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Zero Possibilità

È primavera.

Ho sempre odiato la primavera, sin da quando ero bambino.

Ho sempre odiato l'arrivo del caldo, ho sempre odiato i fiori - non sono pazzo, solo allergico al polline - e ho persino sempre odiato la fine delle lezioni.

Ho sempre odiato la primavera. Poi è arrivato lui.

Ci siamo conosciuti il venticinque aprile, e in effetti è stata un po' la mia liberazione.

Amici di amici all'università, uno stupido comizio in Aula Magna che nemmeno avevo voglia di ascoltare. L'ho notato perché canticchiava Bandiera Rossa macellandola senza ritegno, non è intonato manco per un cazzo.

Anche io sono stonato, ma mi vergogno di cantare.

Mi ricordo di aver pensato che lo invidiavo. Che mi sarebbe piaciuto tantissimo avere la faccia da culo di cantare male in mezzo alla gente così.

Non l'ho notato solo per questo. L'ho notato anche perché aveva una felpetta oversize a maniche lunghe che se me la fossi infilata io, con venticinque gradi, avrei avuto un collasso per il caldo.

E poi l'ho notato perché era bello.

È buffo. Quell'anno mi è piaciuta, alla fine, la primavera.

A essere del tutto onesto, mi sono piaciute anche quelle che sono venute dopo.

L'idea della primavera lo faceva sorridere, quindi piaceva anche a me.

Non gli importava della sessione estiva, né del caldo. Non gli importava neanche delle zanzare... a chi non importa delle zanzare?

Dicevo sempre: he’s a ten but non gli importa delle zanzare.

Idiota.

Poi questa primavera ha rovinato tutto di nuovo.

La nausea, i problemi di vista, i mal di testa, la confusione, i problemi di equilibrio.

Ricordo gli esami, le corse in ospedale, quanto abbiamo penato per avere una diagnosi, tutti e due.

Poi, da qualche giorno, la sentenza: zero possibilità.

Zero possibilità di stare meglio, zero possibilità di sopravvivere, zero possibilità di vedere il prossimo anniversario, il prossimo film degli Avengers, il prossimo solstizio d'estate, il prossimo... tutto .

La vita sa essere davvero bastarda, certe volte.

Io sono un vero pezzo di merda, fumo da quando ho tredici anni, la mia famiglia mi mal sopporta, e tra i due il tumore è venuto all'unica persona che amo.

Questa sarà l'ultima primavera che passiamo insieme, profuma di crisantemi e di cipressi in fiore, e mi sento già pronto a odiarla di nuovo.

«Mhm» lo sento mugolare, capisco che si sta svegliando. Arriccia il naso, strizza gli occhi, è carino anche se negli ultimi tempi si è davvero debilitato. «Amore?»

«Sono qui.»

E dove altro dovrei essere? Ho qualche settimana appena, se potessi non uscirei neanche per fare la spesa o andare a lavoro.

Se potessi, se solo potessi, prenderei il mostro che lo rosicchia dentro e lo ingoierei senza neanche masticarlo.

Farei a cambio senza doverci nemmeno pensare, se potessi.

È un vero peccato che non posso.

C'è già tanta luce, a maggio fa presto ad albeggiare. Io ho sempre odiato la primavera per questo, a lui piace tantissimo.

“Tempo guadagnato per stare insieme,” diceva.

«Che fai, mi fissi mentre dormo?» mi chiede con la bocca impastata, dopo aver aperto un occhio. «Edward Cullen ti fa una pippa.»

«Che c'è, non posso?»

«No no, ammira pure quanto vuoi, ci mancherebbe.»

La luce che filtra dalla tenda sottile gli tiene gli occhi strizzati in una smorfia che mi squaglia il cuore in una pozza di melassa.

Anche se ho solo voglia di urlare, mi ritrovo a sorridere. «Modesto come sempre.»

«Mi aiuti a bere un po' d'acqua?»

La richiesta mi strazia, non lo do a vedere. Mi alzo, faccio il giro del letto, arrivo al suo comodino e apro la bottiglia che stava sopra.

Non riesce più a farlo, neanche quelle già aperte, all'inizio si vergognava dover chiedere, quella fase l'abbiamo superata già qualche giorno fa.

Gli metto una mano dietro la schiena e lo sollevo, col suo aiuto lo appoggio alla testata del letto, poi gli porgo la bottiglia. Non è ancora tempo di imboccarlo, ma sento che sta arrivando anche quel momento. Poi arriveranno i problemi di deglutizione, sarà più difficile a quel punto.

C'era un tempo che desideravo fare l'infermiere, è bello aiutare chi sta male a stare meglio. Diventa meno bello quando ogni minima richiesta d'aiuto ti strizza forte il cuore nel petto.

Finisce di bere e mi porge la bottiglia per richiuderla, non riesce più a fare neanche questo.

«Cos'è questo sguardo da funerale? Guarda che non mi hai ancora seppellito.»

La frase mi arriva in faccia come un pugno sulla mandibola. Sbatto le palpebre stordito dal dolore senza neanche riuscire a formulare una risposta sensata.

«Stai tranquillo, sto solo scherzando.»

E che razza di scherzo del cazzo, penso, ma non lo dico mai. Non lo dico mai perché se gli piace scherzare sul fatto che sta per morire non voglio portargli via anche questo.

«Sto facendo le prove, altrimenti poi mi viene da ridere alla veglia» borbotto, mi alzo in piedi e mi dirigo verso il cucinino. È un monolocale piccolo ma è nostro, e anche se il letto è a quattro metri dalla cucina a me piace, è carino.

È sempre così, negli ultimi tempi. Mi sveglio, si sveglia, preparo la colazione e la porto a letto, lo accompagno in bagno, gli dò l'antiemetico, gli porto tutto quello che gli può servire a portata di mano e poi me ne vado al lavoro qualche ora. Tengo il telefono sempre acceso.

Verso il latte freddo di frigo nella sua tazza gialla di forma improbabile e aspetto che salga il caffè.

Ci sono un sacco di cose che vorrei dire ma finisco sempre per non dirne nessuna, so già che quando sarà troppo tardi per parlare me ne pentirò, sarà un problema di me del futuro.

Sento la caffettiera gorgogliare e spengo il fuoco. Lo verso nella tazza e poi lo annego nello zucchero perché gli piace così e tanto non ha manco tempo di farsi venire il diabete, poi afferro il pacco di gocciole a metà.

Le molle del letto cigolano, e con la coda dell'occhio noto che si è raddrizzato, seduto sul letto.

«Devi andare in bagno? Ti accompagno?»

«No, voglio solo guardarti meglio.»

«Dovresti sdraiarti, il dottore ha detto...»

«Avrò un sacco di tempo per stare sdraiato sotto terra. Ora voglio guardare il culo al mio ragazzo mentre prepara la colazione, se non ti dispiace.»

È a quel punto che non riesco più a reggere la sceneggiata. «Amore, sul serio, basta. Oggi non è aria.»

Lo sento sbuffare. «Ho capito, ti sei svegliato col piede sbagliato.»

«Dovrei svegliarmi allegro?»

«Ti sei svegliato con me. Penso che dovresti imparare a godertelo, sinché dura.»

Io lo so che ha ragione, che dopo sarà peggio e che mi pentirò di aver fatto lo stronzo. Però non ci riesco, non riesco a evitarlo.

Non posso neanche sperare, sono stati chiari su questo: zero possibilità di ripresa.

Di provare quello che ho provato io in quel momento non lo augurerei neanche al mio peggior nemico, neanche a chi mi ha fatto del male.

Gli lancio un'occhiata di sfuggita. Mi sorride, forse per tirarmi su.

E come fa a sorridere anche ora? Lo fa per farmi stare meglio o è davvero in pace? Dovrei sforzarmi anche io di essere felice?

Non lo so e non mi importa. So solo che non è giusto. Non è giusto, cazzo.

Zero possibilità.

Note autrice
Boh, io non so perché ultimamente o scrivo tragedy o scrivo demenziale.
Sarà che è un periodaccio ed esorcizzo, però insomma stavolta mai una gioia, proprio.
Vabbè, vi ho tirato un tiro mancino, però mi volete bene lo stesso.
Di questi due personaggi non faccio mai nemmeno il nome, non l'ho trovato necessario.
Trovo carino che l'ammalato sia la forza del suo caregiver e non il contrario. Secondo voi fa finta di essere positivo per fare stare meglio l'altro o vive davvero la situazione con più filosofia?
Sono carini, però, vero? Si vede che si vogliono tanto bene?
Attendo pareri e a presto ~

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