Capitolo primo
Blu. L'unica cosa certa di quel cielo che si propagava davanti ai miei occhi era che era blu, di quel blu intenso come le profondità marine, dove la luce non arriva, ma a differenza di questo, il cielo era punteggiato da una miriade di stelle lucenti e dalla luna. Una leggera brezza mi scompigliava i lunghi capelli castani mentre il mio solito odore di lavanda si propagava nello spazio circostante. La brezza che mi accarezzava dolcemente le braccia sembrava volesse cullarmi fino a farmi addormentare, fino a rimanere in balia di quella melodiosa ninna nanna data dalle foglie delle fronde degli alberi che di lì a poco sarebbero scivolate per terra. «Domani inizierà scuola. Nuovo anno, nuova vita. Magari.» Proprio così, da domani sarebbe ripreso tutto come prima, il solito trambusto quotidiano e la dolce tranquillità sarebbe stata spezzata in mille pezzi ingiustamente. Ogni anno nella mia scuola le classi cambiavano, potevi capitare con chiunque del tuo anno o di qualunque altro, se il ragazzo o la ragazza in questione era stato o stata bocciata e a volte rischiavi di doverti sorbire in classe la tua vecchia amica delle elementari con cui avevi litigato irrimediabilmente e che nemmeno ora una delle due aveva sotterrato l'ascia di guerra. Speravo di non ritrovare i compagni dello scorso anno poiché mi erano sembrati tutti troppo egoisti, egocentrici ed antipatici ed i bulli non mancavano di certo. Solo con una persona e precisamente un ragazzo, ero riuscita a legare anche se non molto data la mia scarsa dote di socializzazione, soprattutto se si trattava di un ragazzo. Eppure avrei tanto voluto che diventasse un mio amico quel ragazzo alto, dai capelli castani e gli occhi color cioccolato, quel ragazzo solare che non mi avrebbe mai degnato di uno sguardo essendo io stessa fin troppo all'ombra delle persone. Eppure quello sarebbe stato l'ultimo anno all'Oblivion, il liceo artistico della nostra città. Quella notte non riuscivo a dormire e stavo lì appoggiata al muro del balcone a guardare quelle stelle che sembravano osservare la mia vita dall'alto. Magari la vedevano come un film, una commedia o un'opera drammatica o meglio una drammatica opera buffa. Sì, forse era così che l'avevano soprannominata. Non potevo rimanere lì ancora a lungo ed inoltre cominciava a fare davvero freddo, anche se ero incappucciata nella mia coperta preferita. Solo una cosa mi poteva aiutare a tranquillizzarmi e lo sapevo benissimo perciò ero rientrata in camera e avevo chiuso la finestra del balcone. In un angolo della camera c'era il mio adorato pianoforte a coda nero. Non come i miei occhi. Avrei voluto avere le iridi nere, un pozzo profondo nel quale ti perdevi a cercar di distinguere la pupilla invano. Mi ero avvicinata al pianoforte e dopo essermi seduta avevo appoggiato le dita le dita sul pianoforte. Dopo aver chiuso gli occhi avevo iniziato a suonare una melodia che ormai conoscevo a memoria e che sapevo suonare letteralmente ad occhi chiusi. Le mie dita scorrevano dolcemente sui tasti bianchi e neri. In poco tempo ero già immersa in uno stato di dormiveglia. Avevo sentito una piccola manina accarezzarmi la testa per poi prendermi per mano. Mezza assonnata mi ero alzata biascicando alcune parole «Thomas... Tardi.. Vai a letto.. Tesoro.» la manina continuava a trascinarmi imperturbabile. La prima cosa che aveva pensato in quel momento era stata che quella trottolina non avrebbe dovuto essere ancora sveglio a gironzolare per la casa come se nulla fosse, era troppo tardi per lui. «Vieni anche tu a letto altrimenti domani sarai stanca.» L'avevo seguito fino al letto dove mi accasciai e mi addormentai sorridendo, fra le braccia stringeva il mio piccolo angioletto, il mio adorato fratellino.
Una ciocca dopo l'altra, i miei capelli andavano ad intrecciarsi sotto la presa salda delle mani. Un gioco di intrecci, di trame, quasi a nascondere qualcosa. Lentamente si intrecciavano come le vite di due persone si intrecciano fino ad instaurare un legame, la forza di esso dipendeva soltanto dal volere delle due vite. Un sussurro, un risveglio da quello stato di completa assenza, assente da quel luogo ma presente in un altro, trasportata dal vento, da quel lieve soffio di vento entrato dalla finestra spalancata che le accarezzava la chioma color nocciola ormai raccolta in una treccia lunga. Osservavo me stessa allo specchio, la stessa persona di sempre, lo stesso fisico, la stessa anima, una luce diversa negli occhi. Occhi che si erano fatti meno luminosi, più attenti. Avevo osservato i miei lineamenti, puntando l'unghia dell'indice destro verso il mio riflesso nello specchio, ne tracciavo il contorno, quasi a dipingere quella persona identica a me che sembrava non appartenermi. Avevo appoggiato il dito sul vetro freddo, lasciando la propria impronta, mentre un brivido era partito dal dito fino a percorrere l'intera schiena. Mi sentivo in una specie di oblio fra ciò che era reale e ciò che non lo era, avrei potuto scambiarli, distogliendo la realtà sotto i miei occhi e non me ne sarei mai accorta. «Non è così semplice.» Un pensiero sfuggitomi dalla morsa della mente, un gioco di intrighi, confusione e caos misti a quella voglia di afferrare il filo logico per srotolare quel groviglio, per farci chiarezza, per capirne qualcosa, per distinguere la realtà dalla fantasia. Passo dopo passo uscivo dal bagno, presto quella bolla che avevo creato tutt'attorno sarebbe scoppiata facendo tornare nuovamente tutto come prima. «Ometto, è ora di svegliarsi.» Un mugolio, qualche parola farfugliata e un abbraccio stritolante appena mi era seduta accanto a lui, erano il frutto del mio amore per lui e del mio buon umore mattutino. Era sempre così, per quanto stesse male quel piccoletto riusciva a risollevarle la giornata. In poco tempo George era sgattaiolato fuori dal letto per andare a fare colazione. Avevo preparato tutto io come ogni giorno quando i miei genitori non c'erano, non era facile vivere in una famiglia i cui genitori erano uno pilota e l'altra hostess e mentre loro se ne andavano in giro per il mondo io ero costretta a vivere la mia vita. Ogni giorno dovevo fare le corse: dovevo alzarmi, lavarmi e prepararmi, preparare la colazione, svegliare George, fargli fare colazione e lavare il tutto mentre lui si lavava, il che a parole può sembrar semplice, ma mi trovavo sempre a correre per la casa come il Bianconiglio, con un orologio in mano per non perdere di vista l'ora. Quel giorno non fu di certo uno strappo alla regola ed andò tutto secondo i piani.
Non aveva mai accennato a lamentarsi dei bulletti della sua classe che gli rubavano la merenda e così finiva sempre per rimanerne senza, sapeva molto bene quello che succedeva in classe ecco perché gli metteva sempre qualcosa in più da mangiare quando non veniva più placcato da quegli avvoltoi. Nonostante ciò sorrideva ed era felice e vedeva tutto come se stesse condividendo qualcosa con loro, riusciva sempre a trovare del positivo in tutti, una capacità spettacolare per un bambino così piccolo.
Un angelo. Il mio angelo. Potevo dire orgogliosamente che era grazie a lui che non mi lasciavo del tutto scoraggiare dalla vita. Qualcuno l'avrebbe trovato strano, dipendere dal fratello minore accudendolo al tempo stesso, un gioco di contraddizioni che non tutti comprendevano non vivendolo in prima persona. Avevo sorriso al bacio umidiccio sulla guancia di George, avevo esitato a lasciare la sua manina e avevo presagito il suo primo giorno di scuola mentre l'aveva lasciato scivolare via da sotto alla sua ala protettiva per farlo accogliere da quella infedele della scuola. Un sospiro era tutto quello che era rimasto di quel momento, mentre i miei passi si facevano mano mano più veloci, lasciando le impronte delle sue scarpe sopra il vialetto di ghiaia che collegava la scuola di George alla mia. Sentivo il battito accelerare, passo dopo passo e nella foga avevo anche scontrato qualcuno a cui, senza girarmi a guardare, avevo rivolto un cenno di scuse sperando potesse bastare. Non ero abituata a correre, non ero affatto una ragazza dedita alla corsa campestre o a qualsiasi altro sport e questo lo si poteva ben intuire dal fiatone che mi aveva accompagnato fin dal primo passo. Io ero tutto l'opposto di quella che si poteva definire una ragazza sportiva.
Nonostante tutto il trambusto che avevo fatto come ogni giorno di scuola, ero addirittura riuscita ad arrivare con un minuto di anticipo. Minuto che mi era servito per dirigermi verso i tabelloni affissi al muro che contenevano le varie classi. Era assurdo come questa scuola decidesse tutto all'ultimo o, come minimo, vivendo ormai nel Ventunesimo secolo, non si fosse attrezzata ad aprire un blog della scuola ed eravamo sempre noi a rimetterci dovendo fare ogni singolo giorno le corse. Ogni mattina in Africa quando sorge il sole una gazzella si sveglia. Sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Africa quando sorge il sole un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame. Quel detto la rappresentava molto, come ogni singolo studente del liceo, o almeno, quasi tutti.
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