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Indispettita.

Marcus udì delle urla in direzione delle cucine, così affrettò il passo per trovare l'origine di quel caos.
Lo trovò steso su una cuoca, quel caos, con il nome di Layla.
"Ma che diamine..."
Cominciò, esterrefatto.
Quando la ragazza riconobbe la voce del suo signore scattò in piedi, lasciando alcuni capelli dell'avversaria, sparsi per terra: guardandosi attorno si rese conto di averla fatta grossa.
Il pavimento era ricoperto di cibo e anche le due litiganti erano bagnate di zuppa.
Vide il suo signore posare i pugni sul tavolo di legno al centro della stanza, l'unica cosa che di frapponeva tra loro.
Aveva le maniche arrotolate e si accorse che alcuni suoi muscoli guizzavano, quasi volessero uscire dall'impedimento del lino che li costringeva.
Tentò nuovamente di scappare, come ogni qual volta il suo cammino incrociava quello di Marcus, ma stavolta l'uomo glielo impedì, prendendola per il busto.
"Mi spiegherete per filo e per segno cosa è accaduto, ma prima Sabine deve essere medicata, si è ustionata."
Fece un cenno a Gerardine, la capo cuoca, che era corsa a sua volta appena udite le urla.
La donna aiutò Sabine ad alzarsi e si occupò di lei, così Marcus potette concentrarsi su Layla.
"Tu vieni con me."
Disse, uscendo dalla cucina.
Si rintanarono nella sala lettura e Marcus posizionò due poltrone, l'una di fronte all'altra.
La ragazza era intimorita, in fondo non conosceva il suo padrone e non sapeva che indole avesse.
"Mi dispiace molto..." cominciò Layla, prendendo posto, subito imitata dal suo signore.
L'uomo notò che la ragazza aveva il capo chino, così si sporse verso di lei e le mise un dito sotto al mento.
"Quindi parli anche tu."
Le disse per schernirla, guardandola fissamente.
In quel momento la ragazza provò qualcosa per il suo signore, anche consapevole di quanto sbagliato fosse.
Gli occhi di quel bellissimo uomo erano i più espressivi che avesse mai incrociato, non era mai stata guardata in quel modo da nessuno dei paesani.
"Stai bene Layla?"
Chiese allora Marcus, vedendola persa nei pensieri.
Così da vicino le parve ancora più bella, benché ancora acerba.
Quando la ragazza prese coraggio e parlò, Marcus cominciò a intuire molteplici cose sul suo conto.
All'apparenza schiva e pacata, ella in realtà aveva un carattere fumantino e un po' scorbutico, ma era anche sveglia e spigliata, a dispetto della prima impressione che aveva avuto su di lei.
"...quindi devi mandare a casa Sabine o farle pulire i bagni!"
Concluse con passione.
"Devo?" si ritrovò a chiedere lui, trattenendo le risa.
Solo allora la ragazza si rese conto del tono confidenziale usato: arrossì violentemente.
"Sei mai andata oltre queste terre?"
Le chiese, cambiando totalmente discorso.
"Sì, mio signore. Da piccola i miei genitori mi portavano al di fuori del confine, ho visto molti nobili con la puzza sotto al naso, laggiù."
Non era per niente intimorita mentre parlava, cosa che affascinò Marcus, che non smetteva di sorridere.
Per un attimo dimenticò tutto il rammarico e il senso di colpa; tutto il dovere morale si dissipò nel sorriso della piccola Layla.

*

Quella sera stessa, i suoi sogni tormentosi tornarono per tenerlo sveglio.
Restò molto tempo a contemplare il soffitto di pietra della sua stanza muta.
Dalla finestra il chiarore della luna si rifletteva su di lui, rendendolo quasi etereo.
Marcus scese dal letto e uscì, rassegnato a un'altra notte in bianco.
Si rintanò nella prima camera che trovò e accese il camino; da quanto tempo quel fuoco non ardeva?
La stanza prese vita, il fuoco creava giochi di luce sui muri di pietra.
La libreria sulla destra sembrava un mare rosso, il pavimento divenne caldo in breve tempo.
Marcus posizionò una poltrona di velluto marrone di fronte al camino, alla sinistra del quale vi era un tavolino con fogli bianchi, una piuma e un calamaio.
Perdonami.
Serrò la mascella. Il cuore gli batteva così forte che riusciva a udirlo, nel silenzio della notte.
Perdonami.
Scrisse velocemente quella parola su di un foglio bianco, rileggendo molte volte quello schizzo nero su quel vuoto bianco.
Non riusciva a dirlo ad alta voce, così aveva deciso di scriverlo, ma ugualmente i suoi demoni non lo lasciavano in pace.
Perdonami.
Lasciò che quel piccolo scarabocchio prendesse fuoco nel camino.
"Ora hai qualcosa da bruciare." Sussurrò al silenzio.
Zanon ormai era completata, tranne che per qualche stanza da risistemare, ma era cosa da poco rispetto al lavoro svolto fino a quel momento.
Eppure Marcus era ugualmente amareggiato, per certi versi afflitto, niente riusciva a sanare il suo cuore e la sua mente.
Poi tutto divenne chiaro e una nuova parola venne scritta e bruciata:
Perdonati.

*

"Buongiorno Marcus."
Esordì Bernice, entrando nella sala ristoro.
Si guardò per lungo tempo intorno, quasi assopita dai ricordi.
"Vieni." La invitò l'uomo, facendole un cenno.
"Clara! Stamani colazione per due, facci servire da Layla!"
La cameriera sorrise e annuì, intuendo le intenzioni dell'uomo.
"Non sarà troppo crudele da parte nostra? Ha avuto una bella strigliata anche da me, povera Sabine!" Bernice sapeva che sua figlia era una discola, ma si fidava ciecamente di Marcus.
"Dimmi una sola parola e non sarà lei a servire. Qui sei la padrona, lo sai, vero?"
Doveva il lavoro di settimane a quella donna, era merito suo se ora Zanon era rinata e se la gente cominciava a fidarsi di lui. Da solo non sarebbe mai riuscito a conquistarli.
I paesani stavano anche provvedendo a ripopolare la zona, spostando le loro dimore una capanna alla volta, che con il ricavato del lavoro alla fortezza avevano potuto arricchire con mobilio e tetti di pietra.
"Ma che dici, non si è mai sentito che una domestica sia la padrona di alcunché!"
Ma l'uomo era molto serio e la donna placò le risa che le erano affiorate alla gola.
"Va bene Marcus, come desideri." Concedette alla fine, perché non era mai stata in grado di negargli qualcosa nemmeno da piccolo.
Quel ragazzo testardo le stava veramente a cuore, tanto quanto Adélaïde stava a cuore a sua madre.
La storia si ripeteva.
"Se ora sono qui, in casa mia, in una nuova ma piena di ricordi Zanon, è per merito tuo. Zanon è anche tua, io porto avanti solo l'eredità di un ex schiavo."
La donna frenò le emozioni che minacciarono di piegarla, si accucciò accanto al giovane uomo e gli prese una mano tra le proprie.
"Tuo padre aveva cuore, anche se solo Adélaïde è riuscita ad accedervi."
Marcus sospirò.
"L'ha rimpianto tutta la vita, quel cuore."
Sussurrò in fine, più a se stesso che a lei. 
"Ti manca?"
Chiese la donna, dopo un attimo di silenzio. Era una domanda molto stupida, ma la sua curiosità era qualcosa che Bernice non riuscì a frenare. Marcus era l'unico che avesse potuto parlarle della sua signora.
"Ogni volta che respiro. Sento di non aver fatto abbastanza." Disse rauco, arrivando troppo vicino a ricordi che voleva dimenticare. Non ne aveva mai parlato a nessuno e con Bernice rischiava davvero di rivelare troppo.
"Abbastanza per cosa, Marcus?" insistette lei, ma furono interrotti dal vassoio che Layla fece tuonare sul tavolo di legno.
Quella ragazzina aveva lo strano potere di fargli dimenticare tutto l'amaro della sua vita e  nonostante tutto le sorrise.
"Sei in ritardo. Spera che la mia colazione e non sia fredda."
La provocò. Si divertiva a indispettirla, era come uno svago per lui.
"I tempi sono cambiati, ma voi sembrate un vero uomo delle caverne!"
Rispose di tutto punto la ragazza, scatenando l'ira di sua madre.
"Ragazzina, non osare..." cominciò lei, subito interrotta da Marcus.
"Smettila Bea." La zittì, in fine, perché voleva continuare a giocare con sua figlia.
"Hai ragione piccolina, a quei tempi per una frase come quella che mi hai rivolto ti avrebbero tagliato la lingua, oppure un cavernicolo ti avrebbe caricata in spalla e presa a sculac..."
"Va bene, ora basta! Buona colazione, mio signore, attento alle risatine beffarde, potrebbero farvi andare la colazione di traverso!" Interruppe la ragazza, presa dalla foga del momento. Di seguito si congedò, lasciando Marcus estremamente divertito e Bernice in imbarazzo.

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