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Capitolo 3: I ricordi non se ne andranno

«Signor. Dunbar, sempre in ritardo... Noto!»
Lo rimprovera la professoressa.

«Mi scusi! Ho... perso l'autobus!»
Cerca di giustificarsi il ragazzo.

«Tu hai la macchina, e vieni ogni giorno a scuola con quella.»
Dice la professoressa mettendosi una mano tra i capelli.

«Ehm... Oggi volevo, cambiare... Volevo...»

«Liam vatti a sedere!»

«Subito.»
Obbedisce il ragazzo arrendendosi, venendosi a sedere nel posto libero vicino al mio.

Osservandolo noto che è abbastanza timido e disorientato; subito girandosi, saluta calorosamente un ragazzo di colore seduto sulla sua destra, anche lui sembra carino.

In questo ragazzo c'è qualcosa di strano, ma altrettanto familiare. 

Da molto tempo non mi capita un cosa del genere; forse è Beacon Hills che mi fa questo effetto, oppure sono solo io che sono pazza.

La lezione inizia e solo dopo cinque minuti capisco che sarà una noia mortale.
Decido così di prendere un foglio e iniziare a disegnare, una delle miei passioni.

Fin da piccola sono stata sempre elogiata per le miei doti nel disegno, dalle insegnanti e dai miei compagni di classe.

Il disegno libera la mia mente da tutte le cose, positive e negative che ci sono in questo mondo, trasportandomi in uno tutto mio, dove ci sono solo io e... i miei genitori.

Avevo promesso a me stessa di non pensarci più, di non ripercorrere più il ricordo di quella notte.

Maledetta me stessa.

Se non avessi scelto quella strada, la strada sbagliata, la scorciatoia, non avrei sottovalutato le conseguenze del mio tremendo gesto.

Tutte le sere, prima di dormire, mi faccio sempre la stessa domanda:

-Perché l'ho fatto?-

Potevo vivere come una ragazza normale, con i proprio genitori che la rimproveravano per i brutti voti, che le stavano vicino, che l'aiutavano nei momenti difficili; che erano la sua ancora di salvezza durante la tempesta.

Se ripenso a loro non riesco a non pensare a quell'essere; quell'essere che si avventò su di loro senza nessuna pietà.

A lui ero molto affezionata, era come il mio secondo padre; in fondo mi aveva quasi cresciuto e non pensavo potesse mai fare una cosa del genere.

Poi però andammo oltre, un sottile limite che non bisogna mai superare se vuoi ancora che le persone che ami stiano vicino a te.

I suoi occhi, i suoi occhi rossi che andarono verso loro due non me li scorderò mai.

I suoi artigli che infliggevano pesanti colpi sui loro corpi ormai insanguinati.

Le urla di dolore, di terrore, di tristezza che riecheggiavano nella mia mente e che tutt'ora non si sono mai fermate.

I suoi denti... I suoi denti appuntiti che prendevano a morsi ciò che rimaneva, di loro, delle persone più importanti per me; della mia vita.

Ricordo solo che andai verso quella creatura, ancora sporca del loro sangue, del mio sangue.
Aveva ancora gli occhi rossi e sorrideva con il suo solito ghigno.

Mi avventai su di lui con tutte le mie forze ma non reagì; mi guardò negli occhi per vari minuti e poi si scrollò me di dosso,  scaraventandomi sulla parete opposta con una forza che tutt'ora non mi so spiegare.

Lo guardai furiosa e l'unica cosa che mi disse prima di andarsene fu:

"Tu non sei una di noi."

Quella frase, quella semplice frase racchiude tutto i mio dolore.

Lui e i suoi compagni mi lasciarono lì, avvolta dal sangue e dai resti della mia vita perfetta.

I volti sulle facce di mamma e papà non me li scorderò mai; quell'immagine è impressa per sempre nel mio cuore, come un tatuaggio, come una ferita aperta che non può guarire.

I loro occhi erano puntati su di me, come se sapessero tutto, come se fossero a conoscenza del mio grave errore; sapevano che erano morti per colpa della loro amata figlia e del suo egoismo totale.

Sentivo le sirene della polizia avvicinarsi e non riuscì più a trattenere l'urlo di dolore che per tanto tempo si stava facendo strada nella mia crudele vita.

Un urlo di liberazione, quasi terapeutico, ma sapevo che non sarebbe durata a lungo questa calma apparente.

Mi distesi vicino ai loro cadaveri mutilati, come fa un leone con le sue prede, fino all'arrivo dello sceriffo.

Le lacrime scendevano più veloci che mai sulle mie guance fredde; non volevo abbandonarli, non volevo farlo di nuovo, per nessuna ragione.

Il suono della campanella mi riporta al mondo reale.

Sono già passate tre ore e, con l'uscita anticipata, è il momento di ritornare a casa.

La classe è quasi tutta vuota, a parte me, la professoressa e un ragazzo ancora seduto.

Mi accorgo solo dopo i segni che hanno lasciato le lacrime sul mio viso; le asciugo in fretta con la manica del maglione, sperando che nessuno abbia visto... Troppo tardi.

«Hey, va tutto bene?»
Mi chiede il ragazzo arrivato in ritardo e dagli occhi azzurri seduto vicino a me. Credo si chiami Liam, ma in questo momento sono troppo confusa per ricordarmene.

«Sì.»
Dico di sfuggita, nascondendo tutto dentro lo zaino.

Si alza dal suo banco e viene lentamente di fronte a me.

«Sicura?...»
Mi chiede, guardando il disegno che avevo appena finito.

Il mio sguardo si posa sul quel foglio di carta completamente disegnato a matita.
Riconosco due grandi occhi rossi che mi fissano e tutt'intorno oscurità, una grande oscurità.

«Sì.»
Dico quasi offesa.

Subito afferro il foglio e lo accartoccio; mi alzo, prendo lo zaino ed esco dalla classe dirigendomi sempre più veloce all'uscita della scuola.

Nel parcheggio vedo la jeep di Stiles lì ferma ad aspettarmi; la raggiungo e apro di scatto la portiera.

«Hey, com'è andat...»
Mi chiede Stiles ma lo interrompo non lasciandolo finire la frase.

«Bene.»
Dico di fretta.

Stiles, senza farmi domande, mette in moto e insieme arriviamo a casa sua.

Passo  tutto il pomeriggio a pensare al disegno e a quegli occhi rossi, fissando quel borsone rosa che presto mi sarebbe servito.

"Glielo devo dire"
"Non ho più tempo."

Penso tra me e me.

È un segreto troppo grande e se non glielo dico io lo verrà a scoprire lui, e non sarà piacevole.

Mi faccio coraggio e apro lentamente la porta della mia stanza.

Mi dirigo verso le scale, ma dal piano terra sento delle voci, voci di varie persone che parlano tra loro.

«Non sto scherzando, sembrava veramente strana...»
Dice una voce maschile che mi è subito familiare.

«E quindi che facciamo?Andiamo a cercarla?»
Dice una ragazza.

«No, desteremo sospetti inutili...»
Ribatte qualcun altro.

Inizio a scendere piano le scale e capisco subito che le voci arrivano dalla cucina.

«Io direi di continuare come se nulla fosse e magari sarà lei a venire da noi»
Riconosco la voce di Stiles.

«Secondo me è una pazzia! Insomma... Questa "ragazza nuova" potrebbe essere semplicemente un'umana con problemi...»
Ribatte un'altra voce femminile.

«Ho sentito quella sensazione quando stavo vicino a lei; era molto debole, ma c'era.»
Dice il ragazzo che ho sentito per primo.

«Forse era un compagno vicino, forse...»

Decido di entrare in cucina per vedere ciò che sta succedendo e per parlare finalmente con Stiles.

Appena apro la porta lo vedo appoggiato al muro, ma come sospettavo non è solo: intorno al tavolo riesco a contate sei ragazzi, circa dell'età di Stiles, che mi fissano confusi.
Forse più di quanto lo sono io in questo momento.

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💥Note dell'autrice💥

Hey ciao a tutti, spero che questo terzo capitolo di "You are my anchor" vi piaccia.

[ uscita prossimo capitolo sabato 18/11 ]

Un bacione
_rebelfire_

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