♡︎ capitolo diciotto
«Quindi, se ho capito bene, tu mi hai chiamato per questo motivo?» domandò, per la terza volta, puntando un dito contro Richard, impegnato a mordersi le unghie.
«Non ci posso credere» continuò, mettendosi in piedi. Entrò in cucina borbottando qualcosa.
«Beh, mi dispiace, ma potresti accompagnarla, no?» domandò Rick, alzando il tono voce.
«Sì, come no, e per quale motivo dovrei farlo?» la domanda fu seguita dal rumore di un vetro che cadde a terra, per poi andare in frantumi. «Cazzo» imprecò.
Ci alzammo di scatto e lo raggiungemmo, trovandolo in ginocchio mentre raccoglieva i cocci di vetri immersi in un liquido giallo. «Che è successo?» chiese Matt, portando tutto il peso sulle ginocchia, aiutandolo.
«Ma che cazzo ne so, la stavo aprendo e mi è scivolata dalle mani» insinuò, buttando il vetro dentro il lavandino e alzandosi.
«Quella era l’ultima, lo sai?» Richard gli passò accanto, mettendosi in punta di piedi per evitare la birra sul pavimento.
«Questa si apre, qua dentro non si respira» disse Matt, poi si avvicinandosi alla finestra… aveva ragione, dentro quella cucina si era diffuso l’odore agre della bevanda, ma non solo. Sentimmo un odore ancora più sgradevole, fin dentro le narici. Feci una smorfia, non capendo da dove provenisse quella puzza rivoltante.
«Richard! Fai schifo!» sputò Zack, correndo verso la finestra, e mettendo fuori la testa per respirare.
«Scusate, avevo mal di pancia» si giustificò, passando una mano su di essa. Scoppiai a ridere e fui seguita da Matt, poi mi staccai dal muro e, a passo veloce, sotto lo sguardo di James, raggiunsi Zack.
«Dio, che puzza, che schifo ti sei mangiato?» domandò James, portando la mano davanti al naso e la bocca, e scappando verso il salotto.
«Beh… prima un biscotto, due… anzi tre».
«A casa non abbiamo biscotti, Rick» disse Matt, disgustato.
«Sì che ci sono…» continuò, serio, mostrando la busta.
«Sei idiota? Sono scaduti da una vita, non farlo più»
«Ma sono al cioccolato» disse, piagnucolando.
«Fa’ come vuoi, ma, la prossima volta, scoreggia altrove» Matt afferrò il vetro dal lavabo e lo buttò dentro la pattumiera. Dopo, tornammo in salotto.
James era tranquillo, seduto sul divano. Teneva le gambe aperte e, fra le mani, il suo telefono. La luce che lo illuminava metteva in risalto la barba sul viso. Prima di sedermi sulla poltrona, guardai l’orologio e segnava le ventuno, stranamente il mio stomaco non brontolava.
«Io vado a dormire, domani devo alzarmi presto» Richard si avvicinò a me, schioccandomi un bacio sulla guancia.
«Tu, presto? Sentiamo, cosa devi fare?» chiese Zack, fissando l’amico che, pian piano, saliva le scale.
«Devo lavare Sidney».
«La sua tartaruga. La tiene in camera» Zack mi guardò, unendo le labbra in un sorriso piatto.
Subito dopo, salì anche Matt, dicendo che domani avrebbe aperto la biblioteca in anticipo. Io lo ringraziai con lo sguardo per aver accettato la mia proposta: quella sera avrei dormito sul divano al suo posto.
«Allora, James, potresti accompagnarla in un centro commerciale o un negozio?» domandò Zack, per poi sbadigliare e allungare le braccia sopra la testa.
James aveva ancora il telefono in mano, le sue dita si muovevano svelte sopra lo schermo. «No, ormai i negozi saranno chiusi» disse, concentrato.
«Siamo a Boston, idiota, i negozi non chiudono mai prima delle due». Zack gli strappò il telefono dalle mani.
«Ehi! Non rompere! Stavo superando un livello difficile» brontolò, allungando la sua mano per cercare di recuperarlo, ma Zack lo allontanò ancora di più.
«Dai, accompagnala, che ti costa?».
James lo ignorò.
«Va bene, ho capito» continuò, buttandogli il telefono addosso, arrendendosi. «Io vado a dormire. Fate come volete». Spalancai gli occhi. No… non potevo credere che mi avrebbe lasciata con James.
Guardai Zack, cercando di mandargli dei messaggi con lo sguardo, ma lui mi salutò, augurandomi la buona notte per poi salire le scale. Grazie, grazie mille. Incrociai le braccia al petto, guardando un punto a caso del salotto.
«Dai, lo faccio solo perché devo comprare la birra» la voce roca di James spezzò il silenzio. Si alzò e, dopo essersi sistemato, afferrò le chiavi della sua macchina e mi guardò. «Senti» disse, «alza quel culo prima che cambi idea».
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