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Get away

You are My apple sin

Capitolo 7

"Get away"

L'unico modo per liberarsi da una tentazione è cederle.

Oscar Wilde

PoV Dominic

Era passata una settimana da quella sera e ancora mi sembrava di poter scorgere sulle mie labbra la sensazione delle sue calde e morbide; inoltre, averlo avuto intorno per quell'intero periodo non mi aveva aiutato per nulla, anche se ormai ero sicuro che di quella sera non ricordasse nulla. Nemmeno i baci che mi aveva serbato.

Sospirai mentre finivo di condire l'insalata e mettevo anche essa sul tavolo già pronto per la cena.

Jeremy si era rinchiuso da tre ore nel bagno per fare solo Dio sa cosa, perché non riuscivo a credere che potesse farsi un bagno in un lasso di tempo così lungo.

Mi tolsi il grembiule nero e lo ripiegai accuratamente, rimettendolo poi in uno dei cassetti della cucina; forse, sarebbe stato meglio andarlo a chiamare o almeno accertarsi che non si fosse addormentato nella vasca.

Tuttavia, non fu necessario.
Non avevo neppure fatto in tempo a voltarmi che lui era lì, con tutto il suo magnifico splendore da diciassettenne: gli occhi verdi resi più brillanti da quella striscia di eyeliner e matita sotto gli occhi, per non parlare di quell'ombretto rosso che andava a disegnare molto artisticamente e dettagliatamente delle fiamme.

Quella sera indossava una canottiera nera larga e piena di buchi, una giacca bianca ed elegante, con dei guanti in pelle impreziositi da spuntoni e piccoli Swarovshi bianchi, che erano stati appuntati anche sotto i suoi zigomi.

I pantaloni erano in pelle, e sulla parte posteriore gli ricadevano due strisce di tessuto e una catena argentea che tintinnava ad ogni suo passo.

-Che hai preparato questa sera?- chiese avvicinandosi al tavolo e arraffando una patatina con le mani e poi leccandosi lascivo le dita.

Lo osservai squadrandolo dall'alto al basso e viceversa, non riuscendo a non mangiarlo con gli occhi.

Era difficile vivere col peccato sotto lo stesso tempo. Ogni giorno non potevi che venir tentato da esso e resistergli non era mai facile.

Quante volte avevo pensato di cedere? Troppe, troppe!

Ma non potevo fare altro, non era giusto né per me né per lui.

Quell'amore se mai fosse scoppiato ci avrebbe distrutti, ci avrebbe fatto soffrire le pene dell'inferno e io, che ci ero già passato, non volevo trascinare anche il mio Jeremy con me.

-Almeno aspetta di sederti a tavola.- lo rimproverai scostando la sua sedia da vero gentil uomo, come se fossimo a una cena a lume di candela.

Lui mi guardò con quei suoi brillanti smeraldi e sorridendo soddisfatto e strafottente si sedette sul seggio che gli avevo offerto.

-Servo, perché non mi imbocchi?- chiese sorridendo bello come il male prendendo una forchetta in mano e porgendomela.

Il suo sguardo era malizioso, pieno di aspettativa e divertimento, per quel piccolo giochino che gli era appena sorto nella mente, ma a cui io non avrei partecipato; nonostante, la cosa mi eccitasse.

Mi sedetti di fronte a lui senza dire nulla, ignorandolo semplicemente e indispettendolo.

-Perché sei vestito a quel modo? Non ti sembra un po' troppo appariscente per rimanere a casa con me?- chiesi iniziando a tagliare la mia fiorentina.

Lui mi guardò alzando un sopracciglio sopra al quale era stato applicato un piercing ad anello finto, ma che lo rendeva ancora più peccaminoso ai miei occhi.

Dannato, dannato cuore! Perché innamorarsi di quel ragazzo con tutti quelli possibili al mondo?

Amore irrazionale, sentimento di fragilità e paura, quale grave torto avevo commesso per co' tanta sventura!

Forse, l'unica cosa che avrebbe potuto far zittire quel muscolo involontario sarebbe stata la morte; dopotutto:

"fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte ingenerò la sorte.

Cosa quaggiù si bella, altre il mondo non ha, non han le stelle.

Nasce dall'uno il bene, nasce il piacer maggiore, che per lo mar dell'essere si trova l'altra ogni gran dolore,ogni gran male annulla."**

Il buon Leopardi aveva sempre ragione.

-Di certo non mi vestirei mai per te in questo modo. Comunque è sabato sera, credi davvero che resterò a casa come un certo rachitico modello?- chiese ilare azzannando il suo pezzo di carne, come se avesse appena immaginato fosse la mia testa, o anche altro, ma non osavo pensarci.

Rimasi composto, masticando con elegante tranquillità il mio boccone, presi poi il tovagliolo e mi tamponai leggermente il lato della bocca prima di parlare e lo sentii sbuffare per il mio comportamento che trovava sempre estremamente irritante.

-Sei ancora in punizione Jeremy.- gli rammentai guardandolo, mentre tornavo a tagliare di nuovo quel pezzo di carne davvero buonissimo. Adoravo le bistecche al sangue.

-E' sabato sera e il resto della settimana ho seguito le tue direttive, non rompere.- sbottò infilzando con la forchetta la sua costata e afferrando poi un'altra patata con quelle dita candide, lunghe e affusolate.

-Niente da fare.- non cedetti, non potevo. Cosa sarebbe accaduto se lo avessi lasciato andare? Si sarebbe ferito di nuovo? Avrebbe rivisto Dylan? Dopotutto che io sapessi non si erano ancora lasciati. Si sarebbe ubriacato nuovamente o avrebbe preso una strada decisamente meno confortante come il tunnel della droga?

Non mi sembrava il tipo, sapevo anche quanto tenesse alla danza e quindi al suo corpo, ma ero anche cosciente del fatto che a volte la disperazione e la tristezza portavano a fare cose che mai avremmo immaginato di poter fare.

-Come se mi servisse il tuo permesso.- sbottò alzandosi.

-Dove credi di andare?- gli chiesi, fulminandolo con lo sguardo.

-In bagno o per andare a soddisfare la mia vescica devo avere un tuo permesso scritto?- chiese furioso e per niente sarcastico andando in bagno e sbattendo la porta.

Avevo un pessimo presentimento.

Pov Jeremy

Appena richiusi la porta dietro di me, diedi un calcio alla prima cosa che mi capitò a tiro: l'aria.

Quel dannato sembrava intenzionato a tenermi rinchiuso in quella dannata topaia che ormai stavo iniziando davvero a considerare come una casa.

Fino a qualche mese prima non mi sarei scomposto a quel divieto, eppure, stavo iniziando sempre più ad ascoltare quella dannata voce matura, che assomigliava a quella di un padre, ma che al tempo stesso non riuscivo a considerare tale.

Ormai era inutile negare il fatto che non riuscivo ad odiare Dominic. Lo amavo, così tanto da farmi sembrare che io Dylan non lo avessi mai amato realmente.

-Dannazione.- iniziai a mordermi il pollice, serrando le braccia al petto.

Se in quel momento fossi scappato lui lo avrebbe subito notato e non osavo immaginare lo sguardo che mi avrebbe mostrato.

Sarebbe stato ancora freddo? Impassibile davanti a me?

Avevo girato per casa tutta la settimana solo in boxer e lui non aveva fatto una piega; l'unica cosa che mi aveva consigliato, baciandomi come sempre sulla fronte, era stata di vestirmi se non volevo che mi venisse un raffreddore.

Andai allo specchio e mi osservai, mi presi tra le dita una ciocca della mia frangia.

Cosa c'era che non andava in me? Perché non gli facevo effetto alcuno?

Mi guardai intensamente.

Mi soffermai sui miei occhi verdi e brillanti, sulle mie labbra color della pesca e carnose, la mia pelle nivea priva di imperfezioni, le ciglia lunghe, i capelli castani che ricadevano morbidi rendendo il mio viso ancor più delicato.

Forse avrei dovuto tingerli, magari non gli piaceva il mio colore.

-Tsk.- sbottai, facendo schioccare la lingua contro il palato.

Non avevo mai avuto di questi problemi, solitamente ero io a fare il prezioso e non gli altri!

Che fosse dannato!

Uscii dal bagno crucciato e me lo ritrovai subito davanti. A quanto pare non si era fidato e questo un po' mi fece male.

-Se eri cosi preoccupato potevi anche entrare.- gli dissi acido mettendomi davanti a lui, una mano sul fianco e l'altra lasciata morbidamente lungo di esso. -Magari potevi aiutarmi a reggere quella cosa che ho in mezzo alle gambe.- mi umettai alle labbra, eccitandomi al solo pensiero.

Perché doveva farmi questo effetto? Perché non riuscivo a cacciarlo dalla mia mente?

Dannazione! Era il ragazzo di mia madre era ovvio che non avrei mai potuto averlo; eppure, era proprio quel gusto di proibito, ma anche la consapevolezza che quelle labbra mi avrebbero per sempre cinto e amato come nessuno mai avrebbe potuto fare, non mi dava scampo.

Lo volevo, tutto per me.

Volevo essere amato, volevo amarlo.

Volevo per la prima volta essere qualcosa di più che una semplice puttana.

Era così sbagliato chiedere amore? Forse per me sì, perché io ero uno sbaglio, come più volte mi aveva definito e fatto sentire mia madre.

In risposta sorrise e mi baciò la fronte. Perché bastava quel casto contatto per farmi sciogliere e arrabbiare allo stesso tempo?

-Scusa.- disse solo -Ma ciò non toglie che questa sera non uscirai. Ora, va a finire di mangiare dopo ci guardiamo un film, ti va?- mi chiese con quel suo sorriso che avrei voluto molto volentieri far scomparire, tirandogli un pugno.

-Tu fa quel che vuoi, io me ne vado in camera mia.- mi voltai di 90° e iniziai a sculettare di proposito davanti a lui fino a che non sparii dalla sua vista.

Salii le scale due gradini alla volta e in pochi minuti mi ritrovai in camera mia.

Chiusi la porta e poi mi guardai attorno; tra poco Dylan sarebbe passato a prendermi.

Presi il cellulare dalla tasca e gli mandai un messaggio, dicendogli di non venire davanti casa.

Mi avvicinai poi alla finestra e la aprii sorridendo.

Non ero mai uscito dalla finestra, ma nei telefilm mi era sempre sembrato divertente.

Salii sul davanzale e mi sedetti su di esso, guardando in basso e poi osservando il ramo dell'albero che mi era proprio di fronte.

Saltare dal secondo piano era fuori discussione, mi sarei potuto rompere l'osso del collo; dovevo seriamente ponderare l'idea di far crescere dell'edera o di mettere una scala; le lenzuola sarebbero state troppo sospette.

Chiusi gli occhi e feci il mio primo lancio della fede.

Se fossi sopravvissuto a quel punto sarei stato davvero un assassino* a tutti gli effetti.

PoV Dominic

Misi da parte la cena che Jeremy aveva avanzato, lavai i piatti, sistemai le ultime cose e poi, non riuscendo a farne a meno salii al piano di sopra.

Ero preoccupato, avevo uno strano presentimento, forse dettato dal fatto che quella sera non avrebbe voluto dormire nel mio stesso letto e ciò da quando ero entrato in quella casa non era mai accaduto.

Mi fermai davanti alla sua porta e bussai, ormai ero arrivato al mio limite; ben presto sapevo che se avesse fatto qualcos'altro per istigarmi sarei caduto ai suoi piedi e mi sarei abbandonato ai miei desideri.

Non passava giorno in cui non pensavo a lui o non riuscivo a non amarlo ancora più profondamente di quanto già non facessi.

Bussai alla porta piano, aspettai che la sua voce mi mandasse al diavolo o che mi invitasse ad entrare, ma vi fu solo il più completo silenzio.

-Jeremy?- chiesi entrando, aprendo piano la porta nel caso si fosse già messo a dormire, ma quando entrai l'unica cosa che vidi fu solo la finestra spalancata, il letto intatto e nessuno all'interno.

In quel momento tremai di terrore e rabbia, mi precipitai alla finestra e guardai giù.

Percepii un certo sollievo nel sapere che almeno era ancora vivo.

Presi il cellulare dalla tasca dei pantaloni e immediatamente composi il suo numero, ma a rispondermi dall'altra parte fu solo la segreteria telefonica: aveva spento il cellulare.

A passa di marcia, pesante, cupo e furioso mi precipitai in camera mia, presi i primi vestiti puliti che mi capitarono a tiro e li indossai in fretta e furia, prima di scendere di nuovo al piano inferiore.

Presi le chiavi della macchina e quelle di casa, presi le prime scarpe che trovai e poi uscii, mentre il mio pensiero era fisso su quel dannato ragazzo che sembrava godesse nel vedermi soffrire, dilaniato dall'ansia, dalla gelosia e dal dolore.

Era uscito quando glielo avevo proibito, lo aveva fatto saltando dalla finestra col rischio di farsi male; se ne era andato senza dirmi nulla, senza lasciare neppure un biglietto.

Entrai in macchina sbattendo la portiera, inserendo la chiave nella toppa e poi sgommai immediatamente a tutta velocità.

Non sapevo dove trovarlo, non sapevo dove iniziare a cercarlo.

Cosa poteva fare un ragazzo di diciassette anni il sabato sera? Dove poteva andare?

Al cinema? In un pub? A fare gare clandestine? A ballare?

Poi mi venne in mente quell'abbigliamento che quella sera mi aveva tolto il fiato e fatto restringere i pantaloni alla sola visione: una discoteca.

Presi il cellulare e ricercai tutte le discoteche della città. Erano almeno dieci; avrei dovuto passarle in rassegna una ad una.

Pov Jeremy

La musica era alta e gradevole, i corpi in sala si sfrusciavano l'uno contro l'altro, mentre fiumi di alcol venivano versati nei bicchieri di adulti e minorenni indistintamente.

-Che cosa vuoi fare?- urlò Dylan al mio orecchio per farsi sentire, io ghignai e lo baciai sensuale, mordendogli il labbro inferiore.

Quello era il mio sabato sera, quello in cui avrei ballato fino a stancarmi, anche fino alle tre di notte e mi sarei sfrusciato contro tutti, cercando le braccia del mio ragazzo.

Quella era la mia serata, quella in cui mi sarei lasciato il dolore e quell'amore impossibile alle spalle e avrei ricevuto tutto ciò che potevo da quegli occhi azzurri che mi stavano guardando con brama.

-Ballare Dylan. Siamo qui per questo.- ghignai, prendendolo per mano e portandolo in pista.

Immediatamente iniziammo a prendere il ritmo di quella massa che si muoveva sinuosa, danzando sulle note di quella musica house e tecktonica che non mi era mai piaciuta veramente, ma che era facile e divertente da ballare.

Ti entrava nelle vene e faceva muovere il tuo corpo naturalmente, istintivamente, sotto le luci che si alzavano e abbassavano, che ti ferivano gli occhi, ma che ti celavano e ti mostravano ad un ritmo irregolare.

Immediatamente mi sentii bruciare, mentre sentivo caldo e il mio corpo iniziava a sudare.

Sorridetti, allacciando le braccia intorno al collo di Dylan che posò le mani sui miei fianchi e tentò di baciarmi, ma io per gioco mi voltai e iniziai a strusciare le mie natiche contro il suo cavallo dei pantaloni, poi con le labbra gli accarezzai la guancia , con le braccia alzate, stavo accarezzando i suoi capelli con le mie dita.

Erano duri a causa del gel che aveva messo per fissarli, leggermente puntigliosi, ma mi piacevano.

-Forse dovremmo andare in una stanza privata.- suggerì al mio orecchio. Io lo baciai, infilandogli impunemente la lingua nella bocca e poi sorridendogli e scuotendo la testa.

-Non ancora.- urlai lasciandolo lì e andando su uno degli innalzamenti liberi e iniziando a ballare da solo, con più libertà e sinuosità grazie allo spazio maggiore che avevo lì sopra.

Lui mi raggiunse e salì e io lo coinvolti, iniziando a sfrusciarmi, come un gatto e respingendolo di tanto in tanto.

Istigandolo, ricercandolo, baciandolo, mordendolo e spogliandolo appena.

Sorrisi perdendomi in quelle iridi azzurre, cercai di perdermi nelle illusioni, nel flusso martellante della musica, ma una parte di me era ancora lontana e mi urlava che c'era qualcosa di sbagliato,che quegli occhi avrebbero dovuto essere neri, che quel corpo sarebbe dovuto essere più alto, i capelli corvini, quasi blu e la pelle di un tiepido color pesca.

Fu allora, con la coda dell'occhio, mentre le luci iniziavano a far più vivide, mostrando di più la gente tra la folla, che lo vidi.

Perché il mio incubo mi inseguiva?

-Andiamo.- urlai a Dylan che ballava ignaro accanto a me, mentre io mi ero fermato e iniziavo a strattonarlo.

-Che succede?- mi chiese all'orecchio mordendolo.

-Mi è venuta voglia.- risposi trascinandolo giù e immergendomi tra la folla.

PoV Dominic

Quella era la quarta discoteca che facevo passare. Ero stanco, arrabbiato e frustrato.

Quel tipo di luogo non mi era mai piaciuto, lo avevo sempre evitato come la peste; la musica troppo alta, i cocktail che avevano un pessimo sapore e che molto spesso contenevano sostanze che era meglio non toccare, i corpi ansanti di ragazzi che andavano lì solo per saltare come tacchini e che lo definivano "ballare", per non parlare del forte mal di testa a causa del puzzo di fumo, chiuso e delle luce soffuse e violente allo stesso tempo.

Mi guardai attorno e per la prima volta ringraziai la mia altezza, che mi permetteva di avere una visuale abbastanza ampia e fu allora che lo vidi scendere da una delle pedane insieme a quello che potevo solo definire verme.

Cercai di non perderli di vista, facendomi spazio tra quella massa delirante fatta di carne sudore, ma le spinte erano troppo forti, erano come una forza centrifuga che non ti permettevano di muoverti liberamente, che guidavano il tuo cammino, che non notavano neppure la tua presenza.

Loro erano troppo lontani, grazie alle luci li vidi salire i pioli di quella scala a chiocciola che portava al piano superiore, quello delle stanze private che di certo non potevano permettersi tutti.

Cercai con tutta la forza che avevo di farmi spazio; spintonai persino la gente senza riguardo e non mi curai delle imprecazioni e delle bestemmie che mi furono tirate.

La mia unica urgenza stava nel riprendermi Jeremy, nel non scappare più. Ormai ero giunto al mio capolinea.

La consapevolezza che stava per farsi del male, che quell'altro non lo avrebbe mai amato come avrebbe dovuto; la consapevolezza dei miei sentimenti che ormai stavano straripando, che non potevo assolutamente più ignorare.

Non potevo sopportare di vederlo con altri, di non poterlo baciare, di vederlo farsi del male.

Non soffrivo più l'idea di comportarmi come un uomo insensibile, privandomi forse di qualcosa che poteva essere l'unica felicità davvero vera e sentita.

Appena arrivai a quella rampa di scale mi precipitai di sopra, quasi cadendo ad ogni passo.

Dovevo cambiare le cose, raggiungere quel peccato mortale che mi avrebbe portato all'inferno, ma alla quale non volevo più dire no.

Forse era solo l'impeto del momento, la rabbia e la delusione che la fuga di Jeremy mi aveva fatto nascere dentro; probabilmente avrei fatto forse lo sbaglio più grande della mia vita, ma uno "sbaglio" era ben differente da un "errore".

I tue termini potevano anche forse sembrar combaciare, ma tra loro vi era una sottile e al contempo profonda differenza che li rendeva come il cielo e il mare.

Il primo era qualcosa di cui potevi pentirti, ma avresti ripetuto mille, forse anche miliardi di volte; mentre il secondo era qualcosa che avresti per sempre voluto cancellare, che non avresti mai voluto esistesse. Un pentimento così forte da farti diventare, a volte, anche la più orribile delle persone.

E io sapevo quale sarebbe stato in quel momento lo sbaglio e quale l'errore.

Lo sbaglio sarebbe stato aprirgli il mio cuore e lottare per lui.

Il mio errore, lasciarlo andare fino a che non avesse toccato una deriva dal quale non sarebbe più potuto andar via.

Arrivato in cima feci un ultimo sforzo, coprendo quei metri che ci separavano grazie alla lunghezza delle mie gambe e gli afferrai il polso, bloccandolo prima ancora che potesse solo entrare in una di quelle salette private.

Lui si voltò e si irrigidì, guardandomi con sconcerto, sorpresa, rabbia, colpa e così tante emozioni insieme che non riuscii a leggerle tutte.

Quegli occhi verdi, marcati da quel trucco che non si era sbavato di un millimetro, così belli da volerci affondare.

-Che diavolo vuoi?- sbottò liberandosi malamente dalla mia presa, mentre il biondo gli cingeva la vita e mi guardava ostile come se fossi Satana in persona e forse lo ero, perché quella mano avrei voluto incenerirla, farla a pezzi, sbrindellarla, tagliarla e disintegrarla.

-Mi era sembrato di averti informato prima che eri ancora in punizione.- perché era sempre così difficile parlare con lui? Aprirgli il mio cuore?

-Sono già stato abbastanza alle tue regole mi sembra. Ora lasciami in pace e torna a casa tua.- quell'ultima parola mi ferii. Aveva detto "tua" e non "nostra".

-E' anche casa tua.- cercai di non far trapelare come quelle sue parole fossero state una stilettata dritta al mio petto.

-Sbagliato è solo un albergo.- si strinse di più a Dylan e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio e lui sorrise come un maiale in calore e arrapato con una banana al posto del pene: perennemente eretto.

-Ora vattene.- disse posando la mano sulla maniglia della stanza che gli era stata riservata, ma io lo bloccai prima, posando la mia mano vicino alla sua.

-Dobbiamo parlare.- due parole che facevano sempre paura, che potevano voler dire tante cose.

Che cosa gli avrei detto? Ormai la rabbia era scemata e al suo posto vi era solo tristezza, rabbia e gelosia.

Lui sbuffò stizzito. Sapevo che era tutta una finta, che quello non era il mio vero Jeremy, che quello reale aveva tentato di seppellirsi da qualche parte, poiché si sentiva debole e troppo esposto.

Sapevo fin troppo bene come ci si sentiva in quei momenti: fragili come vetri, liquidi come le lacrime e della stessa consistenza delle ceneri.

-Puoi farlo più tardi.- si intromise Dylan, ma non lo calcolai, i miei occhi erano solo per quelle pozze smeraldo che mi stavano osservando, cercando di capire cosa mi passasse per la testa.

-Dammi solo cinque minuti.- acconsentì alla mia richiesta e staccando la sua mano dalla maniglia.

Il mio cuore sembrò fare una piccola capriola, ma poi ebbe un brutta e brusca caduta quando baciò davanti a me quello che dopotutto era ancora il suo ragazzo.

-Cinque.- ripeté l'altro stizzito entrando nella stanza e lasciandoci soli in corridoio.

Jeremy rimase in attesa, ma non avrei parlato in quel luogo dove tutti avrebbero potuto sentire.

Gli presi un polso, delicatamente e iniziai a trascinarlo verso i bagni.

Era squallido, ma che altra scelta avevo mentre ascoltavo i battiti del suo cuore che pulsava irrequieto?

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