_ Cold Dead Hand _
-.-.-.-.-.-.-.-.-
N.B. I discorsi scritti in grassetto sono in italiano.
-.-.-.-.-.-.-.-.-
4 ore dopo il crollo
Dolore.
Questa fu l'unica cosa che Gaia percepì, quando aprì gli occhi sul suo peggior incubo.
La sua mente ci mise qualche secondo a mettere a fuoco l'immagine della realtà che la circondava e, quando si sforzò di respirare profondamente, una polvere sottile le scivolò in gola, facendola tossire con forza.
Il mondo intorno a lei era completamente nero, ma lo spazio sembrava essere parecchio angusto e ristretto.
Il suo corpo bruciava e doleva in molti punti e il suo cervello impiegò qualche minuto a ricordare cosa fosse successo.
Piano, piano, cominciò a ricordarsi il volto coperto dello sconosciuto al negozio di elettronica e le urla della gente che scappava dopo la prima scossa di terremoto.
Un brivido freddo le percorse la schiena quando l'immagine delle crepe sul soffitto riaffiorò in mezzo ai suoi ricordi confusi e una voce nella sua coscienza l'avvertì che, probabilmente, era stata così sfortunata da sopravvivere al crollo del centro commerciale.
Il panico sopraggiunse di colpo, soffocandola con una forza inaudita e facendola tremare in preda al rilascio di adrenalina nei tessuti.
All'improvviso il dolore delle sue ossa rotte e lacerazioni passò in secondo piano e cercò di sedersi dalla sua posizione supina.
La parte cosciente del suo cervello si domandò se fosse saggio cercare di muoversi, con il rischio di danneggiare ancora di più il suo corpo fragile e ferito, ma la sua parte spaventata prese il sopravvento e i palmi graffiati delle mani si piantarono sul pavimento, facendo forza.
Un dolore tremendo le trafisse la gamba destra e si propagò per tutta la schiena, avvisando la mente annebbiata del fatto che qualche parte del suo corpo era gravemente compromessa.
"Forse dovrei rimanere sdraiata e aspettare che qualcuno mi trovi" fu il primo pensiero coerente che riuscì a formulare.
Cercò di mettere a fuoco l'area circostante ma il buio pesto le impedì di vedere qualsiasi cosa, aumentando notevolmente il suo senso di claustrofobia e l'ansia.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò di aver messo il cellulare in tasca mentre correva fuori dal centro commerciale e pregò, con tutte le sue forze, che non fosse completamente distrutto.
Con mani tremanti e ferite si tastò le gambe, infilando due dita nella piccola tasca della salopette di jeans e gioendo quando percepì la sagoma del suo telefono tra di esse.
Schiacciò alla cieca il tasto di accensione e per poco non si mise a piangere quando il simbolo della mela comparì tra le crepe dello schermo.
Non controllò nemmeno lo stato della batteria o se avesse ancora campo, perché sapeva che, se avesse guardato, la sua speranza sarebbe scomparsa completamente.
Invece accese la torcia e la puntò sulle sue gambe, soffocando un urlò quando notò la gamba destra completamente sommersa dalle macerie della struttura e il sangue rappreso sul tessuto scolorito del jeans.
Si domandò quanto sangue avesse perso e se oltre il ginocchio ci fosse ancora qualcosa attaccato al suo corpo, mentre il panico si avvinghiava nuovamente alla sua gola, comprimendola con forza.
Si costrinse a spostare lo sguardo verso sinistra e quello che vide la terrorizzò ancora di più.
C'era una mano coperta di sangue che sbucava tra le macerie, con un orologio dal cinturino in pelle allacciato al polso e le cui dita, nodose e robuste, indicavano il sesso del suo possessore.
Allungò una mano per toccarla e percepì il gelo di quella pelle penetrarle nelle ossa indolenzite.
Morto.
C'era un uomo morto accanto a lei.
Le mani di Gaia si schiantarono sulle sue labbra screpolate mentre lacrime di paura le scivolavano sulle guance.
"Morirò qui, morirò qui, morirò qui, morirò qui..." ripeté la sua testa, bloccata in loop.
Fu un'immagine catturata con la coda dell'occhio a farla uscire dalla trans in cui era caduta e a farla voltare verso destra.
Sdraiato accanto a lei, con un braccio vicino alla sua coscia, c'era il ragazzo del negozio di elettronica.
Aveva il viso sporco di polvere e da sotto il cappellino nero colava un leggero rivolo di sangue che aveva imbrattato la sua maglia bianca.
Gli occhi di Gaia scattarono verso la cassa toracica del giovane e si concentrarono per capire se respirasse o meno.
Fu quando la vide alzarsi e abbassarsi leggermente che sentì il peso del terrore sollevarsi leggermente dalle sue spalle.
Non era da sola e se fosse riuscita a svegliare il ragazzo, magari insieme sarebbero riusciti ad attirare l'attenzione di qualcuno fuori dalle macerie.
Magari si sarebbero salvati.
Allungò una mano e cominciò a scuotere leggermente la mano del giovane, cercando di svegliarlo.
"F-forza, s-svegliati" disse con voce roca ed irritata "Non mi abbandonare qui da sola."
La sua gola, come il resto del corpo, bruciava intensamente e il sapore del sangue le invase le papille gustative, mentre si sforzava di parlare a voce alta.
Lo scosse per minuti interminabili, ma il ragazzo non sembrava rispondere a nessuno stimolo, così, stanca e scoraggiata dall'insuccesso, spense la torcia e si abbandonò ad un sonno senza sogni.
-.-.-.-.-.-.-.-.-
7 ore dopo il crollo
Namjoon prese coscienza di soprassalto e scattò seduto, sentendo la sua testa pulsare e urlare dal dolore.
I suoi muscoli si contrassero involontariamente e il braccio destro rispose in maniera violenta, sottolineando il fatto di essere l'appendice più danneggiata.
I suoi occhi non riuscirono ad adattarsi all'oscurità e il panico cominciò a strisciare nella sua mente, facendolo respirare più velocemente.
All'improvviso le immagini di ciò che era successo quella mattina gli riempirono la testa e si composero come un puzzle nel suo cervello.
"Mi è crollato addosso un centro commerciale" pensò spaventato mentre tastava le sue gambe indolenzite.
La tibia sinistra rispose con forza, indice che, probabilmente, fosse spezzata in più punti.
Poi si concentrò sul braccio destro, chiaramente incastrato sotto le macerie, e, con un po' di forza, lo strattonò verso di sé, emettendo un urlò acuto di dolore.
"Cazzo!" esclamò mentre lacrime di agonia gli inzaccheravano la maglietta.
Fu un mugolio sommesso alla sua sinistra a distrarlo dalla sua missione e, attirato da quel suono, allungò la mano libera per tastare il terreno e le sue dita si scontrarono con una superficie morbida che sembrava pelle.
Per ottenere una reazione fece un pizzicotto al materiale che stava tastando.
"Ahia porca puttana! Che cazzo è stato!" esclamò una voce roca e affaticata.
Namjoon tirò un sospirò di sollievo, comprendendo che in quell'inferno non era rimasto solo.
All'improvviso una luce bianca inondò lo spazio intorno al suo corpo e i suoi occhi si chiusero accecati dal bagliore.
"Ti sei svegliato finalmente! Ho cercato di scuoterti prima, ma devo aver perso coscienza di nuovo. Probabilmente ho un trauma cranico o qualcosa del genere, la mia testa è confusa." Spiegò la voce.
Quando i suoi occhi si abituarono alla luce intensa, Namjoon volse lo sguardo al corpo sdraiato accanto a sé e notò che la proprietaria era la ragazza del negozio di elettronica.
Il suo viso era graffiato in più punti e coperto di polvere biancastra. Sotto l'occhio sinistro c'era un livido gigantesco e tutta quella parte di faccia era chiaramente più gonfia del resto.
"Probabilmente ha uno zigomo rotto" pensò mentre il suo sguardo si spostava sulle gambe di lei.
All'improvviso notò che l'arto inferiore destro era sommerso dalle macerie proprio come il suo braccio e che il tessuto del jeans era completamente imbrattato di sangue rappreso.
"La tua gamba..." sussurrò allungandosi per toccarla.
"Potrei dire la stessa cosa del tuo braccio" rispose lei, sorridendo amaramente.
"Non c'è nulla di divertente!" la rimproverò stizzito.
"Hai ragione" concordò lei "Ma piangerci addosso non servirà a nulla, non credi?"
"Suppongo di no" rispose lui amareggiato e riportando lo sguardo sulle sue gambe, notando solo in quel momento la borsa incastrata sotto il ginocchio sinistro.
"Quanta batteria ti è rimasta sul telefono?" le chiese mentre cercava di raggiungere la tracolla.
"Circa il cinquanta percento. E se te lo stai chiedendo no, non ho campo." Rispose lei, guardando lo schermo.
"Mettilo in risparmio energetico. Il mio cellulare era già scarico stamattina e probabilmente è morto del tutto, ma dovrei avere una piccola torcia attaccata alle chiavi di casa." Le spiegò, rovistando nella borsa.
Fu quando gli capitò tra le mani il portafoglio di Seojun che il ricordo della sua guardia del corpo lo colpì come uno schiaffo.
L'uomo gli aveva lasciato i suoi effetti personali perché la tasca della sua giacca si era bucata mentre si dirigevano verso il centro commerciale e lui se li era portati dietro tutta mattina.
"Seojun" mormorò guardandosi intorno.
"Cosa? Scusa ma non riesco a sentirti se sussurri, le mie orecchie fischiano" disse la ragazza guardandolo.
"L-l'uomo che era con me. Seojun. L-lui... i-io..." disse in maniera sconnessa Namjoon, impallidendo notevolmente.
Gaia allungò una mano per confortarlo e cercare di farlo calmare, perché chiaramente il ragazzo si stava agitando in preda al panico.
Poi il ricordo della mano morta accanto al suo fianco sinistro si insinuò nei suoi pensieri e si ritrovò a pregare che non fosse dell'uomo che aveva conosciuto quella mattina.
Con un movimento repentino cerco di nascondere l'arto alla vista del ragazzo, ma lui, avendo notato il panico nei suoi occhi, si sporse oltre le sue spalle per guardare cosa stesse nascondendo.
I suoi occhi si spalancarono quando riconobbe, nella fioca luce di quell'anfratto, la sagoma di una mano che spuntava tra le macerie.
"Q-quella è... è... u-una mano?" domandò, guardando la ragazza.
"Se ti dicessi di no, mi concederesti il beneficio del dubbio?" rispose lei, cercando il contatto visivo con i suoi occhi.
Quando il ragazzo non rispose, respirò profondamente e si spostò leggermente, dando la possibilità al giovane di vedere chiaramente la mano.
"Indossa un orologio dal cinturino di pelle blu. Ti dice qualcosa?"
Namjoon deglutì e quel piccolo spazio angusto in cui si trovavano soffocò nel silenzio più totale.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro