Set fire to the rain (II)
«Il programma R? Ma è uscito di testa?»
Mihara s'era strappato di dosso la Capsula Shinobi ed era tornato visibile, nell'angolo dello studio accanto alla libreria. Se non gliene fossero rimasti così pochi, si sarebbe strappato via anche i capelli.
«Il...programma R...» ripeté Kallen, massaggiandosi gli avambracci. Sentiva la sua voce provenire da un punto che non era dentro di lei. Era come se stesse conservando la scena dall'alto, e la cosa non andava affatto bene. «Che cazzo è il programma R?»
Mihara sospirò. Allargò le narici e soffiò fuori l'aria, come un drago in un libro illustrato per bambini. Poi si passò una mano sul viso. Quando le sue dita si sollevarono, sotto i baffi aveva un sorriso affiliato.
«Dipende».
«Da cosa?»
Gli occhi a palla dell'uomo rotearono verso Kallen.
«Quanto vuole essere coinvolta la vecchia rivoluzionaria?»
Lei indugiò. Era così incredula della presa di posizione di Suzaku – che, assieme a quanto detto da Schneizel, le sembrava una dichiarazione di guerra bella e buona – che non sapeva cosa pensare. Guardò il proprio bracciale, poi la scrivania.
«Non lo so,» rispose, «fammelo scoprire».
«Quella che Zero ha annunciato non è una mossa diplomatica».
«E questo lo capivano anche i polli»,
«Lasciami finire,» replicò Mihara. Estrasse il fazzoletto dal taschino della giacca e si deterse il sudore dalla fronte. «Programma R. Programma Riarmo. Si tratta di uno stato di allerta per cui, per prima cosa, si controlla l'efficienza delle forze armate. Probabilmente, qui in Britannia molti verranno richiamati alla leva».
«Mh. Sei troppo agitato. Che altro c'è?»
«Non sono autorizzato a dirlo. Ho intenzione di tornare nella sala e parlare con il professor Asplund. È estremamente importante che io parli con lui».
«Il dandy? E ora che c'entra? Cinque minuti fa non lo odiavi?»
«Si tratta di vecchie questioni. Io avrei voluto seppellirle... e chissà, forse anche lui. Decidi che cosa vuoi fare, Kallen. Il tuo lavoro di bodyguard è finito».
L'unica che si sentiva seppellita era lei. Quella valanga di parole le era caduta addosso senza nemmeno darle il tempo di pensare.
Mihara aveva davvero intenzione di lasciarla in sospeso così, in una situazione chiara quanto una canzone dei King Crimson? Kallen incrociò le braccia e aggrottò la fronte.
«Sì, vecchio, ma se non mi spieghi niente...»
«È estremamente importante che tu decida adesso». C'era qualcosa di autoritario e urgente nelle parole di Mihara. «Fidati di me».
Cat's foot, iron claw. Neurosurgeons scream for more.
Era come se le stesse annegando il cervello. Le parve anche di sentire qualcuno fischiare, con delicatezza, come se stesse richiamando un micio. Kallen ignorò quell'allucinazione e fissò Mihara, che non diceva e non faceva nulla.
«Ehi, psst! Kallen!»
Lei aggrottò le sopracciglia e deglutì, sentendo la gola pizzicare. Forse non era un'allucinazione: c'era davvero qualcuno che stava socchiudendo la porta.
«Kal, sono io!»
Il sussurro di una voce che le pareva di non sentire da secoli. Oltre la soglia, vide i suoi capelli verdi e liscissimi, le sue spalle un po' incurvate, i suoi occhi sempre spalancati che sembravano in grado di fermare il tempo.
Ci fu un incontro di sguardi e l'accendersi di una complicità che poteva esistere solo tra due donne che si erano contese lo stesso uomo.
Era accaduto anche quello cent'anni prima.
«C.C.!» bisbigliò Kallen. «Che cosa ci fai qui?»
«Il Marasma...» cominciò a spiegare l'altra, staccandosi dallo stipite a cui s'era appoggiata. Si interruppe subito, rendendosi conto sia che lei non avrebbe capito sia che in quella stanza c'era un uomo che non aveva mai visto prima. «No, che cosa ci fai tu qui?»
Kallen soffiò l'aria fuori dal naso e si portò una mano alla tempia. Lontana dal campo di battaglia, dal lampo rosso del suo Guren, sembrava solo una donna delusa dalla vita, che non riusciva a nascondere le occhiaie sotto al correttore.
Che cosa diventano i rivoluzionari una volta finita la rivoluzione? È vero che si trasformano in sabbia?
«Cerco il professor Lloyd, a quanto pare,» replicò, più a se stessa che a C.C.
Forse sentendosi preso in causa, Mihara mosse un cauto passo in avanti.
«Sono Katsuro Mihara, dip-»
Kallen lo zittì agitando una mano in aria, come a voler scacciare le sue parole.
«Non serve. È... un'amica,» disse. Poi, davanti al suo sguardo interdetto, si sentì in dovere di aggiungere: «So che sembra una rimpatriata tra compagni di classe, ma ti assicuro che non è così».
C.C., dritta nel suo abito da lolita con la gonna gonfia, li guardò inclinando la testa da un lato.
«Lloyd?» domandò, in un battito di ciglia. «Lo scienziato di Britannia?»
Oh, C.C., smettila di fare la graziosa, si trovò a pensare Kallen, gli occhi fissi sui fiocchi che impreziosivano l'abito della strega. "Siamo nelle mani di un dinamitardo?", è questo che vuoi dire, no? Dillo, cazzo.
C.C. continuava a sembrare interdetta.
«Ecco, io...» biascicò, le iridi fisse in un punto lontano, «non posso spiegarvi perché sono qui, però se tutto quello che vi serve è andare a cercarlo...»
«Non sei l'unica a non riuscire a spiegare delle cose, a quanto pare,» precisò Kallen.
«Io i miei intenti li ho dichiarati, Kallen-san. Sta a te decidere cosa fare,» rispose subito Mihara, per poi squadrare la nuova arrivata da capo a piedi. «Hai degli amici fra i più coloriti. Dimmi, anche questa si metterà d'accordo con il principe Schneizel?»
«No, lei tende a non farlo».
Fidarmi di te, eh?, si trovò a pensare Kallen. All'epoca un sacco di gente si è fidata di me, e io nascondevo la maggior parte delle informazioni. Allora è così che ci si sente.
Guardò Mihara dritto negli occhi. Erano come due cowboy in piedi l'uno davanti all'altro, in attesa dell'istante giusto per estrarre la pistola dalla fondina e sparare un singolo colpo al cuore.
Come un pesce sperduto nell'oceano. Come un povero sfigato dei sobborghi di Narita che vede il sole per la prima volta.
Le sue gambe si mossero da sole, come comandate dai fili di un marionettista. Uscì per prima dalla strana quiete di quella stanza e si riversò nel mare pericoloso di Villa Ariete.
«Andiamo a cercarlo davvero?» domandò C.C., mentre lanciava sguardi casuali attorno a sé.
La sala dei ricevimenti, sempre immersa in un riflesso accecante, era così in fermento che nessuno si sarebbe mai accorto di tre persone che entravano. Alcuni si erano riuniti in piccoli gruppi, con una forse involontaria attitudine cospiratoria, altri invece guardavano ancora verso lo schermo, sperando di veder ricomparire Zero e di ricevere delle vere spiegazioni.
«Uh... signor Lloyd?» chiamò invano la ragazza dai capelli verdi, mentre si faceva strada di lato tra una folla di corpi e parole. C'era un proverbio diffuso tra gli esseri umani che riguardava i pagliai. C.C. non lo ricordava precisamente, ma era sicura del fatto che fosse molto calzante in situazioni come quella.
Nonostante Lloyd fosse piuttosto appariscente, e distinguibile da chiunque altro per aspetto e atteggiamento, sembrava essere svanito nel nulla. C.C. si spinse sulle punte dei piedi nel tentativo di avere una visione d'insieme della sala, ma le teste erano ancora troppe. Nel mucchio, tuttavia, distinse dei capelli mossi che ricordava molto bene.
«Kallen!» esclamò, agitando una mano per farsi notare dall'amica. «C'è Rakshata!»
Kallen le fece cenno di aver capito col capo, per poi dirigersi verso di lei a passo deciso. Tra Rakshata e Lloyd qualcosa che loro non avevano mai capito, ma di certo se c'era qualcuno che potesse dire dov'era finito quella era lei.
Le due ragazze la accerchiarono. Quando sollevarono lo sguardo su di lei, insieme, si sentirono come bambine al cospetto di una matrona.
«Rakshata!» la chiamarono in coro, all'improvviso affannate come se avessero corso. C.C. ebbe la conferma di essere tornata visibile quando la scienziata le rivolse un'espressione curiosa, con le sopracciglia sollevate.
«Oh,» commentò, per poi voltarsi anche verso Kallen, «qual buon vento?»
«Dobbiamo trovare Lloyd,» sputò fuori C.C. Non il più cortese dei preamboli, se ne rendeva conto, ma non aveva mai apprezzato i giri di parole se non nelle situazioni di cui aveva un completo controllo. «Per favore, sai dov'è?»
Per tutta risposta, la donna incrociò le braccia al seno.
«Mi piacerebbe tanto saperlo,» replicò. «Stavo...»
«Rakshata,» intervenne la voce di un uomo. Quando lei alzò lo sguardo e vide Mihara che si avvicinava, C.C. notò le sue labbra che si arricciavano in modo quasi impercettibile prima di stirarsi in un sorriso di circostanza.
Guardò Kallen: avrebbe dovuto dirglielo? Del resto, poteva significare qualcosa oppure essere totalmente un falso allarme.
«Oh, il signor Mihara,» stava dicendo la scienziata, che mascherò con efficacia un'incertezza nel nome. «Non pensavo che avrei rivisto così tante vecchie conoscenze. Sei tu che lo stai cercando? Non mi sembra che le ragazze c'entrino con Lloyd».
Mihara si passò una mano sulla fronte, appiattendosi le rughe.
«Ti ha mai detto qualcosa sul programma R?» le domandò.
Rakshata scosse la testa e fece schioccare la lingua.
«Guarda che non siamo così tanto in confidenza. Però so il motivo per cui era qui, e non aveva niente a che fare con Zero. Credimi, Lloyd è fuori dai giochi da anni».
Il vociare nella sala stava calando, come se i presenti avessero assistito a un'improvvisa eclissi e ora tutto stesse tornando alla normalità, lasciandoli senza niente di cui parlare.
«Ne sei sicura?»
«Oh, ne sono più che sicura,» rispose Rakshata. I suoi occhi si spinsero, per quanto possibile, fino ai limiti della stanza, poi tornarono sulle persone che le stavano davanti. «Andiamo a cercarlo fuori. Se siamo fortunati qualcuno lo ha visto andare via».
S'erano quasi dimenticati, in quelle ore, che esistesse qualcosa di esterno al Tea Party. Che nelle case la gente spegnesse la luce, le macchine corressero per la strada e i grilli salutassero le stelle scuotendo le loro ali.
Mentre gli occhi di C.C. si abituavano alla luce calda dei lampioni, Kallen si accese una sigaretta e la sventolò davanti alla faccia come la bacchetta di un direttore d'orchestra.
«La nostra prossima mossa?» s'informò scandagliando il parcheggio di Villa Ariete, ben consapevole che nessuno di loro aveva la minima idea di dove cominciare a indagare.
Rakshata, preso il comando di quel manipolo male assortito, si diresse con passo sicuro sui tacchi verso un uomo che faceva la guardia al parcheggio, seduto su una sedia a fianco alla sbarra.
Kallen avrebbe pensato che la sua era stata una serata di merda, lì fuori al freddo a contare le macchine e guardare video sul telefono, se solo la loro non fosse stata ben peggiore.
A volte l'ignoranza era davvero una benedizione.
Il guardiano si alzò in piedi strisciando le suole sui ciottoli, forse per l'educazione che la famiglia reale gli aveva impartito o forse perché l'avvicinarsi di una sventola di un metro e ottanta in abito da sera quantomeno lo intimoriva.
Lui, nel suo completo blu che portava aperto sulla pancia, mentre si frugava insistentemente nelle tasche, non faceva lo stesso effetto.
«Ehi,» lo chiamò Rakshata. Un filo di condensa le uscì dalle labbra socchiuse. «Stiamo cercando Lloyd Asplund. Hai idea di chi sia?»
«Oh sì,» rispose la guardia, con una voce tenorile che aveva un che di dimesso e la testa che ciondolava in un ritmo affermativo. «Lo conosco, sì sì».
«Lo hai visto andare via?»
La guardia si tolse una tozza mano dalla tasca e se la passò sulla guancia, sistemandosi la barba.
«Oh sì, signora mia e signori, mi dispiace,» disse, volgendo lo sguardo anche verso i tre che erano rimasti nell'ombra. Gesticolò, indicando una scena che viveva nella sua mente. «Era ubriaco perso... c'avrà una notte brutta, quel povero disgraziato. Sua moglie – oh, o quello che è – lo ha portato a casa in moto. Saranno andati via... un'ora e mezza fa».
Rakshata incrociò le braccia e inclinò un fianco.
«Macché moglie!» sbottò. «Cécile si merita molto di meglio!»
Kallen e C.C. si voltarono verso di lei in sincrono.
«Ti pare il momento?» strillarono, per poi mettersi a guardare Mihara.
«Suppongo che la nostra missione per oggi finisca qui. Contatterò l'università, anche se non è il modo migliore per metterlo alle strette».
«Metterlo... alle strette?» mormorò C.C., ma la sua domanda cadde nel vuoto della notte, ignorata anche dal guardiano che tornava sulla sua sedia.
«Rakshata,» chiamò di nuovo Mihara.
Lei si voltò, sempre con quello strano velo di sospetto davanti alla consueta espressione altezzosa.
«Tu hai detto che vuoi delle risposte, e che conosci Lloyd,» si bloccò. «Non mi interessano i dettagli».
«Non ce ne sono,» rispose la donna, divertita, scostandosi i capelli dal viso. «Eravamo assieme all'università, tanti anni fa. Abbiamo sempre fatto i galletti da combattimento, e io sono sempre stata una che ogni tanto ha nostalgia del passato».
«E alla luce di questo, se dovessi vederlo rispondere alle mie domande, saresti in grado di capire se sta mentendo?»
«Oh, certo».
*
È possibile impostare diverse suonerie anche per i telefoni fissi. Certo la gamma tra cui si può scegliere è sempre più ridotta rispetto a quelle per cellulare, che si possono anche scaricare – o addirittura creare – in modo da ottenere trilli personalizzati.
Tuttavia, per un caso del destino assolutamente senza significato, il telefono che squillò alle sei e dieci del mattino in una stanza di Pendragon aveva lo stesso suono degli apparecchi che avevano squillato, dall'altra parte dell'Atlantico, negli uffici dei magnati delle telecomunicazioni.
Anche i luoghi hanno aspetti diversi. Odori diversi.
Quando il professor Lloyd Asplund, una volta fisico delle particelle per l'esercito di Britannia e più di recente docente di Cosmologia Osservativa all'università, aprì a fatica gli occhi, si rese conto che dal bagno proveniva un forte odore di candeggina, che copriva quello acre del vomito.
Si alzò dal letto premendosi pollice e indice sulle palpebre e cercando a tentoni gli occhiali, nella speranza che il telefono smettesse di suonare. Ma quello continuava, persistente come il mal di testa e la sensazione di vuoto nelle viscere che l'avrebbero accompagnato per tutta la giornata.
Come si faceva a far sparire quella sensazione di disgusto e quella morsa che stringeva la pancia? Nemmeno l'alcol funzionava più.
Accendere la luce avrebbe avuto l'effetto di una pugnalata. Gli dava già abbastanza fastidio quella che filtrava dalle tapparelle.
«Sì, sì, arrivo...» mormorò lui in tono lamentoso, nonostante non ci fosse nessuno a sentirlo. Si passò le mani tra i capelli annodati, diede due colpi di tosse e deglutì, rendendosi conto di che sapore avesse sotto la lingua. Cercò di non pensarci mentre raggiungeva il telefono.
Sperò fino all'ultimo che quello tacesse senza bisogno di un suo intervento esterno, ma alla fine fu costretto a sollevare la cornetta.
«Pronto?»
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