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Capitolo 1: Caro passato

«Quanto manca?»
Mi lamento, stanca del lungo viaggio, guardando le notifiche sul telefono.

«Non molto, tesoro.»
Mi risponde mia mamma con gli occhi rivolti verso il cielo.

Spengo il cellulare e guardo fuori dal finestrino.

Eccola lì, Beacon Hills.

Non me la ricordavo così.

L'ultima volta che ci sono stata l'atmosfera era gioiosa, luminosa; ora è solo una cittadina tetra e buia.

Si può quasi intravedere la rabbia e l'indifferenza delle persone che ci guardano mentre passiamo attraverso la strada principale, che ci porta direttamente alla casa del mio adorato cuginetto.

Forse ho passato troppo tempo a Chicago, da non accorgermi cosa stava accadendo qui.

Là è tutto diverso: l'ambiente è più vivo e raggiante, i volti sorridenti dei passanti e la musica che tutte le sere anima il centro; là è tutto normale, fin troppo normale.

A un certo punto mio padre svolta verso destra e accosta davanti a una casa abbastanza grande: le pareti esterne sono di un color azzurro pastello non molto acceso; la porta d'entrata e le finestre sono fatte di legno dipinto di un color crema, proprio come quelle della mia vecchia casa...

Se si guarda meglio , si può intravedere il piccolo garage che si trova nel giardino dietro la casa; mi ricordo che da piccola io e mio cugino ci divertivamo tantissimo a giocare a nascondino dentro quella misera struttura, ma a noi piaceva così tanto che gli zii ci dovevano portare via con la forza, quando era ora di magiare.

Tutta la casa e il giardino sono circondati da una staccionata sempre in legno e del medesimo colore della porta, che quasi confonde il piccolo cancello collegato al vialetto.

«Ora siamo arrivati!»
Mi avverte papà, sorridendo.

Sbadiglio e afferro il mio zaino prima di scendere dalla macchina.

Quando esco prendo un grande respiro, ma nell'aria non si sente nulla, o meglio, non sento il profumo dei fiori o dell'erba appena tagliata; sento solo un lieve odore metallico, come il ferro di un proiettile bruciato.

«Pronta a rivedere il tuo cuginetto?!»
Esclama mia mamma risvegliandomi dai miei pensieri.

Subito dopo la porta della casa si spalanca ed esce un uomo così tanto familiare che subito gli corro incontro per abbracciarlo.

«Zio!»
Urlo salutandolo.

«Oh Sophie, che bello vederti!»
Mi saluta, ricambiando l'abbraccio.

I mesi scorsi sono stati abbastanza duri per me, sia emotivamente con l'abbandono da parte dei miei amici che si godettero le loro vacanze in Florida, sia psicologicamente con l'affrontare tutta, o quasi, un'estate da sola.

Ora però sono felice finalmente; la mia famiglia mi mancava.

Sto ancora sorridendo quando dietro di lui arriva un ragazzo: è alto e magro, con i capelli di un marrone scuro e gli occhi ambrati; sembra confuso quasi quanto me.

«Sophie?!»
Dice lui stupito.

«Stiles!»
Urlo io.

«Oh, Ehm... Non mi aspettavo che...»
Dice imbarazzato, ma gli corro in contro e lo abbraccio così dolcemente da non fargli finire la frase.

«Mi sei mancato cuginetto!»
Dico, sottolineando l'ultima parola.

Lui ricambia baciandomi dolcemente sulla fronte; in tutti questi anni non è mai cambiato.

Io e lui siamo sempre stati come fratello e sorella.

Fin da piccoli passavamo tutti i weekend insieme, alcune volte a casa mia, altre a casa sua; o almeno fino a quando abitavo qui a Beacon Hills.

Da quando mi sono trasferita, cinque anni fa, la nostra fratellanza si è via via sgretolata; io non avevo più sue notizie e lui non ne aveva di mie.

Finalmente lo rivedo e devo dire che è un gran bel cugino; per ora è l'unica cosa buona di tutto questo posto.

«Cosa ci fate ancora qui? Entrate! Accomodatevi!»
Dice lo zio Stilinski, l'ho sempre chiamato così fin da piccola, e credo lo chiamerò così per sempre.

«Prima le cugine troppo belle per essere quelle di Stiles.»
Dice Stiles, inchinandosi e indicandomi la porta.

«Oh, allora manca!»
Dico ridendo, e andando verso la porta.

La casa è esattamente come me la ricordavo: calda, accogliente, ma c'è qualcosa di diverso.

Noto subito una luminosa foto attaccata sulla parete di fronte a me; vedo due volti giovani e sorridenti, riconosco subito lo zio e... la zia.

Ricordo quando lo zio mi parlò di lei, della donna che più aveva amato; mi disse che era una donna perfetta, sempre sorridente e disponibile.

Qualcosa però andò storto; lo zio mi raccontò che, dopo un travaglio durato più di dodici ore, il medico andò da lui con il piccolo Stiles in braccio.

Il dottore gli raccontò tutto: di quanto era stata forte e coraggiosa sua moglie; di quando era bello il loro figlio;  dello sguardo che aveva lei appena visto il loro piccolino; e di come chiuse serena gli occhi per poi non riaprirli più.     

Lo zio prese subito in braccio Stiles; lo guardò a lungo ma, non pianse.

Non pianse perché pensò che la sua amata si trovasse in un posto migliore, non pianse perché pensò che lei gli aveva dato il dono più grande che chiunque gli potesse mai dare, non pianse per il piccolo ed ingenuo Stiles, addormentato tra le sue braccia.

"Ricordati Sophie, per una vita bisogna sempre darne in cambio un'altra"

Mi disse questa frase proprio al dodicesimo compleanno di Stiles, e all'anniversario della morte della zia.

Guardo mio cugino con gli occhi lucidi, che mi sorride stupidamente; come solo Stiles sa fare.

«Stiles vieni ad aiutarmi con le valigie!»

Dice lo zio a Stiles che lo raggiunge correndo.

Vado verso il grande tavolo in cucina, dove io e lui disegnavamo da piccoli.

Le calamite delle nostre iniziali sono ancora attaccate sul frigo:

«Ci chiamavamo le super S.»
Dico con malinconia a mia mamma che mi sta raggiungendo.

«E lo siete ancora!»
Mi rassicura.

«Ce le aveva regalate mio papà, quando le aveva comprate nel supermercato qui vicino.»
Aggiungo in tono cupo.

Mi manca terribilmente.

Certo, Katia e Adam sono dei genitori perfetti: mi hanno sempre sostenuta e non mi hanno mai intralciato sulle scelte che decidevo di compiere; ma non sono come la mia mamma e il mio papà, quelli biologici, quelli veri.

Quella notte ero a casa, insieme a loro e tutto d'un tratto... È stata solo colpa mia.

Tutte la scelte sbagliate che avevo preso hanno fatto del male proprio alle persone a cui tenevo di più.

Il rimorso mi sta logorando da quella sera, da quella fottuta sera in cui il mio mondo crollò in mille pezzi, senza poterlo mai più ricostruire.

"Un attacco di un orso" dicevano i giornali.

"Un animale feroce scappato da una riserva..." giravano le voci.

Nessuno sa com'è andata la storia e nessuno lo dovrà mai sapere.

Sto per esplodere con tutte le emozioni contrastanti che mi percuotono, me ne rendo conto; sto solo ritardando l'esplosione.

Un suono metallico mi risveglia dai miei pensieri.

«Fa piano con quella!»
Dico a Stiles che sta portando al piano superiore il mio borsone rosa.

«Ma cosa mettete voi ragazze nelle borse?»
Dice affaticato dal peso del borsone.

«Cose che i ragazzi non devono sapere!»
Ribatto io, prendendogli la borsa dalle mani e portandola al primo piano.

Arrivata sul pianerottolo apro la porta bianca che mi trovo davanti.

Appena entro noto subito il grande letto al centro della piccola stanza con le pareti grigio chiaro.

Appoggio la borsa ai piedi dell'armadio di legno e apro le tende dell'unica finestra della camera, che da direttamente sulla strada quasi desolata.

Mi siedo sul comodo letto e mi tolgo le scarpe.

Glielo dirò, gli dirò la verità.

Stiles è mio cugino, non mi giudicherà e spero che il nostro rapporto non cambi.

Penso tra me e me guardando quel borsone rosa che da un po' ho iniziato ad odiare.

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💥Note dell'autrice💥

Hey ciao a tutti, spero che questo primo capitolo vi piaccia.

[uscita prossimo capitolo sabato 4/11]

Un bacione
_rebelfire_

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