Qualifiche
I'll face myself,
to cross out what I've become
I start again,
and whatever pain may come
Today this ends.
I'm forgiving what I've done.
||REINA||
L'aria nella stanza sul retro del box sta iniziando a diventare viziata. Sono chiusa qui dentro da mezz'ora, ormai è quasi arrivato il momento.
Che la mia proposta fosse la cazzata del secolo l'ho capito l'attimo dopo averla pronunciata, il problema è avere una persona nella mia vita che è fuori di testa molto più di me che non solo ha accettato, ha convinto anche il suo manager e il capo tecnico del team ad assecondare la mia idea.
Così sono chiusa qui dentro, con la tuta di Marc già addosso, mentre lui è nel box a farsi riprendere dalle telecamere come se fosse tutto normale, come se potesse davvero scendere in pista. In realtà anche solo fare due passi gli fa un male cane e non so come faccia a non mostrare la smorfia di dolore che gli storpiava il viso ad ogni movimento, quando siamo usciti dalla clinica mobile. Probabilmente gli antidolorifici stanno facendo la loro parte, per quanto possibile.
Dopo aver fatto avanti e dietro per i primi dieci minuti, quasi gasata dalla situazione, la realtà mi ha colpito in faccia come uno schiaffo e mi sono ritrovata seduta per terra, con la schiena contro la parete e le gambe al petto, in preda al panico.
I flashback della gara del 2008 mi tornano in mente. Correvamo nel CEV, classe 125, ed eravamo a parti inverse, lui in KTM e io con la Honda. Marc aveva quindici anni, io quattordici. Era il GP di Valencia ed è stata l'ultima volta che ho messo piede in pista.
In realtà ricordo poco di quella giornata. Eravamo sotto il quinto posto in classifica, ma davanti a noi c'era gente che ci correva per la terza o almeno seconda volta nel CEV e a me bastava essere arrivata per la prima volta davanti a Marc nella tappa precedente a farmi sentire soddisfatta. Ok, forse soddisfatta no, ma sicuramente su di giri.
Mi sentivo pronta a battere chiunque quella domenica.
E in effetti ci siamo finiti io e Marc davanti a tutti, o quasi. Dovevamo solo andare a recuperare sul primo per poi giocarci la vittoria.
Alla fine Marc è arrivato secondo, io sono volata a duecento chilometri orari dopo aver fatto chiudere l'anteriore della mia moto per uno stupido errore. E' per questo che mi colpevolizzo per la morte di mio padre. Gli è preso un infarto nei box quando mi ha visto catapultata via dalla moto e la colpa di quella caduta non è di nessun'altro, se non mia. Se non avessi sbagliato...
E' stato Marc a darmi la notizia della morte di mio padre. Parecchie ore dopo ho aperto gli occhi in ospedale, avevo un braccio ingessato e lui era lì, seduto sul bordo del lettino con le mani in mano, la testa bassa e ancora la tuta addosso, slacciata per metà. Era un ragazzino con la faccia simpatica al tempo, basso e magrolino, sul quale già gravavano aspettative piuttosto pesanti riguardanti il suo futuro nelle moto. Lui però correva per se stesso, per la soddisfazione di vincere, per sentirsi un campione e non per essere chiamato tale.
La gioia per il secondo posto, però, sembrava assente dal suo viso. Mamma piangeva su una poltrona all'angolo della stanza e non riusciva a parlare, così il mio migliore amico mi disse che mio padre era morto.
E' questo che intendo, quando dico che Marc c'è sempre stato. Sempre.
Da quel giorno non ha più insistito sul farmi correre in pista, solo cinque anni dopo ha provato a chiedermi con molta discrezione di tornare del paddock e nonostante tutti i "no" che si è beccato, ora sono nel retro del box. Con una delle sue tute addosso, il suo nome stampato all'altezza del sedere, e sto per salire in moto. In una gara di MotoGP. Fingendomi Marc Marquez, il campione in carica.
Santi è passato prima per darmi qualche dettaglio tecnico, ovviamente non abbiamo tempo per cambiare il set up della moto ma so come guida Marc, inoltre siamo più o meno alti uguale, al massimo la moto correrà un po' di più perchè peso meno di lui, per il resto è tutto così da pazzi che guidare come un folle sembra l'ultimo dei miei problemi.
Pensando a tutte le cose che potrebbero andare storte e a tutte le brutte sensazioni che potrei sentire in moto, cosa che sul mio KTM MX non succederebbe mai, mi trattengo le gambe al petto con le braccia.
Finchè uno spiraglio di luce illumina la stanza semi buia e la porta sul retro si apre giusto il necessario per far passare la figura di Marc. Mi alzo di scatto mentre il cuore mi salta in gola, realizzando prima che lo faccia il mio cervello che il momento è arrivato.
Marc si chiude la porta alle spalle e mi si avvicina in silenzio.
"Come ti senti?" domanda mentre allunga una mano per afferrarmi il braccio. Accarezza la tuta con la punta delle dita, poi mi guarda nella penombra.
"Alla grande" rispondo con il solito orgoglio bruciante, cercando di convincere lui e me stessa allo stesso tempo. Marc però lascia scivolare la mano e fa un passo indietro.
"Ti rendi conto che abbiamo dormito insieme sta notte e continui a non voler mai condividere con me ciò che senti? Reina io muoio dalla voglia di sapere cosa ti passa per la testa, cosa provi, non voglio sentire le solite stronzate. Saresti disumana se non fossi neanche un minimo impressionata da questa situazione"
Resto un attimo spiazzata dal discorso di Marc che mi coglie decisamente in contropiede.
Lo fisso senza sapere cosa dire, mentre nella mia testa frullano troppe cose per riuscire a fare un discorso sensato.
Così con uno slancio gli getto le braccia al collo.
Sento l'attrito della pelle della sua tuta contro la mia e il gemito di dolore che emette quando i nostri corpi si scontrano.
Faccio per allontanarmi, consapevole di avergli fatto male per il troppo impeto, ma il suo braccio mi circonda il bacino e mi blocca contro di lui, stringendomi più forte di quanto avessi fatto io.
Mi lascio andare a quell'abbraccio, nascondendo il viso con delicatezza tra la sua spalla e il collo, assaporando il suo odore.
"Ho una paura fottuta" sussurro, quasi come volessi ammetterlo a lui ma non a me stessa. In cambio ricevo una stretta ancora più forte, che quasi mi sembra che i nostri corpi possano fondersi da un momento all'altro.
Chiunque mi avrebbe detto che sono ancora in tempo per tirarmi indietro, ma lui no. Lui crede in me. Lui sa che non lo farei.
"Aggrappati alla manopola del gas e non pensare a niente" risponde mentre le sue labbra mi sfiorano i capelli, solleticandomi la cute.
Allontano il viso quanto basta per poterlo guardare in faccia, nonostante la poca visibilità. Poi poggio la fronte sulla sua.
La porta si apre di nuovo e Santi fa capolinea in controluce.
"È ora, prima che qualcuno si insospettisca per la tua assenza" dice, senza accennare a volerci lasciare un altro attimo da soli.
Così Marc mi lascia andare ed io, con le mani tremanti, vado a prendere il casco che avevo poggiato su una mensola quando sono entrata per cambiarmi. Dopo aver fatto una crocchia bassa per rendere più facile nascondere i capelli lo infilo, sentendo cucirsi addosso sensazioni che credevo aver dimenticato.
Quel casco addosso mi ricorda tante cose, mi fa tornare la ragazzina di un tempo. E mi viene da ridere al pensiero che anche allora, Marc era qualcosa più di un amico per me. Vorrei andare da lei e dirle cosa la aspetta, e che nonostante tutto il premio è fantastico.
Le dita di Marc scansano le mie mentre cerco di allacciare il casco, sostituendole, così inizio ad infilare i guanti.
Mi serve qualche attimo per abituarmi alla pressione del casco, ma riesco a trovare confidenza dopo due o tre respiri.
Una volta tirata su anche tutta la cerniera della tuta mi guardo nello specchio presente nella stanza e il risultato è impressionante. Riflessa accanto a Marc sono più bassa di lui di qualche centimetro, difficilmente individuabile senza un confronto così vicino, ma per il resto la tuta aiuta a darmi spessore e a far assomigliare la mia corporatura alla sua.
"Per fortuna che ho le tette piccole" è l'unico commento che mi viene in mente e che mi fa scoppiare in una risata nervosa. Osservo la faccia leggermente contrariata di Marc nello specchio, allo stesso tempo divertita. In realtà il mio seno non è del tutto inesistente, ma ciò che madre natura mi ha dato è schiacciato da una placca che mi protegge il petto, facendomi sembrare tutta un tronco unico.
Prendo un ultimo respiro, poi abbasso la visiera e muovo i primi passi per raggiungere Santi.
"Sono troppo egocentrico se dico che il tuo sedere con il mio nome stampato sopra è ancora più bello?" la voce scherzosa di Marc arriva alle mie spalle, la sua risata nonostante sia tutto ammaccato mi dà la forza che mi mancava, la grinta che i miei fantasmi hanno cercato di spegnere.
Sono forte in pista, come nel cross, e questa è l'unica verità.
Alzo un dito medio verso Marc, nonostante i guanti, prima di uscire dalla stanza. La sua risata si intensifica, poi sorpasso Santi a testa bassa e butto giù la visiera del casco non appena muovo il primo passo nel box.
Finché ho il casco addosso e la voce bella nascosta, nessuno mi potrà beccare.
Fingendo sicurezza cammino nel box fino alla moto, sotto le occhiate del team. Sono tutti strabiliati dal fatto che "Marc" voglia correre le qualifiche nonostante le sue condizioni e rivolgono quegli sguardi fieri e impressionati a me, pensando che dietro quella tuta e quel casco con il 93 ci sia lui.
La visiera è specchiata e loro non vedono i miei occhi, ma quando li porto su Emilio, che se ne sta poggiato alla parete con le braccia incrociate e la faccia preoccupata, ho la sensazione che lui sappia che lo sto guardando.
Mi fa un cenno con la testa che ricambio sicura.
Pensavo di avere ancora una decina di minuti e invece no, sono appena finite le Q1.
Santi mi affianca e mi accompagna accanto alla moto pronta, osservando ogni mio movimento mentre allungo le mani verso di lei. Resto un attimo in contemplazione, accarezzando con le dita coperte dai guanti il serbatoio, poi alzo una gamba e mi ci ritrovo sopra.
Cerco di contenere il panico, prendendo grossi respiri dietro il casco mentre il mio corpo cerca di abituarsi allo stare qui sopra. Nel frattempo, la mano di Santi si poggia sulla mia schiena.
"Fai due giri di ricognizione, ascolta la moto, studiala, riscalda le gomme" mormora Santi, in piedi al mio fianco.
Con lo sguardo fisso davanti a me annuisco.
Un meccanico mi si avvicina, ma Santi gli fa cenno di allontanarsi.
"Reina, Marc crede in te. Io non ti ho mai visto in moto, ma mi fido di lui e di conseguenza mi fido di te. Tieni la mente lucida. Non ci serve un gran tempo, quanto basta per stare nelle prime tre file andrebbe comunque bene. Sempre meglio che partire dall'ultimo posto"
Annuisco ancora, mentre uno strano calore si infonde nel mio corpo. Questa gente crede davvero in me ed io non ho intenzione di deluderli.
Così, quando è ora, apro il gas.
Per Marc, per Santi e il team, per mio padre che tifa per me da lassù, per questa meravigliosa moto, per me stessa. Per dimostrarmi di saper andare oltre i limiti ed essere sempre all'altezza delle mie aspettative.
Il cuore mi batte molto più forte di quanto dovrebbe mentre le ruote affrontano i primi metri della pista e respirare solo prima di ogni curva diventa difficile. Non sono allenata per questo genere di cose, nel cross è diverso, più improvvisato, meno tecnico.
Mi ripeto in testa il percorso così come l'ho studiato ieri sera con Marc, pensando alla curva successiva già mentre inizio a piegare per quella che ho davanti. E' difficile concentrarsi però con tanta agitazione in corpo e dopo i primi giri ho quasi voglia di tornare ai box e lasciare tutto.
Poi Rossi mi sorpassa ed in quel momento qualcosa scatta.
Credo che in parte sia perchè il pensiero di essere sulla stessa pista di un grande come lui mi esalta e non poco, ma sopratutto perchè mi ha sorpassato, il che significa che sono più lenta di lui. E questo, alla mia mente orgogliosa, non va bene.
Così come quando Marc mi sorpassa in selva, il mio istinto primordiale prende il sopravvento. La mia mano apre il gas senza che la testa glie lo comandi e forse è questo il trucco, staccare la testa e basta. Fidarmi della moto e lasciarmi portare da lei.
Mi impegno solo a tagliare le curve alla Marc Marquez,per il resto guido come viene mentre la velocità mi stritola le budella, la sensazione più bella che si possa provare. Cerco di ricucire con Vale per andare a sfruttare la sua scia, ma lui ha preso un bel vantaggio e abbandono l'obiettivo.
Giro da sola ora, con me stessa da superare.
A cinque minuti dalla fine mi costringo ad assecondare il cartellone esposto che chiama il cambio gomme e torno nei box, dove anche i pochi secondi che passo senza il sedere sulla moto mi infastidiscono.
Santi si avvicina con un tablet per farmi vedere i tempi, ma gli faccio segno di no con la mano. Spingerò a prescindere, non mi serve sapere come è andata fino ad ora. E poi mi basta lo sguardo nei suoi occhi per sapere che sto andando forte.
Vorrei vedere anche quello di Marc, ma avremo tempo dopo.
Con le soft montate mi serve un giro e mezza per trovare confidenza, dopo di che torno a rincorrere il tempo per il time attack finale. Faccio un giro dietro Pedrosa, lasciandomi trascinare dalla sua scia, per poi rendermi conto di riuscire a spingere anche più di lui. Lo sorpasso con il cuore che batte a tremila e non appena mi rendo conto di averlo lasciato dietro per davvero avrei voglia di saltare in piedi sulla moto e festeggiare.
Come ho fatto a vivere sette anni senza questa sensazione?
L'ultimo giro lo faccio piegando con gomito e ginocchio che strisciano del tutto a terra, accelerando, insaziabile della sensazione dell'attrito con il vento.
Guardo il cartello esposto dalla tribuna solo allo scadere del tempo. P-4.
Lo sconforto del non essere prima viene subito messo da parte dalla consapevolezza di aver davvero fatto un quarto posto in qualifica, nella motoGP, circondata da professionisti, dopo sette anni che non mettevo piede in pista.
Alzo la ruota mentre la folla esulta perchè è qualcosa che devo fare, che voglio fare. Lasciare che la moto guardi il cielo e percepisca che quello è il suo unico limite, nient'altro. Penso a dove sarei ora, se sette anni fa non avessi smesso con le gare.
E che, forse, sarebbe una bella idea rincominciare.
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