WRAPPED AROUND YOUR FINGER (I)
I should go
Before my will gets any weaker
And my eyes begin to linger
longer than they should
I should go
Before I lose my sense of reason
And this hour holds more meaning
than it ever could
Un anno prima
||MARC||
«MARC»
La voce stridula di Lena arriva lontana, ovattata da una porta chiusa, eppure è ancora troppo vicina per i miei gusti.
L'ideale sarebbe non sentirla proprio. Nè ora, né mai.
«Marc dove sei? Ho bisogno di parlarti, di baciarti. Lei non è abbastanza per te» continua a sbraitare quella psicopatica della mia ex. Nella penombra del corridoio sento Reina imprecare.
«Ok io vado a picchiarla» mormora con la parlata biascicata di chi ha bevuto troppo vino, facendo il primo passo verso la porta chiusa. Con la sua solita prepotenza e complice una leggera sbronza non pensa a nient'altro se non a pregustare il pugno che vorrebbe piazzare sul naso di Lena, andando così a sbattere contro un qualcosa di molto fragile e molto rumoroso, che ovviamente cade a terra e si rompe.
Perfetto.
Pagheremo i danni, e ancora peggio Lena ci raggiungerà. Approfitto di quest'attimo di disorientamento per allungare le braccia verso Reina e afferrarle il bacino.
Come con una bambina capricciosa, la sollevo senza sforzi per piazzarla davanti a me e bloccare il suo cammino verso il nemico. Questa mezza giravolta che le faccio fare costa al mio equilibrio però, dimostrandomi che neanche io sono sobrio quanto pensavo.
«Ti ricordo che siamo a casa del sindaco. Suo padre, hai presente? Che ha organizzato questa serata di gala in mio onore. Non possiamo ucciderle la figlia, chiaro?» cerco di spiegarle, sperando che il discorso abbia un senso logico non solo nella mia testa, tenendole sempre le mani arpionate al bacino così da evitare possibili fughe.
So che in realtà è tutto inutile, che se Reina è in vena di scatenare un putiferio non sarò io a fermarla. Sopratutto quando è ubriaca.
E devo anche ammettere che in realtà, in una parte molto recondita del mio cervello, non mi dispiacerebbe affatto vederla mentre mette quella pazza al tappeto.
Nel frattempo, grazie all'intelligente mossa di Reina abbiamo svelato la nostra posizione a Lena. Sento la maniglia della porta che ci separa muoversi ed è subito panico.
Ho cercato di ignorarla tutta la sera, mi sono portato Reina a questa cena proprio per evitare che potesse crearsi una situazione del genere, per aggirare possibili discorsi sui bei tempi passati conditi con fiumi di lacrime, cosa che io non credo di poter sopportare, ma a quanto pare il suo folle amore non si ferma neanche davanti alla mia ipotetica fidanzata. Mi preparo psicologicamente a dover affrontare questa scenata.
«Ok scappiamo» dice però poi Reina, afferrandomi la mano. Fa scattare qualcosa in me. Non tutto è perduto. Mi guarda in attesa, in effetti conosco questa casa sicuramente meglio di lei.
Cominciamo a correre accompagnati dal rumore della maniglia che si apre e dal ticchettio dei tacchi di Reina. Il mondo attorno a me è leggermente sfocato ed ho una gran voglia di ridere. Io e Reina siamo un connubio destinato a finire in qualche guaio, sempre, e sopratutto viviamo la nostra vita ad una velocità diversa da quella degli altri.
Forse scappiamo da qualcosa, forse corriamo e basta. In moto, senza moto, non importa. La vita è più bella se vissuta con una marcia in più, e poterlo fare con lei è qualcosa di fantastico.
Non l'ho mai negato, Reina è la cosa della quale più sono geloso a questo mondo. Forse solo mio fratello non l'ha colto questo concetto.
Io avanti e lei subito dietro, corriamo per i corridoi bui della residenza Gonzales nella speranza di seminare Lena e, sopratutto, raggiungere l'uscita secondaria.
Una volta becchiamo il bagno, ed un povero invitato alla cena che non aveva pensato a chiudersi a chiave. Dopo altri diversi tentativi falliti ecco che il corridoio svolta in un grazioso ingressino che ospita la meravigliosa porta d'ingresso.
Reina, che nella corsa si è tolta i tacchi, non pensa neanche a rimetterseli. Corre fuori dalla villa, corre nel prato all'inglese, corre a piedi nudi e non si ferma prima di aver svoltato l'angolo della strada, come se il marciapiede fosse zona sicura.
Quando ci fermiamo abbiamo entrambi il fiatone.
Ci guardiamo. Reina ha i capelli chiari scompigliati e le guance accaldate, il vestito rosso stropicciato e i tacchi in mano.
Ci guardiamo, e scoppiamo a ridere.
«Se non fossi venuta con me, sta sera, sarei stato molestato» le dico, poggiandomi su un muretto mentre lei estrae dalla borsa un paio di converse bianche e vi sotterra le decoltè nere. Tipico di Reina. Mi sorprende anche che abbia acconsentito ad indossare qualcosa di carino ed elegante per questa cena.
Io sono abituato a vederla sporca di fango in tuta, ma non è male così.
«È una decerebrata Marc, ma di che diavolo parlavate quando stavate insieme?» domanda lei, guardandomi dal basso mentre si allaccia le scarpe. Le faccio un sorriso sornione.
«Chi ha detto che c'era bisogno di parlare?» ridacchio.
Reina mi piazza uno schiaffo sulla coscia mentre è ancora in ginocchio, ma perde l'equilibrio e devo afferrarle le spalle per non farla cadere a terra. Abbassando lo sguardo, scoppio di nuovo a ridere.
«Reina, se resti così neanche tu avrai bisogno di parlare» le dico scherzando, vista la posizione chiaramente fraintendibile nella quale si trova. È una battutina che vede complice l'alcool, perché se non fossi più disinibito del solito in questo momento non mi sarei mai permesso. Io e Reina non ci scambiamo battute a sfondo sessuale, non flirtiamo, non facciamo niente che non farebbero anche un fratello e una sorella.
Eppure sta sera c'è qualcosa di diverso nell'aria.
Sarà il vino.
Reina alza lo sguardo verso di me, con quel qualcosa di cattivo che le si accende negli occhi ogni volta che si trova davanti ad una sfida. Poi però scuote la testa e si aggrappa al mio braccio per tornare in piedi.
«Tu sei un idiota, e lei è stupida abbastanza da pensare che io e te potremmo davvero stare insieme« dice, dandomi uno spintone. Forse dovrei sentirmi offeso, ma fingo di non sentire la piccola stretta all'altezza dello stomaco e sorrido.
«Andiamo, ti ricordo che il sindaco non era l'unico a voler festeggiare la tua prima vittoria nella classe regina» aggiunge poi, cominciando a camminare.
Il ricordo della vittoria ad Austin si fa di nuovo strada nella mia mente e con lui torna quella sensazione di onnipotenza che ha caratterizzato le mie ultime 48 ore. Passare del tempo con Reina mi ha riportato con i piedi per terra, ma se ora chiudo gli occhi rivedo me sulla mia Honda. Rivedo il traguardo con nessun altro davanti. Rivedo il podio e sento l'odore di champagne. Sono un vincitore.
«La mia più grande vittoria però è stata vederti in aeroporto al mio ritorno. Avevi detto che non saresti mai venuta ad acclamarmi» le dico, seguendola. Reina fa una smorfia, ma non si gira a guardarmi.
«Infatti non ti ho acclamato, ti ho semplicemente fatto un cenno»
«Si, ma resta il fatto che sei venuta»
«Sta zitto e goditi il momento, Marc»
Reina fa un gesto con la mano che vuol mettere fine al discorso ed accelera il passo, ed io non posso fare a meno che sorridere soddisfatto alle sue spalle.
Camminiamo in silenzio fino a casa di Carli, una mia vecchia compagna di classe.
Neanche varco la soglia che ho già una birra piazzata in mano. I miei amici di una vita mi applaudono, mi abbracciano, mi danno pacche sulla spalla e mi chiamano campeón. Li guardo e sorrido con il petto gonfio d'orgoglio. Sono stato applaudito da tanta gente, ma niente è paragonabile al riconoscimento dei miei amici.
Sono le 48 ore più felici della mia vita.
Ed io che pensavo che già il vino mi avesse dato alla testa, non avevo idea di cosa mi aspettava durante la serata.
Dopo un'infinità di brindisi il mondo attorno a me risulta abbastanza ovattato. Finita una partita a Twister con penalità al gusto di Tequila raggiungo Carli e Coco che richiedono a gran voce la mia presenza.
Sono due belle ragazze, senza dubbio, e mi faccio volentieri "coccolare" da entrambe, ma sono e saranno sempre le mie compagne di classe in quella che sembra una vita fa. E poi non ho più tempo da dedicare alle donne.
«Dai fammi postare una nostra foto su Instagram così mi aumentano i follower» dice Coco, portandomi un braccio intorno alle spalle.
«È il pegno da pagare per tutti i compiti che ti abbiamo passato» aggiunge Carli, affiancandomi a sua volta. La situazione mi fa solo ridere.
«Ah è così che sfruttate la mia carriera?»
«Ovvio, e ovviamente ti facciamo anche ubriacare»
Senza minimamente oppormi, lascio che facciano di me ciò che vogliono. Non sarei in grado di fare altrimenti. Così ci ritroviamo io, loro, e una fila di shots di chissà quale super alcolico.
L'ultimo cicchetto mi va di traverso quando, anche nella confusione del momento, riconosco la figura di Lena che varca la porta di casa. Volto affusolato, capelli neri, vestitino nero e tanta, tanta follia. Riesco a non sputare addosso a Carli richiamando tutto il mio buon senso, in questo momento sotterrato da litri di alcool.
«Cazzo Carli avete invitato Lena» sbraito, con la gola che brucia per l'alcool, mentre con gli occhi già cerco Reina. L'ho persa dopo pochi minuti dal nostro arrivo.
Non c'è un bel modo per lasciare una persona, ma con Lena sono sempre stato maturo, al suo contrario. Ora però mi sono rotto le palle.
Sbatto il bicchierino di vetro sul tavolo e mi faccio strada tra la gente che occupa il salone, che si muove a tempo con la tipica ballad spagnola dell'anno. Mi nascondono da Lena, ma al tempo stesso rendono un'avventura arrivare alla meta.
Reina, il solito maschiaccio, è nel bel mezzo di una partita a beer pong con dei ragazzi che la guardano come se fosse un bocconcino prelibato. Ci resto un attimo.
Forse sono io che l'ho sempre vista sotto un'altra prospettiva e non ho mai fatto caso a quanto effettivamente Reina sia cresciuta, a quanto sia bella.
Sono tutti belli da ubriachi mi dico poi, anche perché non è questo il problema.
Devo liberarmi di Lena.
Mi intrometto nell'accesa partita afferrando Reina per un braccio e trascinandola via.
«Ehi» prova a ribellarsi lei, ma la tengo stretta. Quando mi guarda, con un'espressione interrogativa, mi rendo conto che i suoi occhi sono abbastanza persi. Almeno quanto devono esserlo i miei.
Porto Reina dalla parte opposta del salone rispetto all'ingresso, mettendola spalle al muro così da farla stare dritta, e da poter avere io un appoggio con la mano ferma sul pezzo di parete accanto al suo viso. Lei sembra continuare a non capire, finché il suo sguardo non cade su qualcosa alle mie spalle che le fa portare una mano sulla tempia. L'ha vista.
«Merda, ancora?» mormora, lasciando cadere la testa contro il muro. Poi torna a guardarmi, scrutandomi. «Cosa vuoi fare? Vuoi andare a parlarle?»
«Non sia mai» rispondo, rabbrividendo al solo pensiero di aver a che fare con lei. Sopratutto ora. «Ma come la mandiamo via?»
Sarò anche capace di prendere decisioni immediate a trecento chilometri orari, ma in questo momento ho il cervello in tilt. E Reina non mi aiuta, visto che la sua fronte va a poggiarsi sulla mia. Ed io e lei così vicini non ci siamo mai stati.
«Forse deve vedere, e non solo pensare, che tra te e me ci sia qualcosa» mormora lei. I miei occhi si incastrano a forza nei suoi e sento di nuovo quel groppo in gola, quella sensazione di quando lei guarda me e solo me. Sono belli i suoi occhi castani, sanno al tempo stesso di casa e rischio, di qualcosa di così familiare che in realtà non conosco affatto. Non l'avevo mai guardata davvero, guardata come un ragazzo guarda una ragazza, e purtroppo lo sto facendo adesso. E dico purtroppo perché non sono in me in questo momento.
«Cosa devo fare?» le domando, per quanto stupido possa sembrare. Pendo dalle sue labbra e la odio per questo, perché deve sempre essere un passo davanti a me. Ma non mi tiro indietro.
Istintivamente, porto le dita della mia mano ad intrecciarsi tra i suoi capelli.
Lei chiude gli occhi e mugugna qualcosa, ne approfitto per sfuggire dal suo controllo e guardare altrove. Sbaglio però, perché il mio sguardo finisce sulle sue labbra. Quelle labbra screpolate che tante volte mi hanno mandato a quel paese, che con me hanno sorriso, gioito, che mi hanno sfidato e continuano a sfidarmi ogni giorno. Mai avrei pensato di vederle così da vicino, mai mi sarei immaginato che potessero essere così invitanti.
Non ho il tempo di chiedermi cosa diavolo mi sta passando in mente.
Quando alzo lo sguardo, e lei è di nuovo lì a guardarmi, il resto del mondo sparisce. Non è neanche più Lena il motivo per cui continuo ad essere qui, a tenerla così.
«Baciami»
💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼💁🏼
Sbaaaaaaaaaam.
Ok si, avete ragione, non è proprio un colpo di scena, sapevate sarebbe successo 😅
Maaaarc ubriacone mio.
Come immaginavo, non sono riuscita a far entrare tutto in un unico capitolo, quindi si anche il prossimo sarà un flashback.
Spero non vi dispiaccia!
Scappo, come sempre.
Grazie a tutti per il supporto 😍
Lasciatemi una stellina se la storia continua a piacervi!!
Vi lascio con una foto di Marc, così, giusto per ricordarvi quanto è bello.
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