RUNAWAY AS FAST AS YOU CAN
Baby I got a plan,
Runaway as fast as fast as you can.
||MARC||
Riesco a liberarmi dei fan non appena la canzone finisce, così torno dalla mia birra mentre con un occhio resto ad osservare le due bionde che gesticolano animatamente nell'angolo del locale.
Jenn, la sorella di Eric, ogni tanto mi lancia degli sguardi di traverso.
Deve aver pensato chissà che cosa quando ci ha visto. In realtà, neanche io so cosa mi stava passando per la testa prima. E' che Reina è la parte di me che mi fa mollare i freni, che mi fa dare gas. Riflettendoci ora, stavo per fare una cazzata.
Mi allungo verso il boccale di birra di Reina e le rubo un bel sorso, lei ne ha già bevuta troppa ed io ne ho più bisogno.
Ora anche lei si è girata a guardarmi, con lo sguardo di chi ha fatto un bel casino. Non mi dispiacerebbe troppo, in realtà, l'aver creato scompiglio nella coppia dell'anno. Il mio problema non è ciò che potrebbe succedere tra loro, è ciò che sta succedendo nella mia testa.
Ci sono degli attimi in cui non sono lucido e credo di vedere Reina per qualcosa che non è, qualcosa di più della ragazza, quasi sorella, che corre in moto con me. E mi odio per questo. Mi odierebbe anche lei se lo sapesse. Per non parlare di Alex.
Reina si gira definitivamente e si avvia verso di me, facendo segno a Jenn di aspettare.
«Io devo andare Marc» dice con la voce ferma e lo sguardo duro. Sta stringendo la mascella. È il suo modo di imporsi, di chiarire che non ci sono repliche alla sua affermazione. Si allunga verso lo zainetto nero lasciato sulla panca di fronte alla mia e fa per muovere un passo verso l'uscita, mentre Jenn la affianca.
Non ci sto. Quel tono potrà funzionare con gli altri, non con me.
Allungo una mano per fermarle il polso e la strattono, obbligandola a girarsi.
«Che succede?» Le chiedo, con un tono minaccioso che non sapevo di possedere. Reina sbuffa.
«Marc devi lasciarmi andare»
«Centra Eric?»
«Marc lasciami andare, prima che qualcuno si faccia male»
«Fammi venire con te»
Reina distoglie lo sguardo, si morde un labbro e fa per sfilare il polso dalla mia presa, ma la strattono di nuovo, più forte, e ci ritroviamo fronte a fronte.
«No» esclama, tornando a racimolare la sua forza. Non mi frega.
«Vengo con te»
Senza aspettare risposta, avvicino i due caschi da cross dalla panca e le lascio il polso solo per infilarle in testa il suo. Poi la riprendo, e senza far caso al suo dimenarsi la costringo a seguirmi fuori dal locale.
«Reina vieni» urla Jenn, con una gamba già in una macchina nera dall'aria vecchia parcheggiata di traverso per strada. Ci sono delle altre persone dentro, ma non riesco a vederle nella penombra dell'abitacolo.
Reina non si gira e mi osserva, severa.
Io la guardo fermo.
«Ti lascio da sola qui a fare cazzate quasi tutto l'anno, dammi la possibilità di esserci»
Devo sembrare convincente, perchè lei chiude gli occhi rassegnata e poi grida un «ci vediamo lì» ai ragazzi nella macchina.
Nascondo il sorrisetto che mi sta spuntando sul viso infilandomi il casco, ma lei lo nota comunque e mi pianta un pugno sul braccio.
«La prossima volta che usciamo insieme ci spostiamo con due moto» borbotta.
Non le chiedo cosa sta succedendo perché non mi risponderebbe. Silenzioso, salgo in moto e aspetto che mi venga dietro. È sempre strano stare così a contatto. Le sue braccia che mi stringono il busto mi fanno venire ogni volta voglia di mostrarle quanto sono bravo su due ruote, quanto forte posso farle battere il cuore. Fosse possibile, me la porterei dietro anche nei GP.
La macchina nera parte sgommando e io apro il gas, la voglia di superarli é tanta. «Seguili» urla però Reina, prima che la sua voce venga del tutto sovrastata dal motore. Mi metto in modalità segugio, cosa nella quale sono parecchio bravo. Ho imparato col tempo che essere sempre quello davanti non paga, quando gli avversari ti temono puoi batterli anche solo mettendogli pressione. Sono quel segugio che ti sta col fiato sul collo, quello che non vorresti alle tue spalle, che ti prende al tuo primo sbaglio.
Devi saper far paura alla gente anche quando le stai dietro, quando sanno che stai arrivando, non solo quando le stai battendo.
Corriamo nelle strade della città finché prendiamo una svolta che porta su un sentiero sterrato in aperta campagna. Qui le uniche luci sono gli abbaglianti della macchina che ci precede. La mia, essendo una moto da cross, non è omologata per andare in strada. Ma io sono Marc Marquez.
Ora un faro però non mi dispiacerebbe.
Andiamo avanti per qualche minuto, avvicinandoci sempre più ad uno spiazzo illuminato in lontananza. È un po' che non vivo appieno la vita a Cervera, quindi non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo qui.
Il posto è una specie di bunker di cemento ricoperto da graffiti, in mezzo al niente. Quando spengo il motore della moto, arrivati a destinazione, ci rendiamo conto dell'improponibile livello della musica. Una specie di techno psichedelica che prende ancora di più i ragazzi strafatti che popolano la zona.
«Dove diavolo siamo finiti?» domando a Reina quando le sue braccia diminuiscono la pressione sul mio corpo e il suo piede poggia per terra. Mi sento a disagio. Non è posto per me, questo. Spero non lo sia neanche per lei.
Anche i ragazzi dentro la macchina scendono.
Un ragazzo, una ragazza e Jenn.
Reina li osserva camminare mentre si toglie il casco. Imito il suo gesto, ma lei allunga una mano verso la mia e mi blocca.
«Lascialo» intima, facendo un cenno verso il casco. Annuisco. «Resta qui ora, per favore» senza spiegazioni, mi dà le spalle e con il suo passo fiero leggermente velocizzato si incammina nella stessa direzione degli altri. Non ascolto la sua richiesta, ma tengo il casco. La seguo a distanza.
Passando davanti al bunker mi rendo conto che la vera serata è lì dentro, dove la gente, ammassata, si dimena su questa musica dai bassi così forti che fanno tremare la terra sotto i piedi. Qui fuori c'è solo chi si sta fumando una sigaretta, una canna, chi cerca aria, chi vomita, chi cerca roba.
Poi c'è un gruppo di persone, a qualche metro dall'entrata del bunker. Gridano qualcosa che non capisco, o semplicemente le loro voci sono così accavallate l'una sull'altra da rendere impossibile scandire le parole.
Reina è quasi arrivata, quando improvvisamente inizia a correre. Il mio cuore perde un battito. La seguo.
Si fa strada nel gruppo a gomitate, tanto stanno tutti troppo male per sentire dolore. Al centro dello pseudo cerchio che si è venuto a formare, un paio di ragazzi si sta animatamente prendendo a cazzotti. Uno è un mostro. Tira pugni contro la faccia dell'avversario come se fosse un punching ball, e quello, inerme, cerca semplicemente di restare in piedi.
E chi poteva essere il mostro, se non Eric.
Capisco le intenzioni di Reina prima che possa anche solo muovere un passo, la mia mano scatta per cercare di afferrarla ma qualcun altro si mette tra me e lei. Jenn. E quando la sposto di lato Reina si è già fiondata sul suo ragazzo.
«Eric basta» grida, gettandosi su di lui a braccia aperte con una forza tale che riesce a spostalo. Eric si dimena e cerca di liberarsi, ma lei lo stringe tra le braccia come fosse una camicia di forza. Lei riesce ad avere la meglio, riesce a calmarlo. Eric cade in ginocchio e la porta giù con se.
«Quel tipo mi deve i soldi della coca» urla Eric, sputando. Reina gli afferra il viso tra le mani, la poca luce presente illumina i tratti induriti e preoccupati del volto di lei. Le ferite su quello di lui.
Eric le porta una mano sotto il mento e lo afferra, possessivo. Poi la bacia. Violento, passionale. Dovrei distogliere lo sguardo ma non ci riesco. Come ipnotizzato osservo la scena e sento qualcosa muoversi nel mio stomaco. Mi viene quasi da vomitare.
«Eric sei ubriaco» sbotta lei, allontanandolo «quante cazzo di volte ti ho detto che non devi bere? Perdi il controllo»
«Ma tu eri con lui!» Mugola Eric, il tono di voce a metá tra quello di un bambino lamentoso e il ringhio di un lupo.
Sento il cuore accelerare i battiti. Sento l'adrenalina.
Ho imparato a gestirla. Ho imparato a restare lucido a 300 km/h. Ma questa è tutta un'altra storia.
Anche perché Eric si guarda in torno e quando posa lo sguardo su di me, e casco o non casco mi riconosce. Non credo, tuttavia, che fosse per nascondermi da lui. Piuttosto da chi poteva vedermi in questo posto, circondato da spacciatori e tossici, e spargere la notizia.
«Tu» dice, minaccioso. Punta un piede per terra per rialzarsi, ma Reina cerca di trattenerlo giù.
«Eric non ti azzardare» grida Reina, ma lui è praticamente già in piedi. Ingoio il groppo che ho in gola. L'ho preso a pugni una volta, posso replicare.
Ciò che succede negli attimi successivi é confuso.
La campagna si illumina improvvisamente di luci. Fari di macchine. Luci blu. Macchine della polizia.
Con la musica così alta nessuno si è accorto del rumore del motore. Reina si stacca da Eric e resta a metà strada fra me e lui, pronta a qualsiasi evenienza.
Il problema è che i poliziotti sono già tra noi. Si avventano su ragazzi del gruppo, bloccando loro le mani. Prendono anche Eric. Quest'ultimo, prima che riescano a fermargli entrambi i polsi, alza un braccio per indicarmi.
«Ha lui tutta la roba» dice. Un sorriso raggelante sul viso.
La scena di Reina che gira di scatto la testa verso di me e mi dice di scappare la vivo quasi a rallenty, come in un film. L'espressione che si deforma piano, i capelli biondi che vanno da una parte all'altra.
Il mio movimento, però, è tutt'altro che a rallenty.
Pianto la punta del piede per terra e scappo, dopo essermi assicurato che anche Reina stesse scattando verso di me. Dietro di lei, due uomini in divisa.
Alla moto arrivo prima di lei così da avere il tempo di inserire le chiavi.
Con le gambe che mi tremano, il cuore che pulsa nelle orecchie e l'adrenalina a mille entro nella mia safe zone non appena il rombo del motore supera persino il rumore del battito del cuore.
La derapata che faccio per cambiare direzione alza un polverone di terra attraverso il quale Reina spunta giusto in tempo, allacciandosi il casco mentre corre. Le allungo una mano, lei la afferra, mette il piede sinistro sulla pedalina e la tiro su al volo, per poi lasciare il gas e correre via come un dannato.
Sento Reina tenersi con un solo braccio a me, finché non lo ricongiunge con l'altro quando ha anche il telefono in mano. Con la torcia del telefono accesa, cerca di farmi da faro.
Non serve per molto, dato che subito una volante si mette al nostro inseguimento.
«Scappa più veloce che puoi» la sento gridare, per poi stringersi più forte.
Non aspettavo di sentire altro.
I miei polmoni si riempiono d'aria, sento la solita sensazione alla bocca dello stomaco di quando persino il corpo ti sta dicendo che la velocità è troppa.
Non mi importa.
È la sensazione più bella del mondo. E Reina è qui con me.
E chi se ne frega della polizia che ci insegue.
Il manubrio trema tra le mie mani, la moto salta sulle buche.
Sto guidando meglio di come farei in MotoGP.
Ed è vero, mi piace fare il segugio, sono bravo a stare addosso alle persone. Ma nelle corse, quando prendi la preda, devi saper anche scappare per mettere la tua posizione al sicuro. Io sono un mago anche in questo, nel prendi e scappa.
La volante riesce più o meno a stare al passo finché rientriamo in città, dentro Cervera però non ha più scampo. La moto si infila ovunque molto più facilmente.
Dopo qualche giro, con annessi controsensi e zone pedonali, ci perdono. Per fortuna non ho la targa, perché credo di aver violato qualsiasi norma del codice della strada.
Anche se li abbiamo seminati però non voglio tornare a casa, sono troppo eccitato. Così corro verso il lato opposto della città, magari sperando di poter giocare ancora un po' a guardia e ladri con la polizia.
«Hai presente quando hai detto che uscire con me è noioso? Ecco, questo con te non succede mai» grido, sperando che Reina mi senta. Giro la testa verso il lato, per cercare il suo viso con la coda dell'occhio. Lei mi batte una mano sul casco.
Quando torno a guardare la strada, c'è un cantiere davanti a noi.
Scalo le marce e freno, sapendo che ovviamente non riuscirò a fermami. Infatti mi preparo con il piede in sicurezza e affronto una strettissima curva a gomito. Una così detta curva cieca.
Così cieca che alla fine della curva vengo abbagliato da una luce che non mi sarei aspettato di vedere. Strada a senso unico, io in controsenso, con un camion che mi sta lampeggiando.
Mi butto sulla sinistra per farlo passare, dove però una macchina aveva avuto la geniale idea di sorpassarlo. Accompagnato dal suono dannato del clacson della macchina, riesco a passare tra i due, precisamente sulla striscia di mezzeria.
Finché non perdo l'anteriore, che slitta su non so cosa e porta la ruota a toccare la macchina.
Io e Reina finiamo catapultati in aria.
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