_ Forgiving is not forgetting _
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Quattro giorni più tardi, mentre l'aria iniziava a profumare di primavera, Namjoon e Gaia scesero da un furgoncino blindato nel cuore della periferia di Seoul.
L'italiana stringeva tra le dita il palmo un po' sudaticcio del giovane leader, il cui cuore palpitava furiosamente.
Nei giorni precedenti, il rapper aveva cercato, senza tregua, le parole per trasmettere alla moglie di Seojun il pentimento e il senso di colpa che provava, ma nulla di ciò che aveva pensato lo aveva soddisfatto.
Tutto gli sembrava o troppo superficiale o troppo scontato, per descrivere il gran casino di emozioni e sensazioni che affollavano la sua mente e la sua vita quotidiana.
Come poteva presentarsi alla porta di una donna che aveva perso l'amore della sua vita e farle le proprie condoglianze.
Come poteva presentarsi davanti a quei bambini, che lui aveva reso orfani, e chiedere il loro perdono.
Chi era lui per meritare il perdono da persone che, a causa sua, avevano perso un pezzo del loro cuore?
Con tutti questi dubbi a soffocargli il petto, aveva passato la notte precedente con gli occhi spalancati ad ammirare il soffitto della sua camera, mentre l'ansia, ormai sua compagna fidata, aveva banchettato con la sua tranquillità mentale.
Solo Gaia in quel momento lo ancorava alla realtà e lo tranquillizzava.
L'italiana, silenziosa e vestita di nero, quella mattina si era limitata a rivolgergli un sorriso mesto e un abbraccio stretto, prima di salire sul furgone e rimanere accanto a lui per tutto il tragitto.
Ancora una volta non erano servite parole tra di loro per comprendere che quella giornata sarebbe stata pesante per entrambi e che si sarebbero dovuti sostenere a vicenda.
Ed ora eccoli qui, davanti ad un palazzo rosa antico e con le ringhiere dei balconi dipinte di verde chiaro, mentre un leggero venticello sembrava trascinare con sé oscuri presagi di pianti e dolore.
A piccoli passi si avvicinarono al portone di vetro smerigliato, con le dita intrecciate in una morsa strettissima e con il fiato sospeso nelle loro trachee contratte dall'ansia.
Si guardarono un'ultima volta negli occhi, scambiandosi in silenzio perplessità e paure, ben consapevoli che una volta suonato quel campanello, un'altra persona sarebbe stata in grado di decidere la loro pena.
Ma proprio mentre la mano di Namjoon si mosse verso il campanello, la porta di vetro davanti a loro si aprì con un leggero cigoliò.
Aldilà della soglia, nel mezzo di un piccolo atrio dalle piastrelle grigie, una donna minuta dai grandi occhi scuri e lunghi capelli neri li stava guardando con sguardo neutro, come se fosse incapace di provare emozioni.
"Tu devi essere Namjoon" disse quindi con calma, mentre stringeva attorno alle sue braccia esili un leggero cardigan di cotone nero.
"Entrate, fa freddo qui fuori" disse e, con queste parole, iniziò a salire una rampa di scale.
Namjoon deglutì a vuoto, spaventato dal fatto che la donna lo avesse squadrato con sguardo gelido e vuoto, e si strinse a Gaia, che nel frattempo lo stava trascinando verso gli scalini.
Prima di giungere davanti alla casa di Seojun, la sua mente aveva elaborato ed analizzato ogni possibile versione di quello scenario che si stava per palesare, da quelli più orrendi in cui la moglie dell'uomo gli aveva uralto contro gli insulti più cattivi, fino a quelli più dolorosi in cui aveva dovvuto affrontare la visione di bambini piangenti che chiamavano disperati il proprio papà.
Ma nessuno di questi scenari lo aveva preparato all'assoluto vuoto di emozioni con cui la donna lo aveva accolto.
Giunti al quarto piano, la moglie di Seojun digitò un codice su un piccolo tastierino posto accanto ad una porta di legno bianco, che si aprì leggermente senza rumore, e poi rimase ferma per qualche istante, mentre, con gli occhi chiusi e le spalle ricurve, prendeva un lungo respiro pieno di tensione.
Nessuno disse una parola quando, spalancato l'usciò, la donna li invitò ad entrare prima di lei.
I due ragazzi, la testa volta verso il basso e le nocche delle mani intrecciate ormai bianche per la mancanza di sangue, scivolarono sul parquet dell'ingresso e, come da usanza orientale, si sfilarono le scarpe velocemente.
"Mi scuso per il disordine" esordì poi la donna, che, infilate le ciabatte, li precedette in un piccolo corridoio dalle pareti bianche "Due bambini tendono a fare un gran casino quando giocano".
Troppo impauriti per rispondere i due si limitarono ad annuire leggermente e a distendere le labbra in un sorriso di circostanza, mentre intorno a loro si apriva un piccolo salotto sui toni del verde.
A terra erano stati sparsi tanti piccoli giocattoli colorati, dalle macchinine ai peluche, e la stanza sembrava aver visto giorni migliori.
Le coperture dei divani erano tutte stropicciate e sui mobili di legno chiaro c'era qualche dito di polvere, mentre il televisore al plasma, poggiato su un mobile composto da grossi cassetti, mostrava, in contro luce, tante piccole ditate unte, segno indelebile di un bambino curioso.
Dalle tende di lino bianco, che adornavano la grande porta finestra accanto al divano, filtrava la forte luce del mattino, dando così la possibilità ai due ragazzi di guardare meglio la donna.
Con le spalle ricurve e una grande maglietta azzurro chiaro a coprirle il corpo esile, la donna sembrava sul punto di spezzarsi a metà, sotto il peso di un macigno invisibile.
I grandi occhi scuri erano circondati da profonde occhiaie nere, rendendo così il suo sguardo ancora più penetrante ed intenso, mentre i lunghi capelli castani erano leggermente lucidi alle radici, segno indelebile dell'incuria che la donna si trascinava dietro.
"Vi prego sedetevi..." li incoraggiò quindi lei, indicando il piccolo divano e la poltrona posta accanto al mobile della televisione "Non vorrei che vi affaticaste... siete appena usciti dall'ospedale."
Non c'era astio nella sua voce, ma Gaia percepì una leggera preoccupazione, mentre la donna osservava il tutore della sua gamba e la stampella che ancora la sorreggeva.
I due ragazzi mormorarono un leggero "grazie" e si accomodarono sul divano, ben consapevoli che per quella conversazione sarebbe stato necessario un sostegno in grado di reggere il peso della loro paura e vergogna.
"Posso portarvi qualcosa?" domandò quindi la donna, incrociando le dita della mani in un gesto nervoso.
Per la prima volta da quando si era svegliato, Namjoon espresse la sua prima frase di senso compiuto.
"La prego, si sieda anche lei. Io e Gaia non abbiamo bisogno di nulla."
Colpita dal tono pacato e remissivo del giovane rapper, la donna spalancò gli occhi scuri e si sedette lentamente sulla poltrona, le mani strette in grembo e le caviglie incrociate con gentilezza.
"Signora Park-"
"Chiamami Hye-rin, ragazzo, non hai bisogno di trattarmi con rispetto. Per mio marito eri uno di famiglia."
Namjoon, all'udire quelle parole, raddrizzò le spalle e le guardò la donna con sguardo stupito, mentre la sua mente ricordava tutte le volte che Seojun lo aveva trattato con distacco e rispetto, mettendo tra di loro un invalicabile muro invisibile.
"Ti stupisce, non è vero?" domandò lei, con un piccolo sorriso amaro posato sulle labbra piene e screpolate "Mio marito aveva il cipiglio di un generale d'armata, ma era tutta una facciata. Si mostrava forte per nascondere il suo enorme cuore tenero e i suoi istinti paterni."
La donna si prese qualche istante per raddrizzare pieghe immaginarie dei suoi jeans blu scuro, mentre Namjoon, ancora stupido, sentiva il peso sul suo petto allentarsi lentamente.
Seojun gli aveva sempre voluto bene, ora ne aveva la certezza.
"La mattina del primo giorno di lavoro alla BigHit si è svegliato con l'umore nero e poca voglia di uscire di casa" disse Hye-rin, ridacchiando senza umore, chiaramente persa nei suoi ricordi "E' uscito di casa brontolando e dicendo che mai nella sua vita professionale si sarebbe immaginato di finire a fare la guardia a dei mocciosi".
Namjoon sorrise con più convinzione e piegò la testa in avanti per grattarsi la nuca in imbarazzo.
Ricordava poco del primo incontro con Seojun, però sapeva che all'epoca ognuno di loro presentava ancora i tratti tipici della fanciullezza ben impressi nei lineamenti e l'impertinenza degli adolescenti ancora ben visibile nei loro comportamenti.
Ricordava però ogni volta che quell'uomo silenzioso e tutto d'un pezzo lo aveva protetto con il suo corpo da giornalisti e fan scatenati e ricordava anche le sue fraterne pacche sulle spalle, ogni volta che, con sguardo stanco e stressato, cercava sostegno nell'impassibilità della sua guardia del corpo.
Sotto tutto quegli strati da uomo duro, il rapper aveva visto con chiarezza la gentilezza tipica di una persona buona e altruista.
"Una sera, qualche settimana dopo avervi incontrati per la prima volta, è tornato a casa con un'espressione molto seria in viso ed è rimasto in silenzio per tutta la cena." continuò quindi Hye-rin, poggiando i gomiti sulle ginocchia e il viso sulle sue mani intrecciate.
Un sorriso malinconico a colorarle il viso pallido.
"Non che fosse qualcosa di strano per lui, però quella sera non era solo taciturno... era pensieroso... quasi confuso."
Poi, scossa la testa leggermente, continuò: "Mio marito era un uomo molto difficile da leggere e difficilmente dava la possibilità agli altri di leggergli l'anima. Io ero forse una delle poche persone che lui lasciava entrare nella sua corazza, ma anche io, spesso, rimanevo all'oscuro dei suoi pensieri."
Un piccolo sbuffò scappò dalle sue labbra, mentre scuoteva la testa ad occhi chiusi.
" Quella sera, fu l'unica volta nella nostra intera relazione in cui lui espresse un'opinione su qualcosa che non riguardasse i nostri figli o la nostra vita. Era uno dei suoi punti fondamentali, quello di non esprimere opinioni sulle persone per cui lavorava. Ma quella sera, non so perché, mi raccontò di voi, i Bangtan, e del vostro meraviglioso legame. Mi disse di avervi visti uniti e compatti come un reggimento di soldati davanti ad una missione impossibile. Trascinati da una forza silenziosa verso il vostro obiettivo. Disse di non aver mai visto delle persone lavorare e pensare in sincronia come facevate voi, nonostante le vostre enormi differenze. Era meravigliato dalla vostra capacità di fare fronte comune davanti alle sfide."
Gli occhi prima chiusi della donna si spalancarono di colpo, inchiodando sul divano il povero Namjoon, che strinse con più forza la mano di Gaia, rimasta in silenzio accanto a lui.
"Poi mi parlò di te" disse quindi, passandosi una mano tra i capelli e tornando a raddrizzare la schiena.
"Mi disse che, tra tutti i Bangtan, tu eri chiaramente quello più equilibrato ed intelligente. Sveglio, acuto e pragmatico, sono gli aggettivi che mio marito quella sera ha usato per descriverti. Non lo avevo mai sentito parlare di qualcuno in quel modo. Lui ti portava rispetto, Namjoon, e riconosceva il tuo valore. Ma vedeva anche le tue falle."
Quelle ultime parole gelarono il sangue nelle vene del giovane rapper, che deglutì a vuoto, mentre le sue insicurezze, che aveva imparato a soffocare con tuto il successo che si era guadagnato in quegli anni, tornarono a galla con prepotenza.
Ma la donna non aveva finito di parlare e continuò il suo racconto.
"Mi disse di averti visto piangere in un bagno, un pomeriggio dopo una vostra riunione con i capi della casa discografica. Stavi mormorando frasi di rimprovero a te stesso davanti ad uno specchio, incolpandoti di non essere un buon leader e di non essere abbastanza per il tuo gruppo."
Namjoon ricordava molto bene quel pomeriggio.
BangPd e i maggiori azionisti della casa discografica avevano discusso con il gruppo la possibilità di sciogliere i Bangtan, se le vendite del nuovo album non avessero soddisfatto una certa quantità di guadagno per l'azienda, portandola, inevitabilmente, al declino.
A sentire quelle spiegazioni, lui aveva sentito la terra mancargli sotto i piedi e il suo futuro scivolargli tra le mani.
Per lui non c'era vita che non fosse la musica e la sola idea di dover rinunciare al suo lavoro di leader, rapper e producer dei Bangtan, lo aveva dilaniato nel profondo.
Quella sera, insieme a Yoongi e a Hoseok si era seduto nel suo studio, aveva aperto una bottiglia di scotch e avevano parlato di tutto.
Il passato, le risate condivise, le avventure affrontate, il successo guadagnato e i sogni infranti che si prospettavano davanti a loro.
Avevano pianto, incapaci di capire come, all'inizio della loro scalata verso il successo, qualcuno di più potente di loro avesse deciso di mettere fine alla loro vita e alla loro gioia.
Poi Yoongi, già brillo, aveva estratto un taccuino dalla sua borsa e si era messo a scrivere delle frasi che gli venivano in mente.
Ormai è arrivato il prezzo da pagare
Se qualcuno avesse potuto portare il tempo indietro per me
Sarei stato capace di essere un po' più onesto?
Quelle semplici parole erano il ricordo sempre vivo di uno dei momenti più bui della sua vita, ma mai come ora, seduto davanti alla moglie dell'uomo che le sue decisioni avevano ucciso, sembravano in grado di descrivere i suoi pensieri perfettamente.
"Mi disse che, nonostante quel dolore che ti portavi dietro, uscendo da quel bagno e vedendolo in piedi ad aspettarti nel corridoio, gli rivolgesti il sorriso più bello che lui avesse mai visto. Lui non ha mai dubitato un secondo del fatto che saresti riuscito a superare quel momento buio", concluse quindi Hyo-rin, allungando una mano verso quella libera del ragazzo e mostrandogli, per la prima volta da quando erano entrati in quella casa, un vero e proprio sorriso.
Gli occhi di Namjoon si riempirono all'improvviso di lacrime, che sgorgarono dai suoi occhi senza freno e senza permesso, mentre il macigno che gli ostruiva la gola da quando, ferito, aveva visto la mano di Seojun intrappolata tra le macerie, si scioglieva lasciandolo tornare a respirare.
"Mi dispiace Hye-rin..." sussurrò racchiudendo la mano della donna tra le sue e appoggiando la testa su di esse.
"Mi dispiace di averlo trascinato in quel centro commerciale quella mattina. Se solo... se solo avessi saputo quello che ci attendeva io... io..."
"Ma non potevi" ribattè la donna, allungandosi per sollevare con l'altra mano il bel viso del giovane rapper, sedendosi poi sulla punta della poltrona per avvicinarsi ancora di più.
"Nessuno di voi tre poteva saperlo" continuò poi, spostando lo sguardo anche su Gaia, che aveva la testa abbassata e i capelli lunghi a coprirle il viso pregno di lacrime.
"Mio marito non era un codardo, Namjoon" asserì sicura, mentre il leader dei Bangtan di affrettava ad annuire con velocità "E' morto facendo il suo lavoro e questa è la morte più onorevole che Dio potesse concedergli."
"Se sei venuto a cercare il mio perdono, sappi che non ne hai mai avuto bisogno" disse poi, incrociando lo sguardo incredulo del giovane, che si accinse a controbattere.
"No" lo fermò lei, alzando un dito della mano libera davanti alle sue labbra bagnate dal pianto "Non puoi chiedere perdono per qualcosa che non hai commesso, ragazzo. Non è colpa tua se quel centro commerciale è crollato, ma di chi lo ha costruito non rispettando le norme antisismiche. Quelli sono gli assassini di mio marito, non tu."
"Pdnim è in contatto con i responsabili dell'indagine sul crollo e, se sarà necessario, io testimonierò al processo" rispose quindi risoluto Namjoon, lasciando libera la mano della donna e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano destra.
"Anche io" si intromise Gaia, sollevando il viso dopo aver cancellato le tracce del suo dolore.
"Suo marito ha cercato di salvare anche me. Gli devo almeno questo" aggiunse poi, afferrando nuovamente le dita del ragazzo accanto a sè ed intrecciandole con le sue.
"Vi ringrazio ragazzi"
Il silenzio di impossessò della stanza per qualche minuto, mentre da fuori la finestra si udivano lontani suoni di motore e il chiacchiericcio proveniente dalla strada.
"Come stanno i suoi bambini" domandò Gaia, guardando Hye-rin con occhi pieni di dispiacere.
La donna espirò rumorosamente dal naso, mentre le sue spalle crollavano leggermente e il suo sguardo si faceva malinconico.
"C'è qualcosa di tremendamente sbagliato nel dover dire ai tuoi bambini che il loro papà non tornerà più a casa da loro" esordì la donna, mentre i suoi occhi si posavano su un piccolo peluche ai suoi piedi, che si allungò ad afferrare con mani tremolanti.
"Sanjae, il più piccolo di loro, ha solo tre anni e non penso abbia ancora realizzato che non lo vedrà mai più" le labbra di Hye-rin si strinsero in una morsa stretta, mentre accarezzava leggermente il pupazzetto tra le sue dita.
"Tutte le sere si trascina dietro il suo orsetto beige e si siede sullo scalino dell'ingresso, aspettando che il suo papà apra la porta" continuò quindi, indicando con il mento il corridoio d'ingresso da cui erano arrivati anche loro.
Lo sguardo di Gaia seguì quello triste della donna e, nella sua vivida immaginazione, vide un piccolo bimbo dai capelli neri trotterellare insicuro verso la porta di casa. A seguirlo, come una coda pelosa, l'orsacchiotto di peluche scivolava a faccia in giù sul parquet liscio.
"Minjae ha ormai sei anni, invece, e quando ho cercato di spiegarglielo mi ha messo una mano sulla bocca. Mi ha detto: << Non dire ad alta voce cose che fanno male, mamma >> e poi ha smesso di parlare. Se ne sta seduto in camera sua e fissa il soffitto senza dire una parola."
La mente di Gaia continuò a viaggiare, immaginandosi un altro bambino simile a Sanjae che, con lo sguardo fisso sul soffitto, se ne stava sdraiato sul pavimento, piangendo senza singhiozzare.
"Ma sono certa che un giorno avranno la forza di andare avanti" continuò la donna con sguardo convinto "Sono i figli di Seojun dopotutto e hanno il fegato del loro papà".
Gaia annuì con un sorriso di incoraggiamento alla donna, che ancora si mostrava commossa ai loro occhi, ben consapevole che il lutto fosse un dolore straziante e difficile da superare, ma che, con il tempo, ogni ferita, seppur dolorante, tende a cicatrizzarsi.
"Hye-rin" esordì Namjoon, attirando l'attenzione della donna, che lo guardò con occhi spalancati.
Il ragazzo stava guardando la donna con sguardo intenso e sul viso un espressione adulta e matura, che tanto stonava con i suoi lineamenti dolci e vagamente fanciulleschi.
"Ho deciso di mettere a disposizione tua e dei bambini un fondo che possa aiutarti ad andare avanti senza lo stipendio di tuo marito. Lo so che tu lavori e che hai uno stipendio, ma PDnim mi ha detto che questa non è casa tua e che devi ancora estinguere il mutuo. Quei soldi ti serviranno a saldare il tuo debito e a pagare le scuole dei ragazzi, in toto" spiegò quindi con voce ferma, inarcando un sopracciglio e contraendo la mascella tra una pausa e l'altra.
Hye-rin fece per ribattere, ma questa volta fu il leader dei Bangtan ad alzare un dito per bloccare le sue parole.
"Prima che tu possa dirmi di no, ti prego, fammi spiegare" la pregò.
Per tutta risposta, la donna si limitò ad annuire.
"Questi soldi non sono un gesto di pietà nei tuoi confronti, ne un modo per espiare le mie colpe. Sono per il futuro dei tuoi figli che, nonostante tutto quello che è successo, dovranno crescere e farsi strada nel mondo sulle loro gambe. Per farlo avranno bisogno di una casa in cui vivere, una madre presente, e che non debba fare dieci lavori per pagare un mutuo infinito, e la possibilità di poter studiare finchè vorranno. Questi soldi sono per il benessere, almeno materiale, della vostra famiglia."
Hye-rin lo guardò con gli occhi pieni di lacrime e un sorriso grato stampato sul viso.
Poi si alzò in piedi e tirò con forza il ragazzo tra le sue braccia, stringendolo in un caldo abbraccio materno.
Un piccolo "grazie" sussurrato riempì le orecchie attente del giovane rapper, che si limitò a stringere la donna un po' più forte, mentre il suo cuore galoppava senza sosta nel petto.
Fu solo mezzora più tardi che, seduto sui sedili posteriori del furgoncino blindato con una mano sul petto, il suo cuore smise di rimbombare senza sosta nella sua cassa toracica.
La testa bionda di Gaia era appoggiata da qualche minuto sulla sua spalla e le dita della ragazza giocavano distrattamente con le sue, mentre la strada correva leggera fuori dai finestrini oscurati del mezzo.
"Ehi Joon" sussurrò l'italiana, alzando lo sguardo per osservare il giovane rapper al suo fianco.
"Dimmi" rispose quindi lui, intrecciando le mani con le sue.
"Sono fiera di te"
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BUONGIORGIO,
Sono tornata!!!!
Dopo aver visto i risultati del contest settimana scorsa, mi sono sbrigata a finire il capitolo che avevo in lavorazione da settimane.
Non lo nego, è stato difficile immaginare come possa essere perdere un marito o un padre, ma ho cercato di fare del mio meglio.
Spero di non aver offeso nessuno e nemmeno di aver scritto solo luoghi comuni.
Se vi va, lasciate una stellina e un commentino.
VVB,
C.
Linko qui sotto la mia performance preferita di Outro:Tear, perchè è in loop da stamattina nella mia testa e ho bisogno di condividerla con qualcuno!
E poi diciamocelo, la rap line in Dior....
https://youtu.be/UJSDI8iYh6Y
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