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Capitolo 4

Dolore, dolore atroce. Maledetta sbornia.
"Vuoi un'aspirina?"
Mi chiese comprensiva mia sorella. Era domenica mattina ed eravamo in piedi solo io e lei, in cucina, ancora in pigiama.
"Sì, ti prego."
Risposi, posando la testa sul tavolo e stringendo gli occhi.
"Seratona ieri."
Più che una domanda, fu un'affermazione.
"Già..."
'Tutto per dimenticare quegli occhi...' pensai.
"Periodo difficile?"
Provò.
"No, periodo normale, solo voglia di svagarmi un po'."
Risposi con un'alzata di spalle. In effetti non era proprio una bugia, infondo non c'era nulla che non andasse, ero solo un po' annoiato, cosa che mi capitava spesso. Già, l'apatia ti condanna ad un perenne stato di noia. Niente ti tocca, niente suscita in te alcuna emozione, niente è mai abbastanza da attirare la tua attenzione.
"Capito."
Disse solo, porgendomi il bicchiere con la medicina all'interno che si dissolveva a contatto con l'acqua.
"Grazie."
Le sorrisi stanco, accettandolo.
"Oggi hai da fare?"
Mi chiese, poggiata di spalle al piano cottura.
"No, perché?"
Chiesi a mia volta, iniziando poi a bere quella medicina dal sapore aspro.
"Ti va di stare un po' insieme?"
Propose. Inarcai un sopracciglio.
"È successo qualcosa e non sai come dirmelo?"
Ipotizzai.
"Perché credi questo?"
Mi chiese confusa.
"Da qualche anno a questa parte, mi hai chiesto di uscire solo perché dovevi dirmi qualcosa e non trovavi le parole giuste per farlo."
Le feci notare.
"Come quella volta che mi portasti al luna park, per poi dirmi che saresti stata via per un anno."
Giorno che da essere uno dei più belli della mia vita, divenne uno dei più brutti.
"Giuro che stavolta non devo dirti nulla."
Disse con una mano sul cuore.
"Voglio solo stare un po' con il mio fratellino."
Ammise, abbracciandomi da dietro, portando le braccia attorno al mio collo.
"Okay, d'accordo."
Accettai. Una giornata con lei non sarebbe stata poi così male.

"Dai, Vale, sbrigati."
Urlai esasperato a mia sorella dal fondo delle scale.
"Sì, arrivo, cinque minuti."
Urlò di rimando la ragazza.
"Li conosco i tuoi cinque minuti e non sono cinque minuti."
Ribattei, sbuffando. Che diamine, doveva uscire con me, mica con il suo futuro marito.
"Eccomi!"
Esclamò catapultandosi alla fine delle scale.
"Ce l'hai fatta, finalmente."
Ricevetti una linguaccia in risposta.
"Andiamo nana."
La spinsi verso la porta, contro le sue proteste.

"Arrivati."
Disse entusiasta lei una volta entrati.
"Da quant'è che non venivamo insieme qui?"
Chiesi mentre i ricordi riaffioravano.
"Sette anni."
Rispose esatta. Mi voltai a sorriderle e solo in quel momento mi accorsi di come si era conciata. Vestitino, ballerine, trucco leggero ad illuminarle il viso...
"Chi dobbiamo incontrare?"
Andai subito al punto. Lei si voltò di scatto verso me.
"Cosa?"
Fece la finta tonta.
"Non penso tu ti sia fatta carina per me, perciò... In cosa mi hai trascinato?"
Chiesi con una punta di delusione... Credevo che saremmo stati davvero solo io e lei.
"Davvero mi trovi carina?"
Chiese speranzosa, come se dalla mia risposta dipendesse il futuro dell'umanità.
"Rispondi."
Dissi con freddezza ed autorità nel tono.
"Beh, ecco..."
Abbassò la testa, giocando con i lembi del vestitino azzurro che indossava e che le stava davvero un incanto.
"Dopo che ti ho proposto di uscire, mi ha scritto Giovanni, è un ragazzo che viene all'università con me ed è veramente carino e..."
Finii per lei.
"E ti ha chiesto di uscire a sua volta, tu non volevi dirgli di no, ma non volevi rimangiarti la parola data con me."
Annuì. Sospirai.
"E ora che dovrei fare secondo te? La candela?"
Chiesi scocciato, mettendomi a braccia conserte.
"Magari incontri un ragazzo carino anche tu."
Ipotizzò, facendomi alzare gli occhi al cielo.
"Certo, perché secondo te appena svolterò l'angolo incontrerò l'amore della mia vita."
Dissi sarcastico.
"Può essere."
Replicò con un'alzata di spalle. Incredibile.
"Quando dovrebbe arrivare questo Giovanni?"
Chiesi.
"Tra un'oretta circa."
Mi informò.
"Allora mi concedi almeno una colazione?"
Mi sorrise, annuendo ritmicamente.

"Mangia piano, sembri un maiale."
Mi rimproverò, come sempre.
"Mangio come mi pare."
Risposi scontroso.
"Calma i toni giovanotto."
Mi riprese.
"Sembri la nonna."
Constatai, alzando gli occhi al cielo, ricevendo una faccia scioccata in risposta che mi fece scoppiare a ridere.
"Idiota!"

Passammo il tempo girando per qualche negozio con mia sorella che non faceva altro che raccontarmi di quanto fosse bello ed intelligente questo tipo. Francamente già mi stava sulle palle.
"Fé, mi stai ascoltando?"
Mi chiese spazientita la mora.
"Purtroppo sì."
Dissi sospirando, ricevendo uno scappellotto.
"Ma quanto sei manesca?!"
La fulminai.
"Abbastanza."
Si vantò.
"Povero Giovanni."
Commentai.
"Ehi!"
Ridacchiai.
"Tu invece?"
Mi chiese. La guardai confuso.
"Io cosa?"
Chiesi di rimando.
"Non ti piace nessuno?"
Alzai ancora una volta gli occhi al cielo. Mi poneva tale domanda ogni mese, tutte le volte io le rispondevo sempre la stessa cosa e lei mi proponeva qualche ragazzo della sua università, elogiando ognuno di essi che poi si rivelavano alquanto scadenti per i miei standard.
"Ti rispondo ancora una volta allo stesso modo di quelle precedenti: no!"
Esclamai esasperato.
"Non c'è nessun ragazzo abbastanza intelligente e di bell'aspetto capace di rispecchiare le mie aspettative."
Ripetei per la millesima volta.
"Non è che sarai tu ad essere troppo esigente?"
Sbuffai ancora.
"Non sono esigente, mi definirei più che altro speranzoso."
Dissi.
"Spero ancora nel genere umano che si rivela una continua delusione, ma non mi arrendo."
Usai un tono di voce tipico di una qualche commedia d'amore piena di poveri illusi sognatori.
"Come dici tu, prima o poi svolterò l'angolo giusto e incontrerò il ragazzo dei miei sogni."

Avevo appena lasciato mia sorella con quel tipo. Di bello era bello, dovevo ammetterlo, eppure ero convinto che avrebbe potuto avere di meglio quella nanetta. Non capivo perché accontentarsi, la vita è una, bisognerebbe viverla al meglio. Mi ritrovavo piuttosto d'accordo con i poeti dell'estetismo e del decadentismo, bisogna vivere la propria vita come un'opera d'arte, aspirare sempre al meglio, a ciò che è diverso, migliore, unico.
Inizialmente mi misi a vagare senza una meta precisa, optando di tornarmene a casa, quando svoltai l'angolo e...
"Scusa, non ti avevo visto."
Quegli occhi...
"Stai bene?"
Quei dannatissimi occhi... Cazzo, era lui.

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