Capitolo 16
Era passato un giorno. Mi sentivo come in una bolla, ogni suono era confuso, ovattato, tutto attorno a me era sfocato, ero seduto con le gambe strette al petto su una sedia con uno psichiatra, mia madre, mia nonna e mia sorella attorno a me e Noah non era lì. Era andato via, come scappato, non pronto ad affrontare la realtà, come me, ma io non potevo scappare.
"Federico..."
Pronunciò mia sorella. Alzai lentamente lo sguardo su di lei. Sembravo vuoto, spento, privo di qualsiasi cosa, perché non sapevo cosa provare o se avessi dovuto provare qualcosa.
"Tu è un mese all'incirca che frequenti Noah?"
Mi chiese ed io annuii piano, per poi scoppiare in una fragorosa risata. Ero impazzito forse? No, no, io non ero pazzo.
"Non sono pazzo!"
Esclamai sotto i loro sguardi compassionevoli.
"Io so quello che ho visto, so quello che ho provato, era tutto reale, non posso essermi immaginato tutto!"
Ribadii con un tono di voce più alto, alzandomi dalla sedia. Ero nervoso, mi stavano facendo mettere in dubbio i sentimenti, le sensazioni provate in quel mese.
"Tu hai detto che io ho colto te e Noah fare sesso, ma io ho trovato solo te Federico, non c'era nessun altro."
Disse calma.
"Come puoi non averlo visto?! Era lì! Noah era lì con me! Abbiamo passato la mattinata insieme, è stata un'idea sua andare a casa nostra."
Li informai. Si scambiarono delle occhiate tra di loro.
"Vi posso far vedere le nostre foto, far leggere le nostre chat."
Dissi affrettandomi a prendere il telefono e a mostrarglielo. Guardarono i messaggi, le foto e più guardavano, meno sembravano credermi.
"Fede qui ci sono solo messaggi che ti sei inviato da solo e foto in cui ci sei solo tu."
Raggelai, non poteva essere. Ripresi velocemente il cellulare e sì, i messaggi, le foto, erano tutti lì.
"Come fate a non vederli?!"
Il nervosismo, la rabbia, stavano prendendo il sopravvento.
"Ho capito, ho capito che state cercando di fare!"
Era chiaro.
"Voi siete invidiosi della mia felicità, ora che l'ho trovata, volete portarmela via."
Era l'unica spiegazione plausibile per me.
"Federico è tutto frutto della tua immaginazione, può succedere alle persone come te. Ti senti così superiore agli altri, diverso, da avere l'inconscio bisogno di creare qualcuno come te per non sentirti solo, per non sentire la mancanza di tuo padre."
Sentii come una fitta al cuore in particolare a quelle ultime parole. Scossi ritmicamente la testa.
"No, Noah non c'entra niente con mio padre."
Precisai.
"Questo Noah quanto ti somiglia da uno a dieci?"
Mi chiese l'uomo.
"Cosa c'entra la somiglianza?"
Chiesi stanco ed esasperato.
"C'entra, rispondi Federico."
Disse con tono duro.
"Nove credo, la pensiamo allo stesso modo e ci piacciono le stesse cose."
Ammisi.
"È stato facile per te indovinare informazioni su di lui?"
Annuii.
"L'aspetto rispecchiava quello del tuo ragazzo ideale?"
Scossi la testa.
"Per me sarebbe potuto essere un tipo qualunque, è lui ad essere venuto da me."
Li informai.
"Perché tu volevi che lui venisse da te."
Cercò di farmi ragionare mia sorella.
"No, no, no!"
Urlai buttando le prime cose che trovai all'aria.
"Federico, tesoro, calmati."
Tentò mia madre, mentre calde lacrime iniziarono a rigare il mio viso.
"Voglio Noah... Ho bisogno di lui..."
Sussurrai. Nessuno parlò, il dolore lacerante era visibile, non mi ero mai sentito così, non sapevo come si facesse a nasconderlo. La solitudine non mi aveva mai toccato, la morte di mio padre era solo un lontano ricordo, il mio essere diverso l'ho sempre visto come un mio essere migliore, eppure in quel momento mi sembrò come se tutto potesse tagliarmi come lame affilate, sentivo il sangue colare da ogni ferita che bruciava. Ogni taglio inflitto unicamente da Noah, lui che mi aveva illuso, lui che non era lì. Uscii da lì ignorando le urla alle mie spalle che richiamavano il mio nome: dovevo trovare Noah.
Corsi per la città, mi sembrava di vederlo dappertutto eppure non era mai lui, fino a quando non sentii quella voce, la sua voce, chiamare il mio nome. Mi girai in quella direzione e lo vidi, sembrava turbato, sembrava spaventato, aveva paura... Lui non aveva mai paura, proprio come me. Evidentemente eravamo davvero uguali. Mi avvicinai in fretta a lui e gli tirai uno schiaffo sfogando tutta la rabbia che avevo dentro.
"Direi di essermelo meritato in parte..."
Constatò rimettendosi in piedi e tenendosi la guancia.
"In parte?!"
Urlai.
"Sei tu che mi hai creato."
Ed ecco un'altra coltellata.
"Di che diavolo parli?!"
Urlai ancora, non riuscivo a fare altro.
"Parlo del fatto che io..."
Iniziò urlando a sua volta, per poi fare una pausa.
"Sono frutto della tua immaginazione."
Mi guardò dritto negli occhi. Il mio battito e il mio respiro si bloccarono per un attimo. Detto da lui sembrava più plausibile, più vero, ma non riuscivo ad accettarlo, non potevo.
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