21st Century Breakdown (I)
I never meant to cause you any sorrow
I never meant to cause you any pain
I only wanted one time to see you laughing,
I only wanted to see you
Laughing in the purple rain.
Purple rain, purple rain
Purple rain, purple rain
Purple rain, purple rain
I only wanted to see you
Bathing in the purple rain.
(Prince)
2018 a.t.b. Area 11.
«Lelouch, non voglio più farlo».
«Suzaku. Che cosa stai dicendo?»
Come diamine aveva fatto – no, come avevano fatto tutti quanti – a non accorgersi che la voce che proveniva dalla maschera di Zero era quella di Lelouch?
«Mi hai sentito. Fermiamoci».
E lui, in particolare, avrebbe dovuto mordersi la lingua fino a staccarsela. Quale meccanismo di difesa si era innescato nel suo cervello costringendolo a separare, fino a quando non era stato palese, il suo amico d'infanzia dal comandante dei Cavalieri Neri?
Come aveva potuto non tremare al suono di quella voce che aveva sentito così tante volte, perso in deliri anche troppo lucidi?
Lelouch, lo stesso che camminava per i corridoi dell'Istituto Ashford con il passo di un re, togliendogli il fiato con uno sguardo, s'era messo in testa di morire come un pezzente.
Ah! Un giorno vorrai ricordare quell'autunno –
Guardavamo le anatre alzarsi dal fiume,
calma la terra davanti a noi.
«Troviamo un'altra strada. Insieme,» continuò Suzaku. Il suo stesso tono di voce supplicante gli appariva davvero patetico, così come la sua mano che s'era infilata nella giacca per afferrare la pistola. Non avrebbe mai avuto il coraggio di sparargli. «Non c'è bisogno di arrivare a tanto».
La sala di comando dei Cavalieri Neri, con le sue anonime luci al neon, era tutta per loro due. Il palcoscenico per la fine di quella farsa.
A Suzaku cadde l'occhio su uno dei terminali: appoggiata accanto alla tastiera c'era una USB con attaccato un ciondolo a forma di cuore.
Lelouch lo forzò a spostare la testa e a guardarlo, prendendogli il mento tra le dita.
«Sei arrivato fino a questo punto con me,» sibilò, «hai ribaltato il tavolo di tutto ciò che volevi ottenere, per poi venire a dirmi che non te la senti? Che non hai il coraggio? Proprio tu, che per tutto questo tempo hai avuto il coraggio più scellerato e demente tra tutti. Tu, che hai fatto a pezzi te stesso, adesso ti tiri indietro?»
Suzaku, con il sapore ferroso del sangue sotto la lingua, non distolse lo sguardo dagli occhi viola di Lelouch. Non avevano solo il simbolo del Geass dipinto in fondo alle iridi, ma anche una follia primordiale che ormai era impossibile da ignorare.
Certo che c'era sempre, quella vocina del cazzo nei meandri della sua mente. Quella che gli chiedeva che cosa mai ci trovasse in Lelouch. La ragione rispondeva il suo desiderio di un mondo migliore, il modo sincero in cui sorrideva quando erano all'Istituto Ashford, tutti insieme.
L'autorità. La sicurezza. La tracotanza.
L'inconscio di Suzaku urlava, desideroso di essere gettato al suolo e calpestato, sporcandosi il viso delle ceneri del padre come pittura di guerra.
Il nero dei capelli di Lelouch divorava la luce.
Lui stesso gli aveva dato quell'ordine. Devi vivere, Suzaku...
«Allora morirò con te,» continuò, estraendo la pistola d'ordinanza e puntandola alla cieca contro il petto di Lelouch. Gli sembrò di sentire il suo cuore battere dentro la canna. «Arriveranno qui e ci troveranno. Questa storia finirà coperta di fiori bianchi. Che ne pensi?»
Suzaku lo avrebbe amato anche con un bel buco da nove millimetri che gli trapassava il diaframma. Anche se avesse dovuto farlo a pezzi, mangiarlo, bruciarlo, non sarebbe mai riuscito a disintegrare quell'essenza che, alla fine di tutto, lo faceva tornare a lui.
Lelouch si avvicinò ancora di più al suo viso, con un ghigno stampato sulle labbra, e gli scostò una ciocca dei capelli sudati.
«Penso che, mio caro cane dell'esercito, non avresti mai le palle di premere il grilletto».
Il corpo di Suzaku reagì. Gli assestò una ginocchiata e lo spinse via, per puntargli subito dopo l'arma contro.
«Comincio a non vedere più la differenza tra te e tuo fratello».
La risata amara di Lelouch si innalzò in quel posto anonimo.
«Sì, Suzaku, odiami... odiami come presto faranno tutta Britannia e tutto il Giappone. Odiami, costringimi a indossare la maschera di Zero e sputami in faccia. Odiami, perché da queste mie ceneri risorgerà qualcosa che sarà realmente libero».
Suzaku strinse i denti.
«Hai perso, Lelouch,» ribatté, le mani che non riuscivano a tenere la pistola all'altezza della sua testa, «potrai salvare il Giappone con il tuo Requiem, ma non potrai mai fare sì che ogni singolo individuo ti odi. Ci sono persone che non smetteranno mai di amarti».
Lelouch, come se non volesse essergli inferiore in nulla, raddrizzò il corpo sottile e avanzò verso di lui. Quando prese la pistola per la canna e se la puntò alla fronte, Suzaku sentì pulsare le vene della mano che ancora la stringeva. Poi il collo. Le orecchie.
Per questa vita abbiamo –
Come per tutte le cose che vanno lasciate andare
ossessione testarda
e mortale.
Zero proruppe in una smorfia di scherno che gli schizzò della saliva sul labbro inferiore. La asciugò con la lingua, in modo quasi sensuale.
«Voi giapponesi siete davvero fedeli ai vostri ideali. Vedo che i tuoi non hanno nemmeno vacillato, fino alla fine, nonostante ormai dovrebbe esserti chiaro il punto. L'amore non muove il mondo».
Suzaku trattenne il fiato, ma anche così la mano continuava a tremargli. Allora capì che poteva ricominciare a respirare.
«Oh,» rispose, «eccome se lo fa».
*
Gli occhi di C.C., curiosi e dorati come le vere all'anulare degli sposi, si spinsero oltre il vetro della porta accanto alla quale era nascosta. Schneizel era appena entrato, si era fatto precedere da quella ragazza con i capelli rosa che in guerra guidava il Mordred e s'era chiuso la porta alle spalle.
La strana sensazione di invisibilità e incoerenza che C.C. aveva iniziato a provare quando era entrata da Pizza Hut non era scomparsa né si era affievolita. Come in un incubo da psicofarmaci, una volta arrivata a Villa Ariete aveva provato a salutare le persone che le erano state amiche – Nunnally, Rakshata e Kallen – e addirittura quelle che conosceva appena – Jeremiah, Cécile e Lloyd – ma nessuna aveva risposto, nemmeno con un cenno. Sembravano non vederla. Jeremiah e Lloyd avevano continuato a conversare tra loro, Nunnally invece aveva alzato il viso per un istante, come se avesse sentito un refolo di vento, poi era tornata ad accogliere gli ospiti.
È questo ciò a cui mi sono ridotta?, pensò C.C., aggrottando le sopracciglia nel tentativo vano di vedere oltre le spalle di Schneizel, un refolo di vento?
Scosse la testa per allontanare quel pensiero e il lieve pulsare delle tempie, nonostante fosse fastidioso, la riportò a una realtà dove, inaspettatamente, Anya e Schneizel stavano conversando in modo amichevole.
Per un attimo si era immaginata che Anya, dopo essere entrata in quella stanza con lui, sarebbe "sparita misteriosamente" come la principessa Cornelia, il cui corpo era stato ritrovato solo qualche giorno dopo il suo rapimento, assieme a quelli della scorta.
Aveva avuto una grande risonanza mediatica, quella vicenda. Speciali sulle ricerche e funerali di Stato.
Ogni tanto, C.C. si chiedeva se mai il corpo di qualcun'altra di loro sarebbe stato mai trattato con tutto quel riguardo.
Schneizel lanciò uno sguardo verso la porta, e lei ebbe la conferma che era invisibile anche ai suoi occhi.
Perché il Mondo di C le stava facendo osservare quella scena? C'erano altre due persone, nella stanza. C.C. non le vedeva, ma sentiva la loro proiezione nel piano astrale.
Che cosa voleva, il Marasma nel Mondo di C? Sperava forse che le fermasse? O desiderava semplicemente farle vedere le spalle bianche di Schneizel che declinavano dolcemente, come una collina; le sue dita affusolate che si alzavano in un gesto elegante e all'apparenza casuale?
«Per quanto concerne questo, mia cara...»
C.C. lo sentiva, nella parte più irrazionale e disperata di sé: Lelouch era, in qualche modo, ancora presente in quelle stanze. Oppure, certo, il Mondo di C stava allevando una nuova generazione di voyeur.
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