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Bentornato a casa.

I lavori continuavano senza sosta nella tenuta del nuovo signore.
L'uomo era molto soddisfatto della velocità dei braccianti nel pulire i campi, tanto quanto nella forza degli scaricatori nel sollevare pietre.
Ben presto avrebbe potuto chiamare casa quel cumulo di macerie.

Durante un sopralluogo, Marcus venne fermato da Florence, che non appena lo vide gli sorrise raggiante. Il loro rapporto stava prendendo una piega che a Marcus piaceva oltremodo. Nei suoi lunghi viaggi aveva avuto molti amici, ma non aveva mai provato l'ardire di affezionarsi a loro in modo totale, per non rischiare di soffrire troppo una volta che lui e sua madre sarebbero ripartiti. Ma ora era diverso, era a casa sua e aveva tutte le intenzioni di rimanerci. 
"Salve Florence! Come stanno procedendo i lavori interni?" Il ragazzo sembrava fiducioso e pieno di entusiasmo.
"Per il momento tutti fanno il proprio dovere, soprattutto la moglie di Robert: L'ha strigliato per bene, quel vecchio zoticone!"
Gli spiegò che l'uomo si era fermato per guardare le gonne delle giovani svolazzare, sperando di vedere qualche pezzo di pelle in più ogni volta che si alzava il vento.
Risero insieme per la sfacciataggine dell'uomo, poi Florence gli chiese una cosa che lo crucciava da quando l'aveva conosciuto.
"Marcus, perché siete tornato?"
Il giovane signore di Zanon sorrise nel notare che Florence era arrossito.
"Credo sia una domanda che crucci gran parte di voi."
Si vedeva chiaramente che il giovane contadino era una brava persona.
Un semplice lavoratore che non aveva mai lasciato il paese; Riusciva quasi a sentire le domande che poneva a se stesso.
Come può qualcuno abituato a viaggiare e visitare il mondo, tornare in questo posto dimenticato da tutti?
In fondo, nemmeno lui sapeva rispondere a tale domanda.
Aveva amato i viaggi con sua madre, ed era stato davvero felice con lei, ma sentiva che era tempo di tornare, l'aveva promesso.
Forse era troppo cresciuto e gli sguardi malinconici di sua madre gli facevano più male di quanto riuscisse ad ammettere.
Ella guardava i giovani innamorati con gli occhi velati dal passato e dai ricordi che aveva serbato nel cuore.
Certo, Enrique l'aveva amata, ma di un amore dolce e composto che non aveva scalfito nemmeno minimamente il tumulto interiore che le provocava Alexander. Anche se non era stata capace di dirlo a parole, Marcus aveva compreso tutto molto bene.
Se parlava di lui le si imporporavano le guance e i suoi occhi vispi si riempivano di lacrime, velate dai ricordi, che se dapprima la facevano sorridere, subito dopo la lasciavano da sola con il suo presente.
Piccole sfumature di cui non aveva parlato.
Marcus tornò alla realtà, spronato da Florence: tutto era pronto per cominciare.

*

Una piccola ragazzina bionda osservava il suo signore all'ombra di un albero secolare.
Egli lavorava come un mulo, anche più dei suoi sottoposti.
Aveva i capelli e la pelle imperlati di sudore e tagliava la legna da ardere nel nuovo camino.
Non aveva mai visto un nobile lavorare, di solito i ricchi si rintanavano nelle loro enormi dimore a dispensare ordini a destra e sinistra ai poveri domestici al loro servizio.
Ma Marcus appariva totalmente diverso, non temeva di sporcarsi le mani né che il sole potesse bruciargli la pelle e donargli il colore di un semplice bracciante, a dispetto dei signorotti con la pelle così candida che Layla dubitava fossero mai usciti dai loro scrigni d'oro.

"Mentre noi lavoriamo la signorina si riposa!"
Rise Marcus, raggiungendola.

Si era accorto di lei perché si sentiva osservato.
L'aveva trovata assorta in chissà quali tribolazioni e l'aveva raggiunta.
Vide la ragazza scattare in piedi e fuggire verso le cucine, ancora una volta non aveva potuto udire nemmeno il suono della sua voce.
Tornò verso i giardini, fermandosi un istante per ammirare il retro del castello.
Anche se aveva ricordi sfocati, Zanon non l'avrebbe mai dimenticata, tanto che avrebbe rimesso tutto esattamente come la sua mente rammentava.
Respirò aria pura e guardando il cielo cominciò a sorridere.

*

"Madre."
Marcus era percosso da violenti brividi e solo il suono della sua voce spezzava il silenzio della sua stanza da letto.
"Marcus, anima mia, sei a casa."
Calde lacrime gli rigarono le guance, mentre il volto di sua madre si affievoliva sempre più, come quando da piccolo restava ad occhi aperti per tutto il tempo che sprofondava nei fiumi gelidi della costa nord.
Poco dopo rinsavì, il corpo pregno di sudore e un tumulto interiore che non lo lasciò più dormire. Marcus aveva un segreto opprimente, che man mano rischiava di schiacciarlo e farlo perire.

Il giorno seguente, il giovane si sentì meglio, i sensi di colpa svaniti come la notte appena trascorsa.
Era arrivato il momento di inaugurare la nuova fortezza e Marcus non poteva permettersi cedimenti emotivi. 

"Pensavo di non rivedere la Zanon dei miei ricordi mai più." Bernice gli si affiancò, con la voce rotta dall'emozione.

Passeggiarono insieme per la tenuta, la donna sottobraccio del ragazzo.
Quest'ultimo fu assorto nella contemplazione della fortezza, era così diversa dal rudere che aveva visto una manciata di settimane prima.
I prati erano stati risistemati, le erbacce estirpate e i mattoni ricostruiti.
Guardò la torre a ovest, dove era solito nascondersi quando rubava qualcosa in cucina.
Sorrise.
Tutti si erano dati un gran daffare, segno che Zanon era rimasta nel cuore di tanta gente anche dopo quattordici anni.
In quel luogo c'erano tutti i fantasmi dei sogni distrutti di sua madre e suo padre, e probabilmente anche i suoi.

"Marcus, mi ascolti?" Venne riportato alla realtà dalla sua accompagnatrice. La donna notò subito il velo di malinconia negli occhi del ragazzo che aveva cresciuto, per qualche tempo.

"Un giorno mi parlerete di lei?"
Gli domandò ancora, dopo un lungo silenzio.
Una delle tante domande che si era aspettato, quindi non si sorprese più di tanto quando la donna gliela pose, se non per il fatto che avesse impiegato tanto tempo per formularla.

"Un giorno non lontano te ne parlerò, ti do la mia parola" Bernice non cercò di forzare la corda, era consapevole che quell'argomento era molto doloroso per il ragazzo.

"Tanto mi basta."
Sembrava decisa nello sguardo.
Mentre continuavano a camminare cercò di rassicurarlo, dicendogli che il tempo avrebbe ricucito i pezzi rotti dentro di lui. 

*

A Layla drizzarono i capelli sulla nuca, quello stufato era immangiabile!
Come aveva potuto, Marcus, mettere Sabine nelle cucine?
Tutti i paesani sapevano che era molto più brava a rubare fidanzati che non cucinare alcunché.
Decise che la questione andava risolta subito, prima che la colpa di qualche obbrobrio disgustoso fosse ricaduta su di lei.
La trovò intenta ad aggiungere più salvia di quanto prevedesse il piatto che stava preparando.
Layla prese un bel respiro, cercando di contare fino a dieci, ma il suo carattere fumantino prese il sopravvento.

"Sabine, basta! O impari a cucinare o ti levi dai piedi!"
Urlò la bionda.
"Come osi mocciosa?"
Le chiese la più grande, sia in età che in altezza, mollandole un sonoro ceffone.
"Tu non conti nulla e prima te ne farai una ragione meglio sarà per tutti." Continuò. I suoi capelli nerissimi si muovevano fluidi con i suoi movimenti stizziti.
In pochi secondi Layla scattò, prendendola proprio per quelli e facendo cadere il pentolone con il pasto del giorno sul pavimento.
Si azzuffarono fino a che Bernice non irruppe in cucina, attirata dalle urla.
La donna si ritrovò a sbuffare, chi poteva essere la responsabile di quel disastro se non sua figlia?

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