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Orange Crush (I)


Now I'm sitting alone and I'm looking around

Left here on my own, I'm gonna hurt myself.
Maybe losing my mind, I'm still wondering why
I had to let the world, let it bleed me dry.

(Mika)

2018 a.t.b. Area 11.
Sezione Sviluppo Tecnologico dell'Esercito di Britannia.

Schneizel el Britannia avanzò lungo il corridoio che portava all'area dei test. Parti di Knightmare Frame – per la maggior parte toraci, ma anche elmi e arti – erano allineate lungo i muri come soldati in attesa della decimazione.

Il principe rallentò il passo per farsi precedere da Lloyd, raddrizzò la schiena e intrecciò le dita.

«Molto bene, molto bene,» commentò, con parole ben scandite e lo sguardo che scivolava sui fianchi dello scienziato. «E quando sarà pronto per la produzione, questo nuovo progetto?»

Lloyd voltò la testa, per quanto poteva, in modo da non dare del tutto le spalle a Schneizel. Un'intensa luce azzurra, irradiata dal reattore sul petto di uno dei Frame, gli si rifletteva sugli occhiali e gli delineava il profilo, gli scivolava sui capelli mossi per finire intrappolata tra le sue ciglia. Le pupille gli si restrinsero, facendo diventare i suoi occhi quasi solo iride.

Il principe lo osservò con ulteriore interesse: naso regolare e proporzionato, zigomi lievemente pronunciati e labbra fini, socchiuse nel fremito di dire qualcosa. Alcuni nobili britanni, coloro il cui sangue non s'era mischiato con quello delle colonie, avevano dei lineamenti che nemmeno Schneizel aveva ereditato. Tutta quella grazia sfacciata quasi lo innervosiva.

Lloyd avrebbe dovuto assumere tutt'altro atteggiamento di fronte a un principe imperiale.

«Le nostre stime, allo stato attuale, indicano un paio di mesi per l'implementazione del cannone a particelle e per i test».

Lo scienziato si fermò quando raggiunse la scrivania in fondo alla stanza, e guardò il terminale di controllo. «Volete vedere le simulazioni?»

Quando Lloyd spostò gli occhi su Schneizel, lui si stava mordendo il labbro inferiore. Tuttavia, l'attenzione dello scienziato andò subito alle sue sopracciglia bionde che si sollevavano, incurvate in due archi perfetti.

Il principe gli rivolse un sorriso suadente.

«Certo, amico mio».

*

«Rispondete, per favore!» gridava Jeremiah, scavando freneticamente tra le arance come un cane che disseppellisce un osso dal cortile.

Appena aveva guardato nella direzione indicata da Anya, e aveva visto qualcosa muoversi, si era precipitato verso quel miracolo. Il cuore cominciò a battergli ancora più forte quando sentì la voce di un uomo imprecare, soffocata dal peso dei frutti. Quasi in contemporanea, notò quella che gli pareva la mano di una donna emergere da uno dei punti in cui aveva scavato.

«Sorellina, presto!» chiamò.

Anya fu veloce ad arrampicarsi e ad afferrare la mano. Con un riflesso istintivo, la ragazza sepolta sotto le arance le strinse debolmente le dita attorno al polso.

«Ce l'ho!» gridò Anya. «Forza, amica, resisti!»

Jeremiah unì le proprie forze a lei e, con uno strattone, tirarono a sé la malcapitata. Avvertirono distintamente il momento in cui le sue gambe si liberarono e le arance presero a rotolare giù dalla montagnola.

I lampioni proiettarono l'ombra minuta di Anya e quella alta di Jeremiah su una ragazza dai capelli rossi, stordita e riversa a terra, che stava alzando il viso.

«... illesa,» annunciò Anya.

«Ma cosa cazzo...» mormorò la ragazza. Poi sembrò riprendersi all'improvviso; schizzò in piedi, affondò una mano dentro la giacca ed estrasse una dieci millimetri, impugnandola più saldamente che poteva e puntandola davanti a sé.

Anya, con aria annoiata, alzò entrambe le mani.

«Che cosa è successo? Rispondi!» le intimò Kallen, dopo essersi guardata rapidamente attorno. Da dove venivano tutte quelle arance?

Quando tornarono sulla persona che aveva davanti, i suoi occhi si sgranarono. Kallen abbassò la pistola. Sentiva qualcosa che le inumidiva i capelli, sulla nuca, ma a giudicare dalla temperatura non era sangue: non era abbastanza preoccupata per se stessa da distogliere l'attenzione da chi aveva di fronte. La ricordava un po' diversa, con un altro stile di vestiti e i capelli raccolti, ma non c'era dubbio che fosse lei.

«Ma tu sei...» sussurrò, incredula, «sei il pilota del Mordred».

Anya le rivolse uno sguardo confuso senza rispondere, ma abbassò le braccia.

«Kōzuki Kallen?» domandò una voce maschile da dietro di lei.

Kallen strizzò gli occhi, nel tentativo di distinguere la figura che le si stava avvicinando sotto la luce fioca dei lampioni.

«Orange?» replicò, quando uno scintillio ramato si accese sul suo viso. «Ma sei tu?»

Una cinquantina di domande si affollarono nella sua testa, sostituendosi alla rabbia e addirittura alla tensione. Per qualche motivo vedere Orange, il suo vecchio nemico, le fece assumere una posizione più rilassata.

«Jerry, chi è la signorina?»

«Non te la ricordi, Anya?» rispose Jeremiah con tono calmo. La ragazza scosse la testa, quindi lui continuò: «Cinque anni fa, nelle battaglie in Giappone. Lei era la combattente di punta dei Cavalieri Neri, pilotava il Guren. Ah, se mi ha dato filo da torcere quel Frame! Stava anche per uccidermi».

Anya fissò Kallen con uno sguardo intenso. Si premette una mano sul petto, come se volesse confrontarsi con il corpo prosperoso dell'altra e poi alzò le spalle, senza che la sua perenne espressione neutra le scomparisse dal viso.

«Beh, allora adesso siete pari,» osservò.

Kallen sgranò gli occhi, con le orecchie che ronzavano violentemente. Pari. Pari! Quei due disgraziati stavano per farla secca!

«Mi avete quasi ammazzata con delle arance!» gridò, furiosa, tornando alla realtà solo in quel momento. Doveva essere il suo cervello che le poneva davanti delle barriere per sopravvivere all'assurdo.

Le voci di Anya e Orange le risposero sovrapponendosi.

«È stato un incidente».

«Sei ferita?»

«Un incidente?» sbraitò lei, tastandosi furiosamente le tasche della giacca e dei pantaloni nel tentativo di recuperare il suo telefono. Niente. Doveva esserle scivolato quando era tornata in superficie. «Come cazzo può essere stato un incidente? Odio Britannia! Grazie a voi, la mia macchina è distrutta e il signor Mihara non–»

Si interruppe di colpo.

«Chi?»

«Sei ferita?»

Kallen si voltò, la dieci millimetri ancora stretta in pugno, e scattò verso la montagna di frutta.

«Mihara!»

Quasi come se avesse sentito le sue parole, il gigante d'arance che agonizzava a terra fu percorso da un tremito. Da una luce blu, dapprima flebile e poi sempre più forte, riemerse Mihara. Protetto da quello che sembrava uno scudo che i frutti non erano riusciti a oltrepassare, posò i piedi a terra tossicchiando e borbottando.

Qualcosa nello stomaco di Kallen le fece puntare di nuovo la pistola. Le sembrava di conoscerlo, quello scudo azzurro. Anche troppo bene. E nonostante fosse piuttosto sicura che Rakshata non fosse l'unica al mondo a progettare apparecchi che usavano i campi magnetici in quel modo, li ricordava distintamente dal periodo in cui combatteva con i Cavalieri Neri. Non era qualcosa che si dava in dotazione agli ambasciatori.

«Fermo!» gridò Kallen, l'arma stretta con entrambe le mani, quando lo vide avanzare verso di loro. «I miei compagni sono armati,» aggiunse, rivolgendo uno sguardo a Orange nella speranza che le reggesse il gioco. Lui capì subito e, impassibile, portò una mano dentro la giacca. «Dicci chi sei».

«Complimenti,» replicò Mihara con un sospiro roco. Girò il cappuccio della penna che portava nel taschino e il campo magnetico che l'aveva salvato svanì. «Avete fatto saltare la mia copertura».

Calciò via un'ultima arancia e si mise davanti a Kallen, proprio sulla linea di fuoco.

Allora, Anya reagì: fece qualche passo e, con le braccia di nuovo alzate e le mani all'altezza delle orecchie, si frappose tra i due.

«Va bene, va bene,» intervenne. «Adesso ci calmiamo tutti e vediamo di capire un po' cos'è successo, eh?»

«Faresti meglio ad ascoltare la ragazzina,» sbottò Mihara. Kallen, che non era intenzionata a iniziare uno scontro, abbassò la pistola. Lui ne approfittò per cercare qualcosa all'interno della tasca posteriore dei pantaloni.

Quando l'uomo estrasse il portafoglio, e ne tirò fuori una foto spiegazzata, Anya si fece da parte e lo lasciò avanzare verso Kallen.

«Sono Mihara Katsuro,» annunciò lui in tono solenne, quasi cerimoniale, mentre avanzava verso la ragazza. Aveva il volto contratto, una ruga profonda come il solco di un aratro tra le sopracciglia.

Le porse la foto, e lei si sentì stringere il cuore quando vide il volto sorridente di un giovane che indossava la divisa dei Cavalieri Neri.

«Questo era mio figlio, Mihara Kenji».

Kallen, per qualche motivo, faceva fatica a guardarlo in viso. Forse era disturbata dal fatto che quel ragazzo indossava la stessa divisa che aveva portato lei; o forse era perché sotto a quegli occhi marroni, sotto al naso dritto e alla barba che stava appena crescendo, c'era quel sorriso sbiadito e immobile che si trova solo negli album di famiglia. Tra lei e lui, che era stato, esisteva in quell'istante un'intimità ancora più profonda dell'aver militato per la stessa causa.

«Mi dispiace,» disse solo. E sapeva che erano parole vuote, ma le dispiaceva davvero. Si tormentò perché non ricordava, nelle fila dei Cavalieri Neri, nessuno che avesse quei lineamenti. Tuttavia, non poteva certo aver visto tutti.

«Ha perso la vita negli scontri a Narita,» continuò Mihara, confermando ciò che Kallen temeva già. «E io... quando Kenji mi informò della sua scelta di unirsi ai Cavalieri Neri, e per tutto il periodo in cui militò, fui molto duro con lui. Non condividevo i loro metodi. Nella speranza di mantenere i miei commerci, ero diventato un oggetto che Britannia usava a suo piacimento: me ne sono accorto solo quando ho perso mio figlio. I metodi dei Cavalieri Neri erano gli unici che avremmo potuto adottare. Mi unii a loro ed ebbi incarichi come spia nella prefettura di Kyoto».

Kallen capì che stava dicendo la verità, nonostante una maschera immobile tentasse di celare il dolore nelle sue parole. Ripose la pistola nella fondina e incrociò le braccia, appoggiando il peso del corpo su una gamba.

«Kōzuki Kallen. Il tuo nome era sulle labbra di tutti i ragazzi che combattevano al fronte, anche lontano da Tokyo. Il tuo Guren Nishiki era negli occhi alzati di ogni bambino giapponese. Per questo, quando mi sono reso conto di dover tornare in Britannia, per partecipare al ricevimento dell'Imperatrice, ti ho cercata. Ho scoperto che lavoravi per la VS come bodyguard. E ho chiesto espressamente di te perché pensavo di incontrare un'eroina della resistenza, una di coloro che ci hanno permesso di essere Giapponesi e non Eleven. Invece guardati un po'. Ti sei messa con i Britanni».

Kallen si accese una sigaretta e lanciò un'occhiata in tralice a Orange e Anya.

«Loro non sono miei amici,» replicò.

«Ehi, non ritrattare!» la raggiunse la voce di Jeremiah. Anya lo interruppe, e fece qualche passo verso Mihara con una grazia da gatto.

«Siamo conoscenti,» spiegò. «Anzi, non è del tutto vero, perché io nemmeno me la ricordo. Ma, per quanto possa sembrare strano, ti assicuro che nulla di tutto questo era programmato».

«Senti, Mihara Katsuro,» le fece eco Jeremiah. «A me non importa niente della storia della tua vita».

Anche lui, forse per imitare Kallen, incrociò le braccia e spostò il peso del corpo su una gamba, inclinando il fianco destro. Lanciò uno sguardo all'orizzonte per vedere se qualche macchina si stava avvicinando, ma la strada era deserta. Del resto, con l'autostrada che passava proprio accanto, perché qualcuno avrebbe dovuto scegliere un tracciato di terra battuta?

«Però per le arance è colpa mia,» continuò, «e mi dispiace. E anche se farai fatica a crederlo, voglio dimostrarti che non tutti i Britanni sono delle bestie come pensi. Prima hai detto che stai andando alla festa dell'Imperatrice, e lo stavamo facendo anche noi quando abbiamo perso il carico. La vostra macchina è distrutta, è rimasto solo il camion. Spiegami quali intenzioni hai, e se lo riterrò opportuno potrò aiutarti».

«Perché dovrei dirtelo?»

«Perché voglio saperlo io».

Kallen si era intromessa nel discorso con la fronte aggrottata e la sigaretta stretta in una presa nervosa.

«Mi hai assoldato per proteggerti, però mi hai mentito. Mi hai detto il tuo vero nome, però ti sei inventato una vita e una famiglia, e io ti ho dato fiducia. Con tutto il rispetto, Jeremiah, credo di essere io quella a cui deve delle spiegazioni».

Mihara si irrigidì, come se fosse sul punto di fare un inchino.

Il camion gigante alle loro spalle chiuse gli occhi, e lasciò che solo le luci arancioni dei lampioni li illuminassero. Con un balzo, la piccola Anya scese dall'abitacolo e lanciò uno sguardo alle arance. Si grattò nervosamente il polso, scostando la camicia.

«Noi Cavalieri Neri- i pochi rimasti,» si corresse Mihara, sentendosi forse fuori moda, «abbiamo ragione di sospettare che il principe Schneizel stia tirando le fila di qualche trama».

«Schneizel?» lo interruppe Orange, incredulo, pettinandosi con la mano i capelli all'indietro. «Impossibile. Dallo Zero Requiem, non ho mai visto nessuno tanto fedele alla causa della nuova Britannia».

Stava per aggiungere altro, ma Anya gli si aggrappò alla manica della giacca con abbastanza decisione da fermarlo.

«Jerry, lascialo finire».

Jeremiah la guardò interdetto. C'era qualcosa di strano nel suo tono di voce, come se fosse preoccupata – mortalmente preoccupata – per qualcosa.

«È sempre stato bravo a fare il doppio gioco,» rispose Mihara, senza celare l'odio nelle proprie parole.

Anya tirò su col naso.

«Di più non posso dire».

«Molto bene,» intervenne Kallen, secca. «Mettiamo che Schneizel è dentro a qualche affare di spie, va bene. Non faccio fatica a crederlo. E allora, che cosa pensi di fare?»

Mihara prese tempo. Deglutì, senza guardare nessuno che non fosse Jeremiah.

«Va bene, vediamo quanto aperto di mente sei, britanno. Tanto la mia copertura è saltata. Pensavo di ammazzarlo, ecco cosa. Di farlo fuori e di farlo sembrare un incidente, col mio fottut-» si bloccò e annaspò, poi estrasse il fazzoletto dal taschino e se lo passò sulla gola. «Con il piano che stavo preparando da settimane, e che le tue arance hanno mandato alla malora».

Kallen trattenne il fiato, poi diresse lo sguardo ai propri piedi.

Sta bluffando, pensò, nessuno giocherebbe a carte scoperte in questo modo. Oppure sì? Orange e Anya non sembrano armati, e anche se lo fossero sa che non...

«Sai, Mihara, mi hai davvero deluso,» replicò Jeremiah. Kallen, di nuovo sorpresa, diresse lo sguardo verso di lui. «Prima mi avevi dato l'impressione di essere una persona onorevole, quando parlavi di ciò per cui combatti, ma quest'ultima idea è davvero stupida. Tra le cose di cui non m'importa niente c'è anche che il principe Schneizel tiri le cuoia, ma cosa pensi di ottenere uccidendolo? Se anche le vaghe informazioni che ci hai dato fossero vere, e mettendo che riuscissi ad avvicinarti abbastanza, che cosa risolveresti? Eh? Ti aspetti il colpo di stato? La verità è che, nonostante tutto, i metodi di Zero hanno fallito».

«Bastardo. Non mi faccio parlare in questo modo da un britanno!»

«Però ha ragione lui,» osservò a mezza voce Kallen. Non era stato solo Zero. Tutti loro avevano fallito, e dopo aver cambiato per un attimo rotta il mondo era tornato sui binari che Britannia aveva tracciato per lui. «Tutto quello che succederà è che ti chiameranno terrorista, e domani ci sarà un nuovo Schneizel».

La ragazza deglutì. Cercò di ricordare il sorriso di Nunnally. Da quando sei diventata così pessimista?

«Sentite,» intervenne d'un tratto Anya, stringendosi il labbro inferiore tra pollice e indice. «Io forse non sono quella che ne sa di più di politica, però, se Schneizel sta davvero facendo qualcosa contro il Paese, la cosa giusta sarebbe fermarlo. E, se tu sei una spia, perché non cerchiamo di raccogliere delle prove alla festa?»

«È un'idea intelligente,» rispose Kallen, involontariamente con troppa enfasi.

«Sono contenta di averti sorpresa».

«Avevo deciso di vivere nascosto,» si lamentò Jeremiah, voltandosi a braccia incrociate verso il carico di arance che sbarrava la strada. Sembrò voler dire altro, ma si limitò a sospirare e scuotere piano la testa a destra e a sinistra. «E va bene, io vi porto al ricevimento, poi fate quello che vi pare. Però dobbiamo chiamare qualcuno per sgomberare la strada».

«Spero che tu non abbia intenzione di chiamare la polizia,» replicò Kallen.

«In qualche modo dovremo pur fare,» obiettò Orange con un altro sospiro.

Anya, che camminava in modo all'apparenza distratto tra le arance, a passi lunghi e braccia larghe come una bambina, si fermò e si avvicinò a Orange.

«Il signore giovane con i capelli azzurri che lavorava nei laboratori,» gli suggerì, «lui ha dei robot molto grandi e in genere non fa tante domande se deve aiutare».

«Oh. Sì... sì, è vero».

Jeremiah, incoraggiato da quell'idea, estrasse il telefono e prese a scorrere la rubrica, ma poco dopo si fermò.

«Adesso insegna all'università, però,» obiettò.

Anya si strinse nelle spalle.

«Secondo me puoi provare. Credo che abbia qualche amico ancora nei laboratori che può mandarci un Frame».

Jeremiah annuì e fece partire la chiamata.

Sei brava, sorellina, pensò, lanciando uno sguardo ad Anya, che era tornata a vagare tra le arance. Sei quella che ha gestito meglio l'emergenza. Però c'è qualcosa che non va, lo sento.

Sistemerò tutto io.

«Pronto?»

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