Awake my soul
Errata corrige. Nei capitoli precedenti, per qualche motivo nei dialoghi si nota che Schneizel è a conoscenza del fatto che Zero sia Suzaku. Oltre a non avere nessun senso (può essere benissimo un segreto di Pulcinella all'interno della corte, però Schneizel è sotto Geass), andava anche contro questo capitolo. Non ho idea del perché abbia scritto così (e questo è il motivo per cui preferisco pubblicare le fic dopo averle finite gnn), ma ora ho corretto. Se state leggendo in tempo reale scusate, Schneizel NON conosce l'identità di Zero.
Buona lettura!
Oh the moonlight shadows are fleeting and scattered
Where memories and prophecies are slain.
Only the moment you're in can delight in sin,
So forget your regrets and pains.
The brightest lights
Cast the darkest shadows,
And that's where I'll be found,
For what's hiding by the morning
Will be chased by daylight's hounds.
(King Charles)
Pendragon.
27 novembre 2023 a.t.b, ore 9.30.
Palazzo Reale di Britannia.
«Da oggi l'ex Area 11, Giappone, per la sicurezza dei suoi cittadini riceverà più fondi per lo Sviluppo Tecnologico, in modo da favorire quel progresso che ci mantiene tutti uniti».
Zero, sullo schermo acceso in quella stanza deserta, parlava con la schiena dritta e le braccia allargate. Come aveva sempre fatto. Suzaku si passò una mano sui capelli, arruffandoli, come faceva quando aveva diciassette anni. Quando alzò lo sguardo, però, si ricordò che ne aveva ventitré, e che tutti se n'erano andati. Suo padre, sua madre. L'Istituto Ashford, con le feste della Presidente Milly. I rimproveri di Kallen che ancora non si erano trasformati in proiettili, il tossichiare della moto di Rivalz. Persino quel suo vicino di casa che ogni mese, in modo ossessivo, ritinteggiava il muretto era caduto al fronte. Lelouch. Euphie. Tutti andati.
"L'ex Area 11, Giappone"... cosa lo aveva spinto a dire quelle parole, che un tempo aveva tanto desiderato poter pronunciare, con un tono così freddo?
Sarebbe volentieri morto, un tempo, per quella causa. Ma il problema era che ora lui era vivo, e lei morta, e quell'ex Area 11 non avrebbe mai più potuto vederla.
Mentre Suzaku guardava sullo schermo quel se stesso mascherato che detestava, si ricordò di quel giorno fatale. Della voce amplificata di Euphie che lo nominava il suo Cavaliere, dei suoi occhi – che erano stati come stelle – su cui calava una nebbia primordiale di violenza. Lei, che non aveva mai fatto nulla di male. Lei, che non aveva mai toccato un'arma nella propria vita, condannata a essere la Principessa del Massacro.
Condannata a morte così, senza alcun senso, danzava davanti a migliaia di persone, sparando sulla folla in modo da avere un corteo che la accompagnasse alle porte dell'Oltretomba.
Forse nemmeno in quel momento voleva rimanere da sola.
Euphemia era la persona per cui Suzaku aveva più pregato, ma Dio non aveva ascoltato nemmeno una sua parola. Forse l'Onnipotente aveva riso al solo pensiero di ricevere la supplica di un parricida.
Oppure aveva riso come Lelouch, un paio di settimane dopo, quando Suzaku gli aveva detto che forse avrebbero dovuto fermarsi. Suzaku sembrava la caricatura di se stesso, ancora con l'asciugamano a coprirsi l'inguine, fermo in piedi nello spogliatoio dove l'avevano appena fatto. Era stato ridicolo sin da principio a saltare addosso a Lelouch, ad aggredire la sua bocca sperando di trovare sollievo da quel dolore che gli paralizzava il cuore, a dirgli che beh, forse non era sicuro che scopare fosse il modo migliore di dimenticare un lutto, dopo averlo fatto. Gran bella prima volta.
Talvolta sentiva ancora la pressione fantasma dei denti di Lelouch sul suo collo, che gli inferivano il marchio delle sue colpe. C'erano mattine in cui Dio si svegliava e sentiva il fantasma della sua vecchia richiesta? Era allora che rideva come Lelouch aveva fatto quel giorno?
Oppure rideva nello stesso modo in cui lo aveva fatto Lloyd, quando lui gli aveva chiesto se pensava ci fosse Dio. Se lo ricordava bene, lì con le scarpe sulla scrivania, un sorriso sghembo sulle labbra e la sigaretta che bruciava tra le dita. Qualsiasi cosa stesse dicendo, si trasformava in una nenia fastidiosa che saliva con il filo di fumo.
Io non sono capace di amare, io non sono capace di amare.
Tre colpi decisi alla porta fecero svanire la nebbia dei ricordi che aleggiava attorno a Zero.
Non sono capace di amare, eppure quanta sofferenza mi ha portato prendere questa decisione!
Suzaku indossò di nuovo la maschera, in modo che la sua voce tornasse quella del politico che tutti conoscevano. Le parole del Cavaliere Kururugi erano morte con lui, e riposavano sotto la lapide che ricordava per sempre la sua fedeltà a Lelouch vi Britannia.
«Avanti».
Il brillio d'oro di una spilla e l'ondeggiare sontuoso di un mantello. Suzaku non aveva mai sopportato Schneizel, e lo pensava tutte le volte che era costretto a farlo entrare nelle sue stanze private – anche se era stata la sua volontà, la decisione ineluttabile di Lelouch, a farlo cavaliere. Tutto in Schneizel era pomposo, dal modo in cui si vestiva a quello in cui camminava, dal giorno in cui l'aveva visto per la prima volta in televisione – Principe ereditario al trono di Britannia! – fino a quello in cui Lelouch aveva deciso che avrebbe obbedito a qualsiasi ordine senza nemmeno inarcare un sopracciglio. Anche se Zero gli avesse ordinato di morire, o di ficcarsi una scopa in culo e pulirgli la stanza... Schneizel avrebbe obbedito.
Ma Zero non lo avrebbe mai fatto; perché l'odiava di un odio che non esisteva tra le dita di Lloyd che puzzavano di tabacco.
Suzaku si sentì percorso sottopelle da quella stessa scintilla azzurra che aveva animato il Lancelot sul campo di battaglia. Sentiva sotto i propri palmi i comandi, e l'eccitazione impercettibile degli elettroni. Anzi, lui stesso era il Lancelot, rivestito del lucente esoscheletro della sua missione santa.
Guardami, professore. GUARDAMI! Sei riuscito a creare qualcosa che odia al posto tuo!
«Mio signore,» esordì Schneizel con la schiena inclinata in avanti di trentacinque gradi e la voce pomposa. «Sono... qui per farvi firmare la dichiarazione ufficiale, per quanto avete annunciato ieri durante la cerimonia».
«Devo proprio firmarla adesso?» il tono altero di Zero, le parole ben scandite simulavano bene una certa ostilità nei confronti della burocrazia. La verità non lasciata trapelare era che s'era notata una certa esitazione nella voce di Schneizel: qualcosa di mai sentito.
L'ex erede al trono di Britannia si avvicinò al tavolo, vi posò un foglio intestato e una penna e poi rivolse a Zero un sorriso rintronato.
«Sì, Presidente,» rispose. «Proprio adesso».
Dietro a quella maschera, Zero poteva rivolgergli le occhiate che voleva.
*
Dietro quella maschera, Zero poteva rivolgergli le occhiate che voleva. Poteva essere disturbato, sospettoso – annoiato, persino – e lui non lo avrebbe mai notato.
Nell'esatto istante in cui si era risvegliato dal suo sonno, Schneizel aveva visto la maschera che copriva l'occhio di Jeremiah Gottwald e, per analogia, aveva pensato a quella dell'uomo che lo aveva soggiogato. L'idea di potergliela finalmente strappare con una sola mano, di sentirla forse viscida come le sue parole sotto le dita, lo aveva subito eccitato. Avrebbe finalmente potuto sputare in faccia all'uomo che l'aveva reso lo schiavo perfetto. E l'aveva sottovalutato.
«È necessario sbrigare il prima possibile tutte le formalità per poter inviare l'ordine».
«Capisco,» replicò Zero, poi indicò con un gesto della mano la scrivania, «appoggiali pure lì».
Anche quella semplice richiesta suonava come un ordine dato con sufficienza, allo stesso modo in cui ci si fa riportare il bastone da un cane per fargli capire chi dei due appartiene alla razza dominante.
«Me ne occuperò dopo».
«Mi permetto di insistere, signore. All'ufficio amministrativo mi hanno fatto pressione perché le pratiche vengano concluse il prima possibile».
E là fuori c'è un sacco di gente che non vede l'ora di guardarti provare a raggiungere Lewis Carroll. Si sono stancati dei quiz televisivi, mio caro Zero. Soprattutto nei salotti di intellettuali, sai... non hai idea di quanta gente dabbene si masturbi sugli aspetti più sordidi della politica.
«Da quando siamo succubi dell'ufficio amministrativo?»
«Relata refero, signore».
Zero esalò un sospiro da attore comico, e tutto il suo petto ne fu scosso. Guardando la sua figura che si chinava per esaminare le carte, inconsapevole che lui fosse ormai libero, Schneizel si rese conto della sua ridicola magrezza.
Solo con trucchetti sporchi come quello che avevano usato tre anni prima – dannazione, tre anni! Aveva vissuto tutto quel tempo come uno zombie – un simile omuncolo avrebbe potuto sopraffarlo. Le spalle strette, la vita dritta e sottile come uno dei tanti ragazzetti che aveva visto senza vestiti... gli avrebbe riso in faccia dopo avergli strappato la maschera. E avrebbe potuto... Oh avrebbe potuto fargli di tutto, controllarlo – la sua vendetta – oppure possederlo, sentire le sue grida che lo imploravano di fermarsi.
Farlo piegare sulla scrivania e prenderlo per i capelli sarebbe stato soddisfacente, anche se non quanto venire in faccia al gotha intellettuale di Britannia. Ma Schneizel era un uomo che, anche se aveva perso tutto in una volta, aveva costruito il suo dominio un mattone alla volta.
E sarebbe stato benissimo in grado di erigerlo di nuovo.
«Mi sono sempre chiesto una cosa,» riprese a dire il principe, dopo diversi secondi di silenzio.
Zero alzò il capo e rimane immobile, come un rottweiler che annusa l'aria. Schneizel ne approfittò per girare attorno al tavolo e fermarsi alle sue spalle, chiudendogli le vie di fuga. La luce che proveniva da oltre le tende proiettò l'ombra del suo corpo sulla schiena di Zero. La oscurò completamente.
«Il leader mascherato è un'ottima leva per le folle, certo,» continuò, con atteggiamento pensoso, «però... Tutti coloro che lavorano per voi, Presidenti, dai domestici... oh, non ripongo grandi speranze nei domestici, ma facciamo... sì, facciamo l'adorabile signora dell'ufficio amministrativo... tutti si accontentano di ricevere disposizioni da voi senza mai vedere la vostra faccia? Potreste essere chiunque!»
Zero, perso ogni interesse per le carte, raddrizzò il busto. Schneizel vide le sue mani chiudersi a pugno, lui che reprimeva l'istinto e lasciava ricadere le dita, molli, lungo le cosce, con una posizione del tutto innaturale come risultato.
«È questo ciò che rappresento,» tentò di spiegare. «Tutti siamo Zero».
La tensione nella sua voce era palese, così come il fatto che una domanda del genere non era prevista dal patetico elenco di azioni che Schneizel avrebbe potuto compiere sotto Geass.
«E per esempio – oh, ma è solo una mia curiosità – nessuno ha mai preso questi moduli e cercato di confrontare la vostra calligrafia con quella di ogni britanno che sia entrato in questo luogo? Smascherare Zero, ad ogni costo. Sembra un'occupazione piuttosto eccitante. Potrebbe essere una buona idea per un libro d'avventura, ora che ci penso».
Zero mosse la testa e sulla sua maschera si riflesse la luce. Un singolo baluginio, che Schneizel tentò di immaginare proiettato su di un'iride. Chiari. Di sicuro anche Zero aveva gli occhi chiari, come tutti i britanni.
«Non... non è una questione che ti riguarda,» tentò di tagliare corto lui. Si voltò di scatto, e poi rimase immobile, come accorgendosi solo in quell'istante che tra lui e la porta c'era Schneizel. Tra lui e qualsiasi oggetto, in verità, c'era Schneizel, a meno che qualche cassetto di quella piccola scrivania non nascondesse un'arma. Eventualità a cui il principe non aveva pensato, ma in quegli anni aveva capito che la fortuna non solo arride agli audaci, ma anche volta le spalle a chi è troppo sicuro di sé.
«Non è una questione che mi riguarda?» ribatté lui, alzando un tantino la voce. Spalancò le braccia con enfasi, in modo da continuare al meglio la propria recita: «Ma come! Io sono il vostro cavaliere personale, dovrei sapere qual è l'aspetto dell'uomo che proteggo! Altrimenti... via, altrimenti si potrebbe andare da uno scambio di persona da farsa dei mimi fino a un incidente diplomatico».
«Schneizel...» gorgogliò la voce di Zero.
Disse solo quel nome; l'istante successivo, entrambi i suoi polsi erano bloccati contro la scrivania, stretti nella presa del principe contro cui lui non poteva niente.
«Non hai preso precauzioni contro di me, non è vero?» gli disse Schneizel con voce suadente, avvicinando il volto alla sua maschera. «Puoi contare su una protezione personale di fronte a qualsiasi pericolo, un cavaliere pronto a soccorrerti... il tuo burattino tirato dai fili del Geass». Zero strinse i pugni, ma Schneizel li spinse senza difficoltà contro la scrivania, prima di avvicinarsi al suo orecchio e cantilenare: «Chi fa la guardia alla guardia?»
Zero oppose resistenza, nel tentativo di svicolare dalla presa. Una tecnica da soldato che, tuttavia, il principe sapeva bene come contrastare.
«Ti consiglio di togliermi le mani di dosso,» mormorò il giovane mascherato, scostandosi come poteva dal principe. «Avresti fatto meglio a non entrare da quella porta».
Quella minaccia venne accolta da un sorriso che ben presto si trasformò in una risata maniacale, da cui tutti i lineamenti di Schneizel furono deformati. Rise ancora e ancora, un rombo gloriosamente tonante nella stanza vuota. Poi costrinse Zero a sollevare le braccia sopra la testa e fece piombare il silenzio.
«Tu... tu pensi di essere quello che non può essere toccato?» cominciò a dire, la voce che si alzava sempre di più. «Io sono il re! Io sono quello contro cui non dovreste alzare nemmeno un dito! Che cosa pensava mio fratello quando ti ha messo al suo posto, eh?» il suo tono mutò, diventò più acuto, lui spinse il labbro inferiore in fuori e fece ciondolare la testa nell'imitazione di una ragazzina da concorso di bellezza. «Che gli uomini fossero buoni? Che basti uccidere un demone in piazza per far finire tutte le guerre, e rinchiudere il principe cattivo nella torre? Meraviglioso! Tuttavia...» il principe dovette trattenere l'impulso di cominciare a camminare attorno a Zero come uno squalo che annusa il sangue della sua preda. Di riflesso, gli strinse i polsi fino a sentire lo schiocco delle ossa. «Il male di cui sono capaci gli uomini va ben oltre l'immaginazione di un demone. Va ben più in profondità delle radici marce su cui si fonda questo palazzo. Il male... è tutto ciò che ci identifica, ed era questo che Lelouch non riusciva a capire. Quello che non voleva capire, quello per cui si è ridotto a stuprarmi la mente invece di tagliarmi la testa. Ma io non sono Zero; io sono il re! Avanti, stronzo idealista, fammi vedere la tua faccia prima che la sfiguri per sempre!»
Sbraitando, Schneizel artigliò la maschera di Zero e la tirò verso l'alto, come se potesse ucciderlo con quel gesto.
Occhi, un lampo d'occhi e poi nulla. Aveva ragione, erano chiari come quelli di tutti i Britanni.
*
Con le spalle all'ufficio privato di Zero, Schneizel strinse tra le mani i plichi di documenti da firmare.
Devo proprio entrare, pensò, mentre sentiva la porta che si richiudeva alle sue spalle. Si voltò e allungò le dita verso la maniglia, per bloccarsi a mezz'aria.
Guardò le carte, poi la porta, poi di nuovo le carte. Nessuno le aveva compilate. Non era certo la prima volta che gli capitava un deja-vu, soprattutto considerato il suo stato mentale, soprattutto in quei corridoi che aveva percorso centinaia di volte. Tuttavia, la porta si era appena chiusa alle sue spalle, e lui in quella stanza non c'era ancora entrato. Di allucinazioni era sicuro di non soffrire.
Sentiva qualcosa sotto le dita, come la traccia di un calore che filtrava attraverso i guanti, una sorta di resistenza...
Strinse il pugno, lo alzò e diede tre rapidi colpi sul legno.
«Avanti,» lo raggiunse dopo qualche secondo la voce monocorde di Zero.
Quando Schneizel entrò, lo trovò in piedi davanti alla scrivania. Quanto desiderava potergli strappare quella maschera, vedere gli occhi dell'uomo che l'aveva costretto alla servitù sgranarsi per la paura di fronte all'estremo destino. Avrebbe potuto farlo, ora che più niente l'avrebbe ostacolato, dopo che Jeremiah aveva sciolto i lacci che lo legavano al Geass. Posate le carte sulla scrivania, avrebbe potuto spingerlo contro il muro.
«Mio signore, sono qui per farvi firmare la dichiarazione ufficiale, per quanto avete annunciato ieri durante la cerimonia».
«Devo proprio firmarla adesso?»
Il principe strinse i denti e aggrottò le sopracciglia, poi fece vagare gli occhi per la stanza. Non c'era nulla fuori posto, eppure qualcosa non tornava.
«Schneizel?»
Lui tornò in sé e piegò le labbra in un sorriso ironico.
«Non è una mia iniziativa,» replicò. «Quelli dell'ufficio amministrativo si sono premurati di avvisarmi che le pratiche vanno compilate il prima possibile».
«Da quando siamo succubi dell'ufficio amministrativo?»
Schneizel lo guardò e non riuscì a intuire niente. La posizione del suo corpo non trasmetteva nessuna emozione, il tono della sua voce era lo stesso di sempre.
«Bastardo!»
Con uno scatto ferale, il principe spinse Zero contro il muro, rendendolo succube della sua forza. Gli afferrò la maschera e la tirò verso l'alto.
C'era qualcosa.
Come una sorta di contatto, o una connessione.
C'erano delle parole, che gli sembrava di aver già sentito da qualche parte, pronunciate da una voce che non riconosceva.
Sarebbe stato meglio per te non entrare da quella porta.
«Capisco, appoggiali pure lì».
Zero indicò con un ampio gesto della mano la propria scrivania, e Schneizel tornò in sé, come se si fosse svegliato da un sogno. Gli sembrava, gli pareva molto vividamente, di aver provato a strappare la maschera dal suo volto. Ripercorse i propri ricordi con l'attenzione meticolosa di chi è abituato a tenere sotto controllo, mentre con la testa china in atteggiamento servile faceva ciò che Zero gli aveva chiesto.
Sto impazzendo? Che cosa mi ha fatto Jeremiah?
Sotto i suoi polpastrelli c'era la memoria di una superficie liscia e fredda. Nei ricordi di ciò che aveva visto c'era solo quella maschera. Ma la continuità nel tempo di quell'immagine... era spezzata da un flash bianco.
Sto impazzendo. Io non posso impazzire. Sono nato per controllare.
No! Si è richiusa! La porta, la porta!
Meglio non entrare da quella porta.
«Me ne occuperò il prima possibile,» concluse Zero, per poi dargli senza timore le spalle e camminare verso la finestra.
Schneizel, nonostante lui non lo stesse nemmeno guardando, inclinò la schiena di trentacinque gradi come imponeva l'etichetta e scandì bene un «Signore» prima di uscire dalla porta.
Aveva una voglia matta di togliergli quella maschera, e forse era quella che lo stava trascinando verso la follia.
Pendragon.
27 novembre 2023 a.t.b, ore 17.45.
Palazzo Reale di Britannia.
All'ora in cui il Sole cominciava il suo lento affondare, come un galeone che pian piano scompare tra le onde svanendo gradualmente, fino a quando anche il guizzo di fiamma della vedetta viene inghiottito dalle acque, Schneizel amava far vagare lo sguardo nel giardino dove Clovis per primo aveva piantato le rose. Era anch'esso la riproduzione perfetta di come era stato prima della guerra, tanto che il principe poteva immaginare in modo vivido il fratello minore che passeggiava, la brezza di primavera che gli muoveva gli abiti e gli scompigliava i capelli biondi.
Gli somigliava, Clovis? Si somigliava tutto, il seme reale di Britannia? Forse nella spiccata attitudine al comando, nel disperato desiderio di controllo o nell'inclinazione al peccato della carne?
Schneizel spostò gli occhi verso la scrivania, considerando il fatto che avrebbe potuto avere Kanon aggrappato al suo braccio ad un solo cenno, avrebbe potuto avere i suoi occhi supplichevoli e la sua bocca... ma forse stava impercettibilmente invecchiando, e d'un tratto gli sembrava che un tale pensiero non lo soddisfacesse più, che fosse stanco dei gemiti sempre uguali con cui Kanon chiamava il suo nome, della curva della sua schiena piegata dal piacere. Senza contare il fatto che ogni volta vedeva, nel suo corpo o nei suoi gesti, il segno del tempo che passava. E la cosa era quasi arrivata a disgustarlo.
Quando vide dei fogli fuori posto sulla scrivania, il principe aggrottò le sopracciglia. Nessuno poteva entrare nella sua stanza in sua assenza, e lui allineava sempre i bordi dei documenti.
Si avvicinò al tavolo con circospezione, quasi come se fosse al cospetto di qualcosa di proibito o sacro. La grafia che aveva scritto su quel foglio con una penna rossa, calcata con forza, era confusa e a tratti illeggibile, ma era la sua. Perplesso, prese il foglio tra le mani e tentò di decifrarlo. In cima c'era solo qualche parola. Zero stanza corridoio. Poi una frase:
Una tacca per ogni volta che ci provi.
Il principe arretrò, come se fosse stato colpito da un fulmine. Nella sua mente esplose qualcosa, un lampo bianco che subito svanì.
Merda.
Un'altra frase era ripetuta più volte, aveva provato ad anagrammare le lettere – perché non ricordava niente di tutto ciò? – aveva cancellato frettolosamente, aveva provato a riscrivere. Non era giunta a nessuna conclusione.
Avresti fatto meglio a non entrare da quella porta.
Fantastico, Schneizel, adesso stai impazzendo. No, non stai impazzendo, la porta si è richiusa. Se la cazzo di porta non si fosse richiusa non te ne saresti neanche accorto ma di cosa parli? C'era qualcosa di strano nella stanza. Nella porta. In Zero. C'è qualcosa di ripetuto e ci sono dei luoghi che non tornano.
Non sono allucinazioni. Non sono allucinazioni.
Cos'è che devo fare?
Strinse i denti, si passò una mano tra i capelli e si costrinse a leggere di nuovo il foglio. Le lettere della parola "Zero" cominciarono a vorticare e a mischiarsi davanti ai suoi occhi. No, il punto non era la loro disposizione.
Inspirò, e l'aria della sera era la stessa di sempre. Eppure il tarlo nella sua mente continuava a suggerirgli che, per un istante, ad un certo punto due mondi si erano toccati.
Chi è nato per governare il mondo non può impazzire, quello è solo il destino dei deboli.
Schneizel inspirò di nuovo, fino a riempire del tutto i polmoni, consapevole di essere il leone che, nascosto nella grotta, aspetta paziente l'arrivo delle sue prede. Consapevole di chi dovesse essere la sua preda, di come dovesse farlo suo, anima e corpo.
Una tacca per ogni volta che ci provi.
Il principe tirò la manica, scoprendosi il braccio. C'erano sette tacche orizzontali, precise, che partivano dal polso e scendevano lungo l'avambraccio. Non erano tutte dello stesso colore, segno che erano state realizzate con inchiostri diversi, ma ognuna era il simbolo della stessa determinazione.
Schneizel prese la penna rossa sulla scrivania, si tracciò l'ottava tacca sul braccio e poi uscì a strappare via la maschera di Zero.
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