esanime.
Il dottore o ciò che resta di lui ha le labbra insanguinate, e con mio orrore comprendo che si stava nutrendo di carne umana.
A questa scena mi investe un senso di nausea.
L'uomo mi si è avvicinato, è a poca distanza da me e percepisco tanta aggressività nei suoi occhi iniettati di sangue. Lo sguardo vitreo dell'uomo è puntato su di me. Mi aggredisce, mi trovo disteso sul pavimento con il corpo del mio aggressore sopra di me. Cerca di mordermi, sembra indemoniato. Le sue fauci fameliche sono poco lontane dal mio collo. Vedo la sua bava fetida colare sul pavimento, mentre cerco di difendermi ed evitare che potesse mordermi.
Percepisco l'adrenalina che sta prendendo il sopravvento, forse l'istinto di sopravvivenza, fatto sta che con un braccio cingo il collo dell'uomo e stringo la presa.
L'individuo si agita, si dimena, ha una forza disumana. Non desiste nell'intento di mordermi, sento il suo verso che mi fa accapponare la pelle. Il suo sguardo, i suoi occhi, sembrano quelli di una creatura infernale. È una lotta per la sopravvivenza, avverto i muscoli delle braccia un po' indolenziti, ma nonostante tutto continuo a stringere la presa intorno al collo di quell'essere.
Sento il rumore delle ossa del collo spezzarsi.
Solo in questo momento lascio la presa, subito dopo il corpo del mio aggressore si affloscia sul pavimento.
Con il battito del cuore a mille, trafelato, mi rialzo a fatica e in preda a una crisi di panico urlo: «Oh cazzo! Cristo Santo! Che cosa diamine è successo qui? È assurdo! Che cos'era quello? L' ho ucciso. Voleva mordermi?! Sembrava una creatura infernale!»
Rabbrividisco. Osservo le mie mani che tremano come foglie al vento, sono sconvolto.
Ho il cuore che batte a mille, mentre dei rivoli di sudore colano dalla fronte. Avanzo in quei corridoi bui e silenziosi. È tutto così strano, cosa diamine è accaduto a quell'uomo? Perché l'ospedale è così vuoto? Non c'è più nessuno lì è tutto abbandonato al suo destino. All'infuori di me, non c'è anima viva.
Svoltando nel corridoio, noto un cadavere disteso al suolo in una pozza di sangue. Presenta profonde ferite al collo e alle braccia, la pelle dilaniata, è uno spettacolo raccapricciante.
Qualcuno probabilmente è stato qui poco prima del mio risveglio. Nell'aria c'è il nauseante odore di carne putrefatta, impronte di sangue sul pavimento, e alcuni bossoli sono sparsi al suolo.
Mi copro la bocca con una mano e ansante corro verso la sala d'attesa, dove c'è una cabina telefonica appesa alla parete.
Con la mano tremante compongo il numero di telefono di mio fratello.
Sfortunatamente non c'è campo, lascio il telefono.
Rabbrividisco poiché sento dei passi alle mie spalle.
Mi volto di scatto, e come sospettavo, ci sono persone, anzi altre creature mostruose e aggressive.
Indietreggiando di un passo volto le spalle a quelle creature abominevoli.
Scopro con mia fortuna che quegli esseri non sono agili nei movimenti. Riesco con un po' di difficoltà a raggiungere l'uscita. Oltrepassate le porte dell'ospedale, mi trovo nel giardino, dove oltre il cancello noto subito un'auto parcheggiata e abbandonata sul ciglio della strada.
Il fruscio del vento trasporta via delle foglie secche e, facendomi ondeggiare un paio di ciocche di capelli davanti al viso.
Senza perdermi d'animo, mi affretto camminando claudicante a raggiungere quell'auto e apro lo sportello.
Salgo a bordo e lo chiudo immediatamente. Cerco di mettere in moto l'auto, con il trucchetto dei fili elettrici.
Riesco fortunatamente ad attivare il motore, sospiro poiché sono a bordo di una Chevrolet sportiva di colore rosso fuoco.
In un istante scorgo delle sagome umane che mi circondano, ci sono altre persone impazzite come il dottore. Uno di loro batte i pugni contro il finestrino.
Non ho scelta: pigio il piede sull'acceleratore e mi faccio spazio tra il gruppo di persone impazzite, investendone alcuni e, mentre proseguo con mio grande orrore, assisto a scene davvero cruenti: persone che per strada si nutrono di vittime ormai senza vita sull'asfalto.
Le strade sono deserte, sembra che fossi l'unico sopravvissuto a una catastrofe, la fine del mondo è giunta. Forse sarei morto e avrei raggiunto la mia amata.
Quei pensieri cupi mi sfiorano la mente, desidero raggiungerla lassù, ma subito abbandono quei pensieri poiché davanti agli occhi vedo le persone a me più care. Desidero ardentemente di abbracciarli uno a uno, sentire le loro voci e sapere che fossero in salvo, lontano da tutto quell'inferno e orrore.
Apro il cruscotto e curiosando trovo un cellulare, lo raccolgo e compongo il numero di mio fratello e attendo in linea.
C'è la segreteria telefonica, al momento non sono raggiungibile, lasciate un messaggio vocale Eric.
Sbuffando contrariato impreco contro la linea telefonica.
Lascio un messaggio vocale, e deciso continuo a guidare verso la mia abitazione. La città è deserta, scendo dall'auto.
Raccolgo da sotto il tappetino la copia delle chiavi di casa: sbloccando la soglia ed entro. Noto che ho riacquistato la totale stabilità del mio corpo, riesco a camminare senza più barcollare.
Con cautela entro in soggiorno, è tutto tranquillo.
Sospirando mi reco al piano superiore, e con cautela apro la porta della mia camera da letto. È tutto in ordine, il letto a cassettone con la libreria e l'armadio.
Guardo con tristezza la foto ricordo che mi ritraeva insieme alla mia amata, non ho tempo per perdermi nei ricordi malinconici.
Apro il cassetto dell'armadio, e prende dal cofanetto la mia pistola Beretta 98.
La ripongo nella fondina avvolta ai fianchi.
Ho bisogno di una doccia, ma non ho tempo. Devo cercare tracce di mio fratello e delle persone a me care. Scoprire se fossero ancora in vita, e in salvo da quell'incubo.
Entrato in bagno lavo il viso. Guardo la mia immagine riflessa allo specchio: il mio fisico scolpito, ho una costituzione di un atleta; insomma un fisico ben sviluppato e proporzionato, sono in forma.
Devo sbrigarmi, sono sudato, mi cambio la maglietta e indosso un soprabito colore cuoio.
Prendo uno zainetto che contiene tutto: kit di pronto soccorso, e delle munizioni.
Scendo in soggiorno e all'esterno avverto i versi di quegli esseri disumani che avanzano indisturbati per strada.
Sospirando, prendo la pistola dal fodero e con il batticuore esco dalla porta d'ingresso.
Chiudo la porta a chiave, e la ripongo nello zainetto.
Mi guardo intorno, il vicinato è completamente invaso dalla desolazione.
Non c'è nessuna traccia di persone, solo un forte odore nauseabondo di carne in putrefazione e alcune auto incustodite in sosta, cadaveri sull'asfalto.
Mi sale un senso d'ansia mentre scorgo poco distante da me due persone: un poliziotto e un ragazzo, i quali appena mi vedono, come fossero assatanati, corrono nella mia direzione.
Senza perdermi d'animo punto la pistola contro di loro all'altezza del torace e faccio fuoco. Dopo ripetuti spari per mio stupore continuano a rialzarsi.
Avanzano lenti nella mia direzione, emettendo quei grugniti e versi animaleschi da gelare il sangue nelle vene.
«Cazzo, ma non muoiono mai?!» Sbotto indietreggiando di un paio di passi mentre d'istinto, miro all'altezza delle loro teste e sparo due colpi. Solo in questo preciso istante li vedo stramazzare al suolo stecchiti.
Con sguardo basso e il tremore delle mani corro verso l'auto. E, una volta salito a bordo, metto in moto. Con la testa che pulsa e il cuore che mi martella nel petto in preda all'ansia mi allontano, cercando una via di fuga da quella scia di morte e distruzione.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro