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_ The court of conscience _



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Gaia riprese coscienza dopo un tempo che le parve infinito ed i suoi occhi, leggermente schiusi, vennero invasi dalla luce calda di un tramonto arancione.

Confusa dalla situazione, si mise a sedere ed iniziò a tastare la superficie sotto di lei, che risultò morbida ed umidiccia al tatto.

"Erba. Mi hanno salvato dalle macerie e mi hanno abbandonata sull'erba?" pensò confusa, mentre si sforzava di aprire gli occhi, infastiditi dalla luce.

Quando finalmente, dopo innumerevoli sforzi, riuscì a mettere a fuoco il mondo intorno a sé, venne accolta da una vista che le parve familiare.

Si trovava in un giardino pieno di fiori.

Rose, gigli, papaveri e ortensie riempivano l'aria di profumi leggeri e accattivanti, che la invitavano a inspirare profondamente.

La cancellata intorno al giardinetto era bianca laccata e, in alcuni punti, sommersa da un'edera spessa, che impediva la vista del mondo fuori da essa.

Qualcosa nella mente della ragazza le suggerì che quel posto era familiare, ma, per qualche motivo strano, non riuscì a identificare con precisione dove lo avesse già visto.

Una panchina di pietra, ai piedi di un salice piangente, si ergeva solitaria nel silenzio di quel piccolo paradiso profumato, portandole alla mente ricordi che non riusciva a distinguere con chiarezza.

"C'era una donna seduta lì" si disse, osservando incuriosita il sedile da lontano.

Stremata dalla confusione della sua testa, si sdraiò nuovamente nell'erba e tornò ad osservare il cielo azzurro sopra la sua testa.

L'assenza completa di nuvole le ricordò il cielo che aveva intravisto tra le macerie quando i soccorritori l'avevano salvata.

"Perché non sono in ospedale? E perché non sento dolore?" si domandò confusa, mentre constatava la situazione del suo corpo.

Prima di potersi rispondere però, una voce alterata la riscosse dai suoi pensieri confusi.

"Nani! Sta no sdraiata in da l'erba!* Ti sporchi!" esclamò una voce femminile alle sue spalle.

"Dialetto milanese... Strano. Sono in Corea." pensò confusa.

Prima che potesse anche solo reagire e mettersi a sedere, un'ombra le oscurò il viso e la costrinse a sollevare il viso verso l'alto.

I suoi occhi incontrarono prima l'orlo di uno scamiciato a fiori, stretto intorno a fianchi abbondanti, per poi scorrere fino ad un viso perplesso circondato da un caschetto biondiccio.

All'improvviso i suoi ricordi si sovrapposero alla sua mente confusa e tutto intorno a lei divento più chiaro.

"Il giardino della casa dei nonni!" urlò il suo cervello.

Come aveva fatto a dimenticarsi di un luogo così importante della sua vita?

Le mani della donna sopra di lei erano appoggiate sui fianchi in maniera perentoria e lo sguardo deciso fece correre brividi gelidi nella schiena di Gaia.

"Dem, leva sù nani!*"  la incoraggiò la donna, allungando una mano e afferrandole un braccio.

Gaia, aiutata dalla signora, si alzò fino a trovarsi davanti a lei e il suo sguardo si soffermò sui lineamenti duri del viso di quella che, all'inizio, le era sembrata una sconosciuta.

La mascella un po' squadrata era contratta da una morsa stretta dei denti, mentre le labbra sottili erano incurvate in una linea di disappunto, che rendevano il viso della donna ancora più rettangolare.

Il naso un po' a patata si incastrava perfettamente tra due occhietti scuri decisamente arrabbiati, mentre le sopracciglia erano inarcate in un'espressione seria.

Gaia rimase congelata.

Negli ultimi cinque anni, l'unico modo che aveva avuto per vedere quel viso era stato tramite la fotografia che portava sempre con sé nel portafoglio, e, sfortunatamente, quel piccolo pezzo di carta plastificata non rendeva giustizia all'immagine tridimensionale intrappolata nel suo cuore da sempre.

Ma in quel momento, davanti a lei in carne ed ossa, si trovava Adele Marinoni, ovvero la donna più speciale che Gaia avesse mai conosciuto.

La sua nonna.

La nonna che aveva perso per colpa di un tumore straziante che l'aveva consumata senza pietà.

Ma questa Adele sembrava giovane, in salute, e decisamente pronta a tirarle uno zoccolo di legno con tutta la forza possibile.

"Nonna..." sussurrò leggermente, mentre la voce si spezzava irrimediabilmente.

Senza pensarci due volte si lanciò tra le braccia della donna e la strinse a sé con forza, mentre lacrime calde le inondavano le guance.

La donna bionda, dopo qualche secondo di incertezza, ricambiò l'abbraccio e strinse la nipote al petto, dandole piccole pacche sulla schiena.

"Su, su piccola strolìga*. Va tutto bene, Gaietta." Le disse con voce leggera, per poi allontanarla da sé e guardarla negli occhi.

"Bambina, non piangere. Una signorina bella come te non dovrebbe piangere." asserì, per poi asciugarle le lacrime con dita callose e calde.

La mente di Gaia era vuota e non riusciva a capacitarsi di quello che stava vedendo.

La sua nonnina, che aveva visto morire in un letto d'ospedale, fragile con un fiore, era lì davanti a lei e la stava accompagnando alla panchina, sorreggendola con un braccio.

Quando si sedettero, la donna estrasse da sotto la panchina una borsa piena fagiolini ed una terrina bianca con due coltelli.

"Forza. Aiutami a pulirli, che li devo cucinare per cena." Disse, passando alla ragazza uno dei coltelli.

E, così, nel silenzio di quel giardino profumato, si misero al lavoro.

La mente di Gaia, però, non smise di pensare alla situazione e i suoi occhi chiari, ancora un po' arrossati dal pianto, continuarono a spostarsi sulla donna bionda accanto a sé.

"Guarda quello che stai facendo o finirai per tagliarti" la redarguì la donna, notando la disattenzione della giovane.

"Scusa nonna..." sussurrò la ragazza, spostando nuovamente lo sguardo sul fagiolino tra le sue mani.

Aveva passato infine mattinate d'estate, seduta su una sedia in cucina a pulire quella tanto odiata verdura, ma adesso, quei momenti tanto detestati, si erano trasformati in ricordi indelebili della sua nonnina.

La sua nonnina che, tecnicamente, si trovava tre metri sottoterra in Italia.

"Dove caspita mi trovo?" 

Vedendola tentennare nuovamente, Adele si voltò verso sua nipote e appoggiò il coltello nella ciotola.

"Che succede, nani?" le domandò, mentre con una mano le accarezzava il viso.

"Sono morta, nonna?"

La domanda sembrò congelare l'aria intorno alle due donne, rendendo all'improvviso ogni colore di quel meraviglioso giardino più freddo e meno accogliente.

L'anziana si voltò verso la nipote, mentre sul suo viso il cipiglio diventava più serio e le sopracciglia si aggrottavano.

"Ma che domande sono?! Certo che no! Sei troppo giovane per morire, bambina." La redarguì con voce dura la donna.

Gaia era sempre più confusa.

Pochi attimi prima si trovava tra le macerie di un centro commerciale, con una gamba quasi tranciata e numerose ferite su tutto il corpo, e ora stava pulendo dei fagiolini con la sua nonna defunta, sotto un salice piangente abbattuto anni prima per via di un parassita.

Chiaramente qualcosa non andava.

Tornato il silenzio, la giovane poggiò il coltello nella ciotola bianca.

Guardandosi intorno, notò come il giardino assomigliasse molto ai suoi ricordi di bambina e non a quello che si era lasciata alle spalle quando era partita per la Corea.

Vicino alla cancellata c'era una piccola bicicletta rossa con le rotelle storte e, sparsi per il giardino, c'erano palloni di ogni grandezza, alcuni chiaramente vecchi e sgonfi, mentre altri avevano colori brillanti e sembravano nuovi.

In un angolo di quello spazio verde, proprio accanto al salice, c'era uno stendino a muro pieno di panni colorati che sventolavano nella brezza estiva, ricordando alla giovane le sgridate che lei e sua cugina Angelica avevano ricevuto, per aver giocato a nascondino tra il bucato pulito.

Avevano sporcato infinite lenzuola e ricevuto altrettante ciabatte volanti in cambio.

Proprio con sua cugina, a cui voleva un'infinità di bene, si era ritrovata in quel giardino pieno di ricordi cinque anni prima, allo sbocciare della prima primavera senza la nonna, ed entrambe, lacrime agli occhi per la commozione, avevano commentato l'assenza dei fiori che la donna aveva coltivato con amore per tanti anni.

Era stato orrendo per entrambe osservare il roseto appassire di mese in mese, ma loro nonno, straziato dal dolore della perdita, non gli aveva permesso di salvarlo.

Vederlo morire gli era sembrata una giusta coclusione per la vita di sua moglie.

Ma in quel momento, mentre il sole calava sopra la sua testa, Gaia si ritrovò a pensare di non aver mai visto quelle rose rosse così belle e piene di vita.

"Perché sono qui nonna?" chiese, riportando lo sguardo sull'anziana donna accanto a lei.

Adele, in risposta, scosse leggermente la testa.

"Non sei da nessuna parte bambina. Questi sono i tuoi ricordi."

Gaia rimase ad osservare le grandi mani della donna pelare con delicatezza gli ortaggi, mentre la sua mente vagava confusa da un pensiero ad un altro.

"Quindi tu sei una specie di proiezione della mia mente?"

La donna ridacchiò divertita in risposta.

"Diciamo di sì. A quanto pare la tua coscienza ha le mie sembianze."

Gaia volse gli occhi al cielo e poi scosse il capo incredula.

"Chissà perché la cosa non mi sorprende" commentò a voce alta.

In tutti gli anni passati tra le mura di quella casa dalle pareti rosa antico, nonna Adele l'aveva cresciuta in maniera disciplinata e responsabile, facendo di Gaia una signorina ben educata e ponderata nelle sue scelte.

I suoi genitori, che lavoravano lontano da casa, avevano avuto poco tempo per accudirla nelle prime fasi della sua vita e la donna dal caschetto biondo si era fatta carico di lei sin dai primi mesi di vita.

Ogni decisione che Gaia aveva preso nella sua giovane vita era stata in qualche modo influenzata da sua nonna, che le aveva insegnato a pensare in maniera critica e precisa, spingendola a valutare ogni minimo dettaglio di ciò che stava vivendo.

Senza rendersene conto, la donna era diventata il punto di riferimento per ogni situazione della sua vita e quando era venuta a mancare, un gelido lunedì di Novembre, la situazione aveva gettato la ragazza in un limbo di incertezza, da cui aveva faticato ad uscire.

La bussola della sua vita era scomparsa ed aveva dovuto imparare a decidere per sé stessa, senza l'ausilio di quella persona fondamentale.

Era stato difficile.

E Gaia ci aveva quasi rimesso la sanità mentale.

Ma, a quanto pare, quattro anni di psicoterapia e numerose cadute più tardi, il suo cervello aveva ancora voglia di fare dell'ironia, rendendo la sua coscienza l'immagine sputata della sua amata nonnina.

"Davvero divertente" pensò infastidita, ricominciando a pulire i fagiolini.

"Hai capito perché ti trovi qui?" incalzò la sua nonna-coscienza.

"No, ma immagino tu abbia una spiegazione logica e ugualmente fastidiosa da regalarmi" disse la giovane con una punta di acidità nella voce.

In risposta, uno scappellotto ben assestato le colpì la nuca con froza.

"Non mi parlare in questo modo, ragazzina. Sono pur sempre tua nonna." La redarguì l'anziana.

"Noto." Rispose piccata Gaia "Hai ereditato le sue mani pesanti" per poi massaggiarsi la parte dolente.

"Comunque, non sta' a me spiegarti perché sei qui. Devi arrivarci da sola." Le spiegò con voce più calma.

"Allora quale sarebbe la tua utilità? A parte quella di ricordarmi cose che preferirei non rammentare..."

Adele si voltò verso sua nipote con un sopracciglio inarcato e regalando alla ragazza uno sguardo di fuoco, che non meritava spiegazioni verbali.

"Ok, ok. Capito. Sei la mia coscienza e bla, bla, bla..."

"Se c'è una cosa che tua nonna ti ha insegnato è certamente quella di pensare con la tua testa. Non hai bisogno che qualcuno ti suggerisca la soluzione." Rispose piccata la sua coscienza, continuando il lavoro di pulizia dei fagiolini.

Vero. 

Anche se aveva passato gli ultimi cinque anni a dubitare delle sue decisioni, Gaia sapeva bene di essere brava ad analizzare le situazioni che si trovava ad affrontare, quindi, poggiate le mani in grembo, alzò lo sguardo verso le fonde del salice.

"Hai detto che non sono morta." Esordì, mentre un brivido leggero la scuoteva dall'interno.

La sola idea della morte era abbastanza spaventosa da farla tremare.

"Vero" rispose sua nonna, il tono velato da una leggera dolcezza.

"Eppure, sono qui con te. Bloccata in una specie di ricordo congelato nella mia mente."

Un refolo di vento le accarezzo il viso, come a ricordarle l'assurda vivacità di quella visione in cui si trovava.

"Sembra tutto così vero nonna..." commentò voltandosi verso la donna.

Adele si limitò a sorridere amaramente, mentre sfilava un altro fagiolino dalla borsa.

"Sembra vero ma non lo è. Qual è l'ultima cosa che ricordi, nani?"

Dolore.

Questo era l'ultimo ricordo cosciente della ragazza.

Un dolore straziante che si propagava dalla gamba fino al centro della schiena, offuscandole la mente e procurandole un forte senso di nausea.

Alcune persone accanto a lei  avevano urlato parole sconnesse e le erano sembrate preoccupate per qualcosa, ma il bruciore che le aveva invaso gli organi interni, le aveva impedito di mettere a fuoco il mondo attorno a lei.

Ricordava di aver notato l'assenza di Namjoon al suo fianco, quando, dopo essere stata scossa con violenza, aveva aperto gli occhi su un cielo azzurro circondato da macerie.

Per qualche istante si era preoccupata per il ragazzo orientale, ma poi il dottore l'aveva distratta, ponendole delle domande e spiegandole la sua situazione.

Per qualche minuto aveva creduto veramente di avercela fatta ed aveva accettato volentieri tutto l'aiuto che le stravano offrendo.

Quel senso di sollievo che l'aveva pervasa alle parole incoraggianti del medico, era stata però cancellata in fretta dal dolore lancinante che aveva attaccato il suo corpo senza pietà, svuotandole la mente e distraendola dalla realtà.

Poi il nulla.

Si era svegliata nel giardino di sua nonna, anni nel passato e completamente illesa.

"Non mi ricordo niente di bello nonna" sussurrò portandosi le mani al viso e puntellandosi con i gomiti sulle ginocchia.

Il coltello dal manico bianco abbandonato nell'erba ai suoi piedi.

"Cosa pensi sia successo Gaia?"

Le possibilità non erano di certo molte.

Anzi, pensandoci bene le possibilità erano soltanto due e la sua cara nonna-coscienza si era già premurata di scartarne una.

Se la morte non era un'opzione valida, rimaneva solo un'altra situazione possibile: uno stato di incoscienza.

Si, ma di quale gravità?

"Che sia svenuta?" pensò confusa.

"Uno svenimento può causare dei sogni così realistici?"

"Mi sembra un tantino esagerato per essere solo uno svenimento"

Mentre pensieri confusi si accalcavano nella sua mente stanca, la donna accanto a lei, allungata una mano, le massaggiò la schiena con delicatezza.

"Pensa più in grande, bambina. So che ce la puoi fare."

Gaia sobbalzò spaventata e si voltò verso l'anziana.

"Ora mi leggi nel pensiero?" esclamò inorridita ed allontanandosi dalla donna.

"Sono la tua coscienza, Gaia. E questa è la tua mente. La privacy è un concetto impraticabile qui dentro." Spiegò quest'ultima, ricominciando il suo lavoro di pulizia.

Gaia si limitò a roteare gli occhi, per poi ritornare a nascondere il viso tra le mani.

"Qualcosa di più grande hai detto?" domandò con voce ovattata.

L'anziana si limitò a grugnire un suono d'assenso.

Cosa esiste di più grande di uno svenimento?

La mente della giovane vago tra le risposte possibili, ma solo una di queste sembrava spiccare tra le altre con più forza.

Coma.

Due sillabe, ma con un significato spaventoso.

Il gelo si impossessò del suo corpo e, all'improvviso, il giardino intorno a lei cominciò ad appassire, mentre la luce dorata del tramonto si tramutava in quella grigiastra dell'inverno.

Il profumo della pioggia riempì l'aria del giardino, mentre le foglie del salice piangente caddero a terra colorate di rame.

"Sembra che tu abbia capito" sussurrò sua nonna, ancora seduta accanto a lei.

Lo sguardo di Gaia cadde sul roseto accanto alla cancellata, i cui rami, visibilmente anneriti, ora si presentavano a lei glabri e privi di vita.

A terra, i petali marci di quelle che erano state rose rosse.

Esattamente come la primavera di cinque anni prima.

"Sono in coma" rispose quindi con voce tremante, mentre si voltava verso la donna che l'aveva cresciuta.

"Una triste realtà. Non trovi?" rispose l'anziana, mentre riponeva la ciotola e i coltelli nel sacchetto di stoffa, per poi infilarlo sotto la panchina.

"Non mi sei di aiuto" rispose piccata Gaia, alzandosi di scatto dalla panchina e cominciando a camminare avanti ed indietro davanti alla donna.

"Non sono qui per esserti d'aiuto. Sono qui per farti da interlocutore. Tua nonna ti ha sempre detto che confrontarti con qualcuno può aiutare a chiarire le idee." le ricordò la sua coscienza.

Sante parole, ma che fecero imbestialire Gaia ancora di più e la spinsero a calciare con forza un pallone sgonfio abbandonato vicino a lei.

Il giocattolo si librò nell'aria con facilità, per poi atterrare qualche metro più in là con un tonfo secco.

Fu in quel momento che un piccolo dolore si propagò dalla gamba di Gaia fino all'inguine, togliendole momentaneamente il fiato.

"Uuh. Sembra che qualcuno stia facendo progressi." Commentò divertita sua nonna, mentre si spolverava lo scamiciato a fiori che indossava.

Gaia, una mano sul fianco per reprimere il dolore, si voltò a guardarla confusa.

"Che cosa intendi?"

"Ripeto. Non sono qui per darti delle risposte, Gaia."

Queste parole la fecero arrabbiare ancora di più e, con due passi decisi, si portò davanti all'anziana, chinandosi a guardarla negli occhi.

"Allora perché cazzo stai qui a tormentarmi?! Eh?! Te ne stai seduta lì, con sguardo saccente e indossando il corpo di mia nonna, mentre gongoli della mia confusione! Se non puoi essere d'aiuto, almeno stai zitta!" urlò a pieni polmoni, mentre lacrime di frustrazione le riempivano gli occhi.

Poi un'altra fitta, dieci volte più intensa della prima, le invase la testa, facendole perdere concentrazione.

La sua coscienza assottigliò gli occhi e si alzò dalla panchina.

Quelle iridi scure, a Gaia così familiari, diventarono gelide come la temperatura del giardino intorno a loro.

"Tua nonna sarebbe stata profondamente delusa dal tuo comportamento, Gaia!" sibilò con voce maligna "Vederti cedere all'ira non le sarebbe piaciuto, ma suppongo che anche le emozioni negative ci aiuteranno ad uscire da qui."

"Cosa cazzo stai insinuando?" le rispose arrabbiata la ragazza, troppo furiosa per calmarsi.

"Insinuo che la nonna sarebbe stata delusa dal tuo comportamento immaturo nell'affrontare questa crisi." Rispose la sua coscienza, mentre il viso di sua nonna mutava lentamente "Ti stai comportando da bambina capricciosa Gaia e lo sai! Te ne stai qui a frignare come una mocciosa, mentre dovresti riflettere su quello che sta succedendo là fuori, per riportarci entrambe nel mondo reale."

Una Gaia leggermente più giovane e con lo sguardo annoiato, si ergeva ora davanti a lei, vestita con una salopette di jeans decorata con ricami di margherite bianche.

"Però magari dovresti lasciarci morire" continuò con tono saccente l'altra Gaia, mentre il viso si apriva in un sorriso maligno "Una perdente in meno a questo mondo".

Una rabbia violenta si impossessò del corpo di Gaia che, allungata una mano, afferrò il colletto della polo bianca della sua sosia, avvicinandola con uno strattone al suo viso.

"Stai zitta" sibilò, mentre un'altra scarica di dolore si propagò lungo la spina dorsale.

"Perché?" rispose l'altra "La verità fa male?"

In pochi istanti, Gaia si ritrovò a rotolare con la sua sosia sull'erba ormai morta di quel giardino tanto amato, mentre entrambe cercavano di prendere il controllo della lotta.

Il cuore della giovane iniziò a battere furiosamente nel petto, mentre altre fitte si propagavano in zone diverse del suo corpo, togliendole il respiro.

Dopo alcuni minuti di lotta senza tregua, Gaia si trovò a cavalcioni della sua coscienza, mentre un ghigno malefico si apriva sul suo viso contratto dal dolore.

"Vediamo chi ride adesso!" esclamò con voce trionfante.

Poi un suono secco propagò nell'aria, mentre la sua mano destra lasciava un'impronta rossa sul viso della sua sosia, che aveva un'espressione scioccata.

Una fitta prorompente prese possesso del suo corpo, facendolo irrigidire completamente.

Con un rantolo sottile, Gaia cadde sdraiata accanto alla sua coscienza, mentre il gelo di quel prato invernale le si infilava nelle ossa come una maledizione.

La sua coscienza si inginocchiò accanto a lei, il viso arrossato dallo schiaffo ricevuto, e sorrise gentilmente.

"Ce l'abbiamo fatta Gaia" sussurrò accarezzando i capelli della ragazza in preda al dolore "Ora puoi tornare a casa".

E il mondo intorno a loro piombò nuovamente nell'oscurità.


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Qualche piano più in alto, la porta della camera di Namjoon si spalancò di colpo, facendo intravedere un Don Emilio con il fiatone e il viso arrossato.

Il rapper e Taehyung, che stavano entrambi leggendo in tranquillità, sobbalzarono sorpresi.

Il prete si piegò in avanti, respirando affannosamente con le mani appoggiate sulle ginocchia, mentre una delle guardie del corpo dell'idol si affrettava a chiudere la porta della camera alle sue spalle.

"Don Emilio, stai bene?" gli domandò Namjoon, preoccupato dalla situazione.

L'uomo sollevò lo sguardo verso il giovane ed un piccolo sorriso si aprì sul suo viso paonazzo.

"S-si... Dio abbia pietà di me, sono vecchio! S-si t-tratta di G-gaia... sono riusciti a s-svegliarla!"


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*Nani! Sta no sdraiata in da l'erba! --> Bambina, non stare sdraiata nell'erba!

*Dem, leva sù nani! --> Forza, alzati bambina!


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Buonasera!

Come promesso ho pubblicato il capitolo!

Spero vi piaccia...

Non volevo che il risveglio di Gaia fosse un clichè.

So che molte volte, quando si descrive una situazione di coma, si utilizzano parenti morti per spronare la protagonista a reagire per risvegliarsi e perciò mi sono inventata l'escamotage della coscienza.

Quello che ho raccontato sono, in parte, dei ricordi che mi porto dietro dall'infanzia e mi ha fatto piacere poterli inserire in questa storia.

Fatemi sapere che ne pensate!

VVB,

C.

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