Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Pia Mater


Touch, sweet touch,
You've given me too much to feel.
Sweet touch,
You've almost convinced me I'm real.
I need something more...
I need something more.

(Daft Punk)

Occhi grandi e sguardo smarrito; giorni bui e luminose notti di stelle. Questo era ciò che spettava a C.C. sin da quando ne aveva memoria. Se si potesse, poi, avere memoria dell'eternità era qualcosa che ancora si chiedeva.

Nel momento in cui aveva posato gli occhi su di lui aveva visto, come per la prima volta, l'alba. Un'impressione che tingeva il cielo chiaro: il sole aveva attraversato il suo corpo di cristallo.

Aveva cercato di scacciare sin da subito, con il familiare calore del sesso, le emozioni che Lelouch le aveva fatto nascere. Da principio ci era riuscita: il suo tocco le aveva dato il piacere che s'era programmata di ricevere, lei aveva trovato il riposo nel letto dove lui l'aveva stretta. Dapprima da vergine inesperto e, nelle notti seguenti, con sempre più vigore, fino a diventare quasi rude.

All'apparenza, in lui non c'era nulla di diverso dagli altri. E come tale lei continuava a trattarlo. Lo guardava con l'atteggiamento altezzoso che negli anni aveva perfezionato: mento sollevato, occhi languidi che scivolavano sotto le ciglia come pesci dorati. Quando voleva mostrargli che era una vera stronza lo provocava, contestava le sue scelte e ciò in cui credeva. Nei primi tempi si dispiaceva di non potersi trovare in pubblico, perché sapeva che quell'atteggiamento lo eccitava. Glielo leggeva negli occhi, e sapeva che lo avrebbe eccitato ancora di più se non l'avesse potuta possedere subito.

Tutto, in Lelouch, profumava di una vendetta che lei trovava sinceramente divertente.

Poi, una mattina, C.C. si era guardata allo specchio. Si era passata le dita con delicatezza sul corpo, s'era accarezzata la cicatrice sotto al seno sinistro. Era scesa fino all'inguine, sfiorandosi il ventre e il monte di Venere. Non le erano ancora arrivate le mestruazioni quel mese.

Si era trovata banale, dopo aver vissuto un migliaio di vite.

Si era chiusa in bagno e aveva fatto pipì sul test di gravidanza.

*

«Now for ten years we've been on our own,» canticchiava una voce dolce tra le quattro mura di una stanza, «and moss grows fat on a rolling stone».

La ragazza, distesa a pancia in su, si strinse a Cheese-kun – il pupazzo di Pizza Hut che s'era guadagnata con innumerevoli bollini – voltò la testa per appoggiare la guancia al cuscino e sorrise, le gambe che dondolavano come quelle di una bimba su un'altalena.

«But that's not how it used to be».

Tutte le volte che si sentiva triste perché Lelouch non c'era più, cantava le canzoni che a quel tempo passavano alla radio. Aveva lottato per un mondo nuovo e se n'era andato con un sorriso determinato, sapendo che le avrebbe dato una nuova vita.

Zero Requiem.

Il momento in cui C.C. aveva capito che l'amore poteva dare un senso alla vita, anche a quella di un'immortale annoiata.

Quale fosse poi quel senso era la domanda veramente difficile, e ogni tanto il non trovare la risposta la faceva sprofondare nello sconforto.

C.C. saltò giù dal letto a piedi uniti e lanciò uno sguardo al tavolo. La lettera che le era stata recapitata, con francobollo e profumo d'altri tempi, occhieggiava accanto a un vaso di erica.

La ragazza sorrise.

S'era preso la briga di invitarla personalmente al Tea Party di Nunnally, e si era firmato Suzaku Kururugi e non Zero. Del resto, lei era una dei pochi con cui poteva abbassare quella maschera tanto pesante che aveva accettato di portare.

Grazie a Lelouch, lei poteva vedere il suo sorriso, quello di cui le raccontavano all'epoca in cui frequentavano l'Istituto Ashford.

Nonostante fossero stati nemici, era anche a causa di Suzaku che C.C. poteva dirsi felice. Era anche andata a vivere a Pendragon, così da stare vicina alle persone che conosceva; tanto per lei un posto valeva l'altro: se un giorno le fosse venuto in mente di viaggiare, avrebbe avuto un tempo infinito per farlo, tanto che alla fine si sarebbe stancata del mondo e di quanto poco ci fosse da vedere.

Le cose erano cambiate, e andava tutto bene.

Andava tutto bene.

A parte questo strano mal di collo ogni tanto, pensò, massaggiandosi i nervi tesi. Magari è qualcuno che mi vuole decapitare di nuovo!

C.C. sorrise della propria battuta, aprì l'armadio bianco e spostò con delicatezza gli attaccapanni, facendoli scorrere sul bastone di ferro. I suoi vestiti invernali erano appesi in una serie armoniosa. Una volta aveva anche tentato – tanto ne aveva, di tempo da far passare – di metterli in ordine cromatico. Tuttavia, dopo averli divisi in due gruppi primari, a seconda se la stoffa fosse chiara o scura, e dopo aver scoperto tramite una ricerca su internet che il colore di uno dei suoi abiti preferiti si chiamava "carta da zucchero", aveva deciso di abbandonare l'impresa.

Non sarebbe mai riuscita a mantenere quell'ordine così preciso anche nel futuro: andavano bene anche com'erano prima.

Prese un abito nero con lacci e pizzi e, davanti allo specchio, lo provò appoggiandosi il corpetto al seno e sistemando le pieghe della gonna con le mani.

Sarà fuori moda?, si disse, tirandosi una ciocca di capelli verdi dietro l'orecchio. In fondo non le importava, le piaceva come le stava.

Perse l'interesse per il vestito e si acconciò i capelli in due codini. No, sembrava troppo giovane.

Capelli sciolti, che ricadevano sul petto? No. Troppo vecchia.

C.C. aveva deciso che doveva essere perfetta ogni volta che varcava la porta. Quella sera avrebbe cenato prima di presentarsi al ricevimento di Nunnally, ed era il caso di andare da Pizza Hut, sorridendo dei tempi in cui non aveva voglia di muoversi dal divano e pertanto se la faceva sempre consegnare.

Un altro segno del fatto che andava tutto bene!

Non era più la ragazza che voleva morire.

Graziosa come una bambola nel suo vestito di lacci e pizzi, si fermò all'improvviso davanti alla porta di casa.

Ma quindi, si chiese, mentre guardava il vetro tondo tondo dello spioncino, l'universo si è evoluto in modo da poter osservare se stesso. È un pensiero bizzarro da fare. Proprio buffo.

Prese la borsa e uscì.

La porta si è aperta un'altra volta.

C.C. singhiozzò, incapace per un attimo di respirare. Un dolore lancinante le colpì la fronte, e lei si portò la mano libera, tremante, alla testa. Sotto le sue dita, la pelle le parve prendere fuoco. Stava venendo, di nuovo, tracciato quel simbolo.

Il Geass.

C.C. sorrise.

Vide, da dietro le palpebre, il cielo dorato. La Spada di Akasha, la porta per il Mondo di C, vegliava sull'umanità nonostante fosse ormai in rovina. O forse lo faceva proprio per quello, poiché il simile protegge il simile.

La ragazza lasciò il pomello della porta e fece ricadere la mano lungo il fianco. La pizza poteva aspettare: sarebbe stata lì un altro po', con gli occhi chiusi avrebbe mosso qualche passo tra le colonne sbriciolate dove una volta si era consumata la battaglia contro l'Imperatore.

Poteva vedere, in qualche modo, la traccia residua degli atomi di Lelouch. Aveva perso i poteri, non c'era motivo per cui il Mondo di C dovesse mantenerla legata a sé; però l'inconscio non ha bisogno di alcun motivo, così come la speranza che le stava scaldando il cuore.

Rimanendo lì, anche solo per qualche istante, riusciva a sentire la scia che l'esistenza di Lelouch aveva lasciato nel cosmo.

E le pareva che fosse lì con lui.

Perché hai ancora bisogno di me? domandò, abbassando le ciglia per non venire abbagliata dalla luce. Una striscia luminosa, simile quasi a un neon che si brucia, apparve nel cielo e subito dopo svanì.

C.C. non si aspettava di ricevere una risposta più articolata di quella. Il Marasma – quello a cui un tempo gli umani avevano dato il nome di Dio, o dèi – continuava ad agitarsi come se lei non ci fosse, a creare filamenti che si dissolvevano senza alcuna conseguenza.

Se le avessero chiesto di scommettere sul fatto che, dopo la fine della guerra, si sarebbe calmato e si sarebbe limitato ad accogliere le anime dei morti, lei avrebbe fatto all in. Come molti di coloro che, sulla Terra, sapevano della sua esistenza.

E invece il Marasma aveva fatto, se così si poteva dire, di testa propria. Forse temendo per la propria sorte dopo che l'uomo aveva svelato il potere della Sakuradite e dei suoi figli Uranio e Plutonio. O magari per motivi che, a quello stesso uomo, sarebbero per sempre risultati imperscrutabili.

Era quieto in superficie e nascondeva nelle viscere il vortice eterno. Era come il mare, come una stella, come la cenere che copre la fiamma ardente. Come molte altre cose, al mondo, che dal di fuori sembrano quello che non sono.

*

«Buonasera, vorrei una pizza».

La commessa di Pizza Hut aveva un neo sotto l'angolo della bocca, a sinistra. Chissà se era vero o finto: C.C. aveva sentito che alcune se lo applicavano con il trucco. Non sarebbe nemmeno riuscita a dire se fosse vero o finto il suo sorriso, incorniciato da dei boccoli tinti di viola che le ricadevano in modo piuttosto pesante sulle spalle. Portava un dolcevita scuro che faceva assomigliare la zona del collo e delle spalle al cappello che sormontava il logo di Pizza Hut nel quadrante dell'orologio dietro di lei.

Ticchettava forte nel locale deserto.

«Una pizza?» rispose la ragazza, scoprendo ancora di più i denti, su cui era rimasto un alone di rossetto.

«Sì: sono venuta fin qui, e per entrare ho varcato la porta, perché avevo voglia di una pizza. Non ne fate?»

«Come no. E con cosa la vuole, signorina? Oh, mi scusi. Per un attimo, dopo aver detto "signorina", ho pensato che potesse essere sposata e ho guardato verso le sue mani per vedere se portasse la fede, ma a metà strada mi sono resa conto che è molto giovane, e quindi è abbastanza improbabile. Lei indossa la fede?»

C.C. incrociò le mani in grembo, sotto al bancone.

«No».

«Con cosa la vuole, la pizza?»

«Con la fede».

«Con la fede?»

«Con il salame».

La commessa estrasse dal grembiule un tablet e cominciò a premere lo schermo con lentezza estrema, usando solo l'indice della mano sinistra.

«Una pizza!» declamò, in tono perentorio. Poi abbassò la voce: «Con salame... e da bere cosa vuole?»

«Niente, grazie».

La ragazza infilò di nuovo il tablet nella tasca del grembiule. Poi sgranò gli occhi chiari, travolta dalla sorpresa.

«Ma come?» domandò, sgomenta. «Lei non beve?»

C.C. incrociò le mani in grembo e abbassò il capo.

«Certo che bevo. Pensi che in casa mia mi hanno fatto le tubature, quelle lunghe di metallo. In bagno e anche in cucina, ci crede? Sono di quelle che se si gira una manopola si chiude l'acqua,» alzò una mano con le dita ad artiglio, come se stesse stringendo qualcosa, e ruotò il polso. «Se si gira dalla parte opposta, invece, si riapre».

«Incredibile!» gridò la donna. Si colpì la fronte con il palmo della mano, e il rumore dello schiaffo risuonò nella stanza. Un uomo infilò una grande pala nel forno e ne estrasse una pizza, che poi depose con cura su un cartone. «Le aveva anche mio nonno. Povera anima, quando ero piccina mi faceva sempre sedere in braccio, a pranzo, e ogni tanto mi faceva assaggiare un po' di vino dal suo bicchiere».

«Vino?» ripeté C.C., alzando gli occhi dorati su di lei. «Davvero? È molto che non ne bevo».

«Sì».

«Mi dia una Coca-Cola, grazie».

La ragazza estrasse il tablet dalla tasca del grembiule. Lo sbloccò con il pollice; poi sollevò l'indice, gli fece disegnare qualche arabesco nell'aria e infine lo schiantò contro lo schermo.

«Una Coooca-Cooola,» cantilenò. «A posto così, signorina?»

«La pizza l'ha messa?»

«Certo».

«Col salame?»

«Col salame».

C.C. si tirò i capelli dietro le orecchie e si voltò verso l'orologio. La lancetta dei secondi si mangiava lo spazio bianco del quadrante.

«Allora direi che potrebbe rivelarsi una bella serata,» annunciò.

«Stai davvero facendo tutto questo per tua sorella?»

L'orologio ticchettava forte nella stanza immersa nella quiete della notte. Lelouch la abbracciava, pelle contro pelle, al petto magro; lei altezzosa lo rifuggiva con lo sguardo.

Erano così strani, i mortali: lei non ricordava l'ultima volta che aveva agito per il bene di qualcun altro.

«Sì,» rispose Lelouch. Una piccola pausa, altri passi dell'orologio. «Distruggerò Britannia e la ricostruirò». Un riflesso involontario gli fece stringere una mano sul fianco di C.C., e poi subito rilasciare la presa. «Creerò per Nunnally un mondo più gentile».

«Un mondo più gentile...» mormorò la ragazza. Fuori, oltre la finestra, aveva cominciato a piovere. C.C. ricordò le gocce d'acqua tonde che scivolavano lungo le foglie e cadevano sul prato.

Distruggere. Ricostruire. Erano parole per coloro che erano ancora immersi nello scorrere del tempo. Non certo per una strega come lei, che poteva solo trovarle divertenti.

Senza capirle.

La pioggia era diventata lo scroscio di una cascata; C.C. si alzò dal letto e lasciò che le lenzuola le accarezzassero le gambe nude.

«Ed è per questo che hai accettato di diventare mio complice?» domandò a Lelouch, regalandogli finalmente uno sguardo.

Fu lui a evitarlo.

«Non ho avuto molta scelta».

C.C. ricordò il momento in cui l'aveva conosciuto; lo vide piccolo come una formica davanti ai soldati di Britannia che avevano le armi spianate. Lui non sarebbe stato niente, senza di lei.

«Sei un bel tipo,» commentò, coprendosi il seno con i capelli verdi. «Qualcun altro mi avrebbe ringraziato per avergli salvato la vita».

«Ti ripeto, non ho avuto molta scelta».

C.C. sorrise di un sorriso affilato. Si lasciò cadere sulla poltrona accanto al letto, prese da sotto di sé Cheese-kun e lo strinse al petto.

«E ti è dispiaciuta, questa non-scelta?» gli domandò, con un tono di voce suadente.

«No,» ammise Lelouch, cercando di nuovo gli occhi della ragazza con i propri. «Il potere che mi hai donato sembra fatto apposta per me».

«Su quello sono stata io a non avere scelta,» replicò C.C. Spinse lo sguardo verso la finestra, ma gli scuri le impedirono di andare oltre. Voleva incontrare la pioggia. Sentirla sui palmi delle mani e vederla scomparire quando stringeva i pugni per afferrarla. «Il Geass agisce in modi oscuri anche a me. Forse dipende dall'anima di chi lo riceve».

«Se è così, allora ho un'attitudine al comando».

C.C. inarcò le sopracciglia.

«Sembra interessante,» commentò, con un velo di malizia.

«È il mondo che ancora deve imparare a obbedirmi».

E quando Lelouch sarebbe morto, che cosa avrebbe lasciato a quel mondo? Persone con una fascia nera al braccio, lacrime, qualche risentimento. E poi?

Avrebbe rispettato fino in fondo il loro patto?

Lei ormai era sicura che non avrebbe potuto dargli un erede, prima di camminare via. Il grande Zero non avrebbe avuto figli. Non da lei, almeno.

Non era incinta, era solo stressata.


C.C. uscì dalla pizzeria. Si sentiva immersa in una bolla d'irrealtà, oltre la quale il mondo, nel suo inverno, continuava ad esistere nella concatenazione di cause ed effetti. Dentro la bolla, però, c'era il familiare tepore del non-senso, la pizza che profumava di formaggio e quella canzone che continuava anche se la musica, un giorno, era morta.

«And them good old boys were drinkin' whiskey and rye,» canticchiò, osservando le gambe che dondolavano dalla panchina dov'era seduta.

Davanti a lei sfrecciò il treno a levitazione, che rifletteva sui finestrini la luce del tramonto.

«Singin' "This'll be the day that I die"».

Fidati, l'amore ti fa andare avanti anche quando chi ami non c'è più.
Fidati.
Va tutto bene.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro