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Epilogue - I wanna live

You are My apple sin

Capitolo 22

"Epilogue - I wanna live"


Ti rivelerò un filtro amoroso, senza unguenti, senza erbe,

senza formule magiche: se vuoi essere amato, ama.

Ecatone

Pov Dominic

-Così è vero. - guardavo i documenti di quelle carte sparse per il tavolo di Conrad, che sedeva di fronte a me e mi guardava dolce e preoccupato.

-Strano il destino, non è vero? - chiese, prendendo uno dei documenti che facevano parte di un rapporto della polizia. Grazie alle sue conoscenze era riuscito ad averlo per me, anche se ero sicuro che dovesse aver oliato parecchi gomiti prima di riuscire ad entrarne in possesso.

Tale fascicolo era una copia dell'originale che raccoglieva tutti i dati su quello che era stato catalogato come un incidente, dove era morta un'unica persona: Adam Sin, il padre di Jeremy.

Il figlio assomigliava molto ad Adam, erano entrambi di un'indubbia ed eterea bellezza, entrambi capelli castani, pelle diafana, un sorriso disarmante, ma lui non aveva occhi smeraldini, bensì blu come il mare.

Presi un'altra foto, quella di Denna Marple in Sin, la donna che aveva dato alla luce la mela del mio peccato, a Jeremy. Aveva lunghi capelli biondi, occhi verdi come quelli del figlio, i tratti morbidi ed amorevoli. Era morta il giorno del parto, non aveva nemmeno potuto vedere il frutto del suo grembo, che le aveva tolto la vita solo a ventitré anni.

Mi chiesi se Jeremy avesse mai voluto sapere come fosse da quando aveva scoperto di non essere figlio di Lorelay.

-Che farai ora? - mi chiese Conrad, interrompendo il filo dei miei pensieri.

-Nulla. - dissi sincero, raccogliendo le carte e iniziando a riporle -Certe verità è meglio portarle nella tomba. - soprattutto quando esse avrebbero solo riportato caos in una vita che si era appena fatta tranquilla.

Jeremy si era finalmente ripreso, ci saremmo sposati tra meno di due settimane, andava periodicamente da uno psicologo che ormai era sempre più convinto che stesse bene; aveva persino smesso con gli antidepressivi. Quella verità, quella nascosta in quei documenti, lo avrebbe solo distrutto.

-Ma tu riuscirai a sopportare il peso, Dominic? - mi chiese, alzandosi e venendo verso di me, posando una mano sulla mia spalla, come a farmi forza, per sostenermi.

-Devo. Non so se esiste un Dio, Conrad, io in lui non ci ho mai creduto. - mi voltai, alzando lo sguardo verso di lui e sorridendo triste -Ma se esiste e mi ha portato da Jeremy è perché voleva che gli restituissi qualcosa che io tempo prima, senza saperlo, gli avevo portato via. - tornai a guardare quelle carte, quei referti scientifici che per me erano inutili, perché sapevo esattamente tutto quello che c'era scritto senza aver studiato il caso. Come? Ero stato io stesso il suo assassino.

Io avevo ucciso Adam Sim su commissione di Lorelay anni prima, quando il mio nome non era ancora Dominic, ma un altro, quello di un giovane killer senza volto che aveva imparato ad usare armi e pistole troppo presto, per difendersi dall'amara e oscura verità dalla vita, che aveva stroncato vite di innocenti e colpevoli solo per denaro, per sopravvivere.

-Non è colpa tua, Quella parte fa parte del tuo passato. Quel Dominic non esiste più. - cercò di consolarmi mio padre.

-Nessuno smette di essere ciò che è. Sono stato un assassino e porterò il peso del sangue sulle mie mani per sempre, anche all'Inferno. - mi alzai e posai una mano sulla spalla di quella figura di riferimento che mi aveva tirato via da quella vita pericolosa, sbagliata.

-Ma c'è un motivo se ho regalato la collana con le piastrine a Jeremy. L'ho fatto per ricordarmi ogni giorno che lui è l'espiazione dei miei peccati, anche se non lo merito voglio che sia felice e non solo perché ho ucciso suo padre, quello che è fatto è fatto, ma perché lo amo. - feci scivolare via la mia mano da lui e mi diressi verso la porta, afferrai la maniglia fredda di ottone e l'abbassai.

-Non gli dirò nulla. - mi promise Conrad. Io annuii ed uscii, lasciandomi alle spalle quel segreto che sarebbe stato celato in un angolo di me, insieme al pezzo del mio passato che non avrei mai rivelato, sul quale avevo mentito.

Pov Jeremy

Finalmente avevo finito di disfare gli scatoloni e riporne il contenuto nei vari ambienti di quell'appartamento enorme e lussuoso che era situato in uno dei grattacieli più belli della città. Da lassù, la notte, si poteva vedere benissimo il mare di luci che solo da quel punto si poteva avere il privilegio di godere.

Dominic quel giorno mi aveva abbandonato, ma non mi importava; a volte, anche se ormai stavo bene, era troppo iperprotettivo. Era così preoccupato per me che non mi faceva neppure tenere in mano un dannato coltello per tagliarmi una mela e io mi divertivo sempre più spesso a farlo apposta solo per fargli saltare i nervi e saltargli addosso. Dopotutto non era una tradizione per le coppiette appena sposate consacrare casa? Noi non eravamo ancora sposati, ma che differenza poteva fare. Ci amavamo e tanto bastava.

Con solo un maglione addosso troppo largo, ovviamente di Dominic, e i boxer addosso mi diressi verso di divano nuovo, bianco immacolato che risaltava su quel pavimento nero e le pareti rosse spugnate di bianco, e alzai il braccio sinistro verso l'alto, divertendomi a far scintillare l'anello che brillava al mio anulare.

Alla fine avevo deciso di rivelargli cosa fosse successo durante il mio periodo di permanenza alla clinica, mi ero vergognato a morte, mi ero sentito ancora più in colpa nell'ammettere davanti a lui che lo avevo tradito con Nathaniel, ma il mio modello comprensivo come sempre mi aveva solo abbracciato, dandomi il suo perdono.

Non me ne aveva fatto una colpa, come io non gliel'avevo fatta nell'ascoltare le motivazioni del suo allontanamento; per quanto fosse stata una cosa stupida. Io non volevo che mia "madre" mi perdonasse, avevo solo bisogno di lui. Avevamo sbagliato, entrambi, ma l'importante era che alla fine ci fossimo riappacificati e compresi, amati come il primo istante.

Sapevo che qualcosa era cambiato nella nostra relazione, ma non in peggio.

Alla fine tutte quelle esperienze si erano rivelate utili per crescere, sia per me che per lui. Poi finalmente non restavamo più solo chiusi in casa a fare l'amore e a coccolarci, o anche a litigare di tanto in tanto, ma lui mi portava sempre più spesso fuori, alle sue noiose cene da cui scappavamo sempre per andare ad appartarci da qualche parte o solo per il gusto di camminare mano nella mano, per strada, senza più paura di essere giudicati (anche se era inevitabile a causa della vistosa differenza di età, ma nessuno avrebbe potuto dire nulla visto che ero finalmente maggiorenne).

Ogni Domenica andavamo anche da Conrad, a passare una giornata in famiglia allegramente, compiendo piccoli viaggi o giocando a carte.

Avevo ripreso la scuola di ballo e ormai mi stavo avviando per essere un vero professionista; tanto che in pochi mesi sarei entrato in una prestigiosa compagnia. Ciò avrebbe comportato viaggiare e allontanarmi di tanto in tanto da Dominic, ma lui aveva compreso quanto per me fosse importante, quanto avessi bisogno di farlo e si era offerto di venire di tanto in tanto ai miei spettacoli quando possibile e a patto che non rimanessi indietro con la scuola. Non che di quest'ultima mi importasse davvero; preferivo danzare piuttosto che stare seduto ad un banco per cinque o anche sei ore a tentare di venire fuori da tutta quella matematica o chimica.

Avvicinai l'anello alla mia bocca e sorridendo vi posai un piccolo bacio.

Ero felice, come credevo di non esserlo mai stato. Finalmente la mia vita sembrava un punto stabile, fermo, poi la consapevolezza che Dominic sarebbe per sempre stato con me era qualcosa che mi tranquillizzava e che mi faceva toccare il cielo con un dito.

In quel momento squillò il telefono di casa. Non pensai fosse strano, essendo che era nuovo e in pochi lo conoscevano, pensai solamente che fosse Dominic che mi chiamasse per sapere a che punto ero con gli scatoloni o se ero stato mangiato da loro o dal morbido puff davanti alla console nuova che mi aveva comprato come regalo di compleanno, insieme a una varia gamma di videogiochi che gli avevano fatto guadagnare una notte parecchio bollente.

Camminai fino in cucina, dove avevamo provvisoriamente appoggiato sull'isola il telefono e sorridendo lo presi.

-Pronto? - risposi, ma appena l'altra voce parlò, gelai per un istante.

-Sembra che tu sia ancora vivo fetido ratto. - la voce di Lorelay era piena di veleno come sempre, anche se ormai non poteva farmi più nulla.

Chiusi gli occhi, presi un respiro profondo. Non dovevo lasciarmi trascinare giù, non di nuovo, perché lei ormai era solo un capitolo chiuso della mia vita e che mai avrei riaperto di nuovo.

-Posso fare qualcosa per te? Altrimenti ti auguro una serena vita in gattabuia o tra le fetide e sporche strade malfamate della Downtown. - riaprii gli occhi e tornai in soggiorno, poggiandomi con una spalla al vetro freddo dell'enorme vetrata che dava su tutta la città.

Me la immaginai da qualche parte, tra quelle vie, con vestiti sporchi, unghie nere e capelli sfibrati. Dopo aver compiuto diciotto anni avevo finalmente ricevuto la mia eredità, era meno della metà di quando avessi dovuto ricevere, ma poco mi importava dei soldi. Ero ricco lo stesso, dentro di me.

Come diceva il buon Seneca, essi erano solo un ausilio.

-Finire ciò che hai iniziato: muori. - a quella risposta risi. Lo sapevo che l'avrebbe detto, ma questa volta ero forte ed ero pronto.

-Scusa, ma non credo lo farò. La mia vita appartiene a Dominic e non a te; ora se vuoi scusarmi voglio impiegarla in attività più piacevoli. Stare al telefono con te rientra nello sprecarla, quindi non chiamare più. - staccai la chiamata senza aspettare la sua replica.

Mi sentivo felice, leggero e anche realizzato, mentre sentivo una chiave girare nella toppa della porta di casa che finalmente avevo imparato a chiudere per gran sollievo e felicità del mio fidanzato, che comunque ogni volta che era via mi chiamava sempre per accertarsi che fosse così.

Mi si avvicinò e mi cinse la vita da dietro, baciandomi dolce il collo mentre io infilavo una mano tra i suoi capelli.

-Chi era? - chiese soffiando dolce sulla mia pelle, facendomi venire qualche brivido.

-Nessuno. - risposi e non fu perché non volevo dirglielo, ma perché reputavo quella persona meno di niente.

Era stata un punto importante della mia vita, ma quello era nel passato e ora camminavo in avanti, verso il futuro con l'unica persona che davvero volessi accanto a me fino alla morte: Dominic.

-Meglio così... questa sera vuoi pranzare fuori? - mi chiese facendomi piroettare per avermi di fronte a sé. Su mia insistenza aveva preso qualche lezione di ballo e ormai era diventato davvero bravo, così tanto che qualche volta ci divertivamo ad andare a una quelle noiose feste dove solitamente andavano i vecchi o i ricchi sotto il naso a ballare il valzer o il tango, anche io preferivo di gran lunga le serate in discoteche, perché sotto le luci stroboscopiche potevamo baciarci e sfrusciarci l'un l'altro molto meglio, ma sapevo che lui non era dello stesso avviso.

-Pensavo di restare qui a casa in realtà. - mi alzai sulle punte e raggiunsi le sue labbra, mentre lanciavo da qualche parte il telefono che speravo si rompesse irrimediabilmente, perché per quanto mi riguardava era inutile, e iniziai a sbottonargli la camicia.

-Oh, quale angolo della casa vuoi consacrare? - chiese malizioso, alzandomi il nero maglione e buttandolo da qualche parte.

-Pensavo proprio questo punto della vetrata. Tanto siamo talmente in alto che nessuno potrebbe vederci. - portai una gamba intorno alla sua vita e lui mi aiutò a portare anche l'altra, per poi posare le sue mani sulle mie natiche, palpeggiandole e facendomi gemere, mentre vibravo come una corda di violino contro il freddo vetro.

-Pensavo volessi tenertela per la notte di nozze. - sospirò sulle mie labbra, mentre gli toglievo la camicia e scoprivo quel glabro e scolpito petto immacolato.

-Ho cambiato idea. - sorrisi baciandolo e cercando di darmi sollievo da solo.

Farlo contro quella superficie fredda non fu una delle mie idee migliori, era parecchio scomoda e le spinte impetuose che ricevevo non avevano aiutato la situazione, ma fu molto eccitante e piacevole.

Sentire le sue mani sulle mie natiche, suoi miei fianchi, i piccoli baci sulla mia schiena, dolci morsi sulle mie spalle, il respiro sulla pelle accaldata e sudata, mentre avevo la netta sensazione che il mondo ci stesse guardando fu unico, ma forse a essere unica era solo la compagnia, che rendeva belle anche le cose brutte.

Ormai lo avevo compreso: Dominic era il mio pilastro, l'obbiettivo a cui tendere, la spalla su cui piangere, l'orecchio a cui sussurrare ogni più piccolo segreto.

Lo amavo e sapevo che non mi avrebbe mai distrutto, perché ciò che provavamo l'uno per l'altro era vero.

Non sapevo cosa mi riservava il futuro, non potevo prevederlo; non avevo nessun potere magico che mi dicesse cosa vi era scritto sul libro del mio cammino, ma ero sicuro di una cosa: non vi sarebbe mai stata posta la parola fine, nemmeno dopo la mia morte, ma l'ultima parola che vi sarebbe stata scritta sarebbe stata quella che portava il suo nome: Dominic, e forse quella di un'altra persona, un piccolo bambino dai capelli rossi e gli verdi come i prati d'Irlanda.

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