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_ How do we say we're sorry?_



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Quel giorno, in beffa al dolore e alla solitudine di Gaia, il sole splendeva brillante in un cielo privo di nuvole.

"Niente pioggia per gli stronzi, a quanto pare..." commentò con voce acida la ragazza, mentre, con una tazza di caffè nero tra le mani, osservava il mondo svegliarsi dal balcone.

Beh, chiamare "balcone" il terrazzo di quasi dieci metri su cui si trovava sarebbe stato riduttivo, ma in quel momento la sua testa era intrappolata in pensieri rancorosi, che le offuscavano ogni giudizio razionale.

Il bel viso di Namjoon e i suoi occhi pieni di rimorso le erano rimasti stampati nel cervello per tutta la notte precedente, impedendole di scivolare nel sonno ristoratore che tanto aveva bramato nelle settimane antecedenti.

Ma l'orgoglio, si sa, è una brutta bestia.

Il suo telefono non aveva smesso di vibrare per tutto il tempo, ma lei, testarda di natura, non si era nemmeno voltata a guardarlo, lasciando che, chiunque fosse dall'altra parte della cornetta, chiamasse all'infinito.

"Tanto sarà lo stronzo" aveva pensato, incattivita, alla quinta chiamata persa.

No, Gaia Neri non avrebbe ceduto tanto facilmente alle scuse del leader dei Bangtan, anche perché i suoi sentimenti, per quanto fragili e confusi, erano stati feriti profondamente dalle parole del rapper.

Si era sentita usata e tradita quando il ragazzo aveva implicato che le sue attenzioni fossero nate da interessi di natura non amicale.

Certo, anche lei si era sentita attratta da Namjoon, ma tutto quello che era successo tra di loro era sempre stato genuino da parte sua.

Ogni piccola confessione, gesto o parola, che aveva rivolto al ragazzo, era stata assolutamente limpida e raffigurante delle sue emozioni, soprattutto perché, per la prima volta in tanto tempo, poteva contare su un amico nel momento del bisogno.

E invece eccola qua, seduta su un terrazzo a sorseggiare un caffè troppo amaro anche per il suo umore nero e a pensare che, forse, accettare tutto quell'aiuto da parte di uno sconosciuto fosse stato un errore enorme.

"Forse dovrei preparare le valigie e tornare al mio vecchio appartamento" pensò con rancore, mentre ingurgitava qualche rimasuglio della brodaglia nera tra le sue mani.

Anche se la sola idea di tornare al suo minuscolo appartamentino, al sesto piano di un palazzo senza ascensore, le faceva tremare le gambe dall'ansia, era consapevole di non potersi più approfittare della falsa gentilezza di Namjoon.

Non ora che lui aveva finalmente mostrato il suo vero volto.

Ma gli occhi del ragazzo, ancora una volta, si fecero spazio nella sua memoria con forza, mostrandole quel terrore e stupore che caratterizzava le persone pentite delle proprie parole.

"Forse dovrei concedergli il beneficio del dubbio..." rimuginò, con lo sguardo perso sui tetti di Seoul.

Un insistente bussare alla porta la fece sobbalzare e, per poco, quel caffè bollente che stringeva tra le dita non le si rovesciò addosso.

"Gaia Neri, apri questa porta!" urlò in italiano una voce a lei ben nota.

Alzando gli occhi al cielo, la ragazza si mosse lentamente verso l'ingresso, un po' a causa delle stampelle e un po' perché sapeva cosa l'aspettasse aldilà dell'uscio.

Ma per quanto fosse preparata allo sguardo scontroso di Don Emilio, gli occhi che la colpirono di più in assoluto furono quelli di Seokjin, il silenzioso compagno di Namjoon, che torreggiava alle spalle del prete con un'aura minacciosa a circondarlo.

"Che cosa hai fatto?" le domandò con una punta di acidità l'uomo più anziano, mentre, infilatosi nello spiraglio tra lei e la porta, scivolava dentro casa.

Jin rimase invece sulla soglia dell'appartamento, le labbra ancora sigillate ed uno sguardo serio puntato sul viso dell'italiana.

"Che cosa ho fatto?? IO??" esclamò alzando la voce Gaia, stupita dal fatto che fosse lei la cattiva della storia.

"Si! Tu!" sputò incattivo il prete, voltandosi a guardarla con un sopracciglio inarcato "Che cosa hai detto a Namjoon? Lo hai allontanato con i tuoi modi scostanti? O lo hai ferito per farlo andare via?"

Gaia rimase a bocca aperta.

Nemmeno una volta in tutti quegli anni di conoscenza, don Emilio le aveva mai rivolto la parola in questo modo, nemmeno quando, delusa ed arrabbiata dalla morte improvvisa di sua nonna, si era chiusa in sé stessa, creando un vuoto intorno a sé e allontanando tutti i suoi amici.

Mai, mai, si sarebbe aspettata che l'uomo le rinfacciasse con così tanta leggerezza quel periodo orribile della propria vita.

Un groppo in gola le fece morire le parole in bocca, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime a causa della notte insonne e della frustrazione.

"Io non ho detto proprio niente." Sibilò innervosita, trattenendo a stento i primi singulti e lasciando che una lacrima solitaria le bagnasse la guancia.

Lo sguardo di don Emilio si riempì prima di stupore e poi di pentimento, riconoscendo l'atteggiamento triste e quasi spezzato della sua giovane pupilla.

"Gaia... io..." tentò di scusarsi, allungando le mani per afferrarle un braccio, ma la ragazza si scansò con rabbia e, caricato il peso sulle stampelle, si diresse velocemente verso il divano, dove atterrò con un tonfo.

"No! Stai zitto!" berciò quindi irritata la giovane "Sei entrato in questa casa convinto che l'origine del problema fossi io! Non hai dubitato nemmeno un secondo della mia colpevolezza! Dove l'hai messa la tua misericordia cristiana del cazzo? Eh? In solaio?"

Emilio si limitò ad abbasare lo sguardo, pienamente cosciente di essere nel torto e un po' intimidito dalla rabbia che sembrava fuoriuscire da ogni poro della sua pupilla.

In tutto ciò, Seokjin era entrato nell'appartamento e, delicatamente, si era chiuso la porta alle spalle, ascoltando l'alterco tra Gaia e don Emilio senza capire una parola.

Poi si era appoggiato con una spalla alla parete d'ingresso del salotto, gli occhi scuri puntati sulla ragazza davanti a sè, mentre la sua rabbia, non più giustificata, si scioglieva insieme alle lacrime di lei, che ora era accasciata sul divano.

Non c'era bisogno di un genio per capire che anche Gaia stesse soffrendo terribilmente in quel momento, ma lui ancora non riusciva a capire cosa fosse successo tra le pareti di quella casa solo qualche ora prima.

Si domandò se fosse stato saggio chiamare il prete, ma accecato dalla furia che lo aveva assalito quella notte, aveva alzato la cornetta senza ripensarci un attimo e aveva messo al corrente l'uomo dello stato mentale di Namjoon.

La sera prima infatti, il leader era rincasato prima del previsto, con il respiro affaticato e i pugni stretti intorno alle stampelle, chiari segni di uno stato emotivo in tumulto.

Il ragazzo si era accasciato contro la porta di'ingresso, per poi scivolare, con estrema lentezza, fino al panimento, dove si era lasciato andare ad una serie di singulti pieni di disperazione.

 L'attacco di panico che ne era seguito  aveva spinto i Bangtan ad accorrere al fianco del loro leader, cercando di capire cosa fosse successo per ridurlo in quello stato.

Ma Namjoon era rimasto in silenzio, con gli occhi spalancati e pieni di spavento puntati sul pavimento di marmo.

Si era accoccolato in posizione fetale con la schiena ancora appoggiata alla porta e i suoi respiri affaticati avevano rimbombato, come urla di disperazione, tra le mura del loro appartamento.

A nulla erano valsi i tentativi dei suoi compagni di cercare di calmarlo e farlo uscire dal quel suo stato di terrore e così, spaventati per la sua salute, i ragazzi avevano chiamato l'infermiera Kang, che era accorsa a somministrargli una dose di calmante.

La donna era arrivata in fretta e furia, i capelli scompigliati ed una vestaglia colorata che le svolazzava intorno alle gambe scoperte, e aveva immediatamente preparato la siringa con il medicinale, sussurrando parole di conforto al ragazzo spaventato.

Dopo l'iniezione, mentre l'infermiera lasciava il dormitorio, Namjoon aveva sussurrato il nome di Gaia per parecchio tempo, finchè, esausto, non era crollato a dormire nel letto di Jimin, il quale si era offerto di rimanere a sorvegliarlo.

Tutto questo aveva fatto scoppiare Jin che, dopo settimane di stress e problemi causati dal terremoto, aveva tramutato tutta quella tensione in rabbia, portandolo ad informare Don Emilio dell'accaduto.

Ma ora, con il senno del poi, si domandò se non avesse fatto il passo più lungo della gamba supponendo che l'italiana fosse la causa del crollo di Namjoon.

"Cos'è successo Gaia?" chiese quindi, spezzando il silenzio formatosi nel salone.

Per tutta risposta, la ragazza lo inchiodò al pavimento con uno sguardo glaciale, mentre il suo petto continuava ad essere scosso da forti singulti e un po' di muco le imbrattava il labbro superiore.

"Non te lo ha detto il tuo amichetto? Scommetto che si è divertito a fare la parte della vittima! Cosa ti ha detto, eh? Che l'ho rifiutato dopo essergli saltata addosso?" rispose con rabbia la giovane, pulendosi il naso con la manica della felpa.

Jin rimase sorpreso da quanta rabbia potesse emettere un esserino all'apparenza fragile come lei e fece un passo indietro intimidito.

"Lui..." rispose quindi, abbassando lo sguardo sulle proprie mani e scuotendo leggermente la testa "Lui non ha detto nulla".

"E ALLORA PER QUALE MOTIVO SIETE VENUTI A URLARMI CONTRO!" sbraitò la ragazza, alzando le mani per aria e gesticolando con veemenza, mentre il suo bel viso, ancora inondato di lacrime, si colorava di un rosso carminio intenso.

Seokjin deglutì a vuoto, bene consapevole di aver commesso uno sbaglio, presentandosi alla porta della ragazza senza cercare di capire prima cosa fosse successo tra lei e il suo leader.

Fu don Emilio a rispondere questa volta, tenendo lo sguardo sul pavimento, mentre si accomodava accanto alla ragazza.

"Namjoon ha avuto un attacco di panico ieri notte" esordì, attirando l'attenzione della bionda che, inconsciamente, si allontanò dal prete con un piccolo scatto verso destra.

Don Emilio deglutì a vuoto, vedendola scivolare via da lui, mentre i sensi di colpa per il suo comportamento precedente lo attanagliavano senza pietà.

"Uno di quelli forti" continuò poi, portando lo sguardo ad intrecciarsi con quello ormai preoccupato dell'italiana "Lo hanno dovuto sedare".

Gli occhi verde mare della giovane si spalancarono dallo stupore, mentre i suoi singhiozzi riprendevano con più violenza, facendo sussultare il suo corpicino esile.

"Devo andare da lui" sussurrò guardando il prete.

Mentre annaspava in cerca di aria a causa della sua coscienza che le stava dando della stronza, Gaia allungò le mani verso le stampelle che aveva gettato a terra per la stizza e tentò di alzarsi dal divano.

Don Emilio si sporse ad aiutarla, ma lei gli schiaffeggiò la mano tesa e lo fulminò con un'occhiataccia.

"Non mi toccare" sibilò incattivita, sforzandosi di alzarsi da sola.

Ignorando le voci dei due uomini insieme a lei, che la pregavano di non affaticarsi troppo, si trascinò con velocità verso l'appartamento dei Bangtan, mentre piccole vesciche si formavano sui palmi delle mani a causa dello sfregamento della pelle sulla plastica delle stampelle.

Non era ancora abituata a fare lunghi tratti con quegli ausili di plastica e i muscoli delle sue braccia protestarono per tutto il tragitto, ricordandole ancora una volta quanto fosse fragile il suo corpo.

Molto presto però, si ritrovò di fronte alla porta bianca della stanza di Jimin, dove Namjoon aveva riposato tutta notte.

La giovane deglutì a vuoto, ricacciando nei meandri della sua coscienza tutta la rabbia che aveva covato nei confronti del rapper durante la notte.

Jimin aprì l'uscio davanti a lei lentamente e le rivolse uno sguardo gelido, mentre le sue labbra si stringevano con forza fino a diventare bianche.

Per tutta risposta, Gaia si gettò all'interno della stanza con gli occhi in cerca della figura del leader, che trovò seduto sul grande letto a due piazze, avvolto in un lenzuolo azzurro.

"Joon" sussurrò con voce quasi spezzata, attirando l'attenzione del ragazzo, il quale sollevò la testa di scatto.

All'improvviso tutto quel rancore e quel dolore che si era trascinata dietro fin lì, si dissipò nella sua mente come ghiacchio in una vasca di acqua bollente, lasciando dietro di sè un leggero vapore di malinconia.

Ci fu qualche attimo di silenzio, mentre entrambi, gli occhi stanchi incatenati tra di loro, si osservarono pieni di pentimento.

"Mi dispiace" sussurrò il leader dei Bangtan che, portato lo sguardo sulle proprie ginocchia, portò le sue grandi mani sul viso, nascondendolo.

In meno di un secondo Gaia gli fu addosso, le braccia avvolte intorno al suo collo e l'intero corpo steso sopra quello del ragazzo che, per la forza dell'impatto, era caduto di schiena sul materasso.

"Dispiace anche a me" sussurrò poi, appoggiando le labbra sul collo del rapper, che rabbrividì al contatto.

Le grandi mani calde di Namjoon afferrarono la vita sottile dell'italiana, facendola aderire ancora di più al suo corpo, mentre il ragazzo soffocava un singulto seguito da qualche lacrima.

Lentamente Gaia scivolò accanto a lui sul letto, poiché la sua gamba malandata iniziava a pulsare senza pietà e si ritrovò faccia a faccia con un Namjoon piangente ed affranto.

"Non avrei mai dovuto dirti quelle cose" sussurrò il ragazzo, appoggiando la fronte contro quella di lei e tirando su con il naso.

"No, non avresti dovuto" concordò Gaia, per poi sorridere leggermente quando Namjoon alzò gli occhi al cielo "E ti ho detestato profondamente questa notte... ma ho visto il pentimento nei tuoi occhi quando ti ho detto di andartene e per quanto volessi odiarti, per le cose che mi hai detto, il tuo sguardo è rimasto impresso nella mia mente."

Il rapper espirò rumorosamente, frustrato e stanco per quella notte tormentata: "Non so cosa mi sia preso, Gaia."

"Ti sei lasciato trasportare dalle sensazioni e ti sei arrabbiato quando ho cercato di mettere un freno a quella situazione che stavamo vivendo" disse con tono neutro lei, che aveva passato gran parte delle ore precedenti a ripetere ed esaminare l'accaduto nei suoi ricordi.

"Io ti giuro che..."

"Lo so Namjoon" sussurrò Gaia comprensiva, appoggiando una mano sul petto del giovane leader.

"Ma non siamo pronti" continuò poi, scuotendo la testa "Credimi quando ti dico che anche io provo qualcosa per te, ma ancora non so dirti se si tratta di attrazione o di un riflesso causato da quello che ci è successo."

La ragazza fece una piccola pausa per sollevare il mento del ragazzo e fissare i suoi occhi chiari in quelli profondi del rapper.

"Siamo fragili in questo momento, Joon" continuò poi con un sospiro "Dio solo sa quanto tempo ci metteremo a riordinare le nostre menti terrorizzate e l'unica cosa di cui non abbiamo bisogno è quella di avventurarci in una relazione. Abbiamo tempo Namjoon... siamo giovani e abbiamo tutta la vita davanti per conoscerci meglio. Ma per il momento, possiamo essere solo amici? Possiamo limitarci ad essere uno la stampella dell'altro? Come abbiamo fatto là sotto?"

Il leader dei Bangtan rimase qualche secondo in silenzio, mentre le sue pupille oscillavano lentamente sugli occhi color acquamarina di Gaia e le sue mani stringevano il tessuto della maglia della ragazza.

Il suo cuore urlò a squarciagola di no.

Non voleva accettare di dover rimanere amico della ragazza senza poterla baciare o stringere con forza a sé, ma era anche consapevole che, sfortunatamente, l'unica alternativa alla proposta della giovane, fosse quella di vederla sparire per sempre dalla sua vita.

Quindi, dopo aver deglutito a vuoto, annuì leggermente.

Sul viso di Gaia si aprì un enorme sorriso e in pochi attimi si trovò il minuto corpo della giovane schiacciato addosso, mentre lei ridacchiava contenta nel suo orecchio.

"Quanto sono inconcludente..." commentò sbuffando divertita lei "Un'ora fa avrei giurato al mondo che ti avrei dato del filo da torcere per farti tornare nelle mie grazie. Guardami adesso..."

"Un'ora fa ero convinto che saresti sparita per sempre dalla mia vita e che sarei rimasto da solo in questo limbo di dolore che mi circonda" le rispose Namjoon, accarezzandole una guancia e portandole un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.

Rimasero in quella posizione per qualche minuto, beandosi l'uno della presenza dell'altra finché, a causa di un piccolo sussurrò dell'italiana, il cuore di Namjoon saltò un battito.

"Posso baciarti un'ultima volta?" 

In men che non si dica, il ragazzo afferrò il viso della bionda con entrambe le mani e incollò le sue labbra secche a quelle di lei, muovendole lentamente e assaporando quel contatto che sapeva di addio.

Namjoon non seppe mai per quanto tempo le loro bocche si sfiorarono in maniera dolceamara, ma, quando si staccarono, gli occhi verde mare di Gaia erano pieni di lacrime e commozione.

"Gaia" sussurrò il rapper a fior di labbra "Mi faresti da stampella domani? C'è qualcosa che ho rimandato per troppo tempo".

"Sarebbe?" domandò lei, preoccupata dallo sguardo triste del leader.

Namjoon espirò rumorosamente e si sdraiò sulla schiena, gli occhi incollati al soffitto.




"Devo parlare con la moglie di Seojun"



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Holaaaaa!

Sono tornata

Come ho spiegato nei capitoli precedenti, la sidrome da stress post traumatico porta le persone a comportarsi in maniera poco regolare e ad avere sbalzi d'umore molto frequenti (specialmente esplosioni di rabbia).

Quindi non vi stupite che Gaia e Namjoon abbiano già fatto pace, ma tenete a mente che ogni piccola falla nella loro relazione li rende comunque più fragili.

Spero che questo breve capitolo vi sia piaciuto.

Ci ho messo un po' a capire come continuare la storia dopo le parole di Namjoon, ma non posso far passare il nostro leader come uno stronzo senza coscienza e quindi ho deciso di perdonarlo.

Se vi va lasciate un commentino e una stellina.

VVB,

C.



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