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3

«Scu-scusa.»
«Sta attenta a dove vai, nuova.»
«Ho un nome.»
«Anch’io e faresti bene a saperlo.»

La ragazza se ne andò non mancando di assestarle una spallata da cafona. In cuor suo Lena già la odiava, senza nemmeno conoscere il suo nome.

«Ehi, eccoti!» Rebbi le correva incontro, accompagnata da altre due donne. «Loro sono Maria e Sonia. Ragazze, lei è Lena.»

Entrambe le strinsero la mano, sorridendo gentili, ma lei era ancora troppo presa dalla sconosciuta stronza per calcolarle a dovere.

«Se hai fame vieni con noi. Sei in tempo per il pranzo» le disse Rebbi distogliendola dalla sua stizza.

Seguì le tre donne per i corridoi, una rampa di scale, in quello che sembrava un edificio abbandonato. Pezzi di mobili erano sparsi per il pavimento, sporco, ragnatele agghindavano i muri e l’intonaco alle pareti era rovinato. L’aria odorava di muffa e di stantio.

Almeno si era guardata un po’ intorno, pensò scacciando il pensiero che comunque non sapesse dove si trovava. Genna colorava le immagini tetre di quel posto mentre i passi suoi e delle tre accompagnatrici risuonavano nella luce fioca dell’ambiente.

Sbucarono in una grande sala che pareva adibita a mensa. Un grande tavolo capeggiava al centro con molte sedie e una panca di legno. Sparse per la sala altre sedie e poltroncine o panche solitarie e qualche piccolo tavolino rotondo. Lì un buon odore di zuppa di pomodoro aveva preso il posto della muffa e le sue narici vi si riempirono ricordandole l’ultima volta che aveva mangiato. Il suo stomaco brontolò e Lena rivide Genna e i due amici gustare soddisfatti gli ultimi panini al formaggio che avevano portato con sé.

“Genna…” Dov’era? Che fine aveva fatto?

«Accomodati pure dove vuoi, ma prima và pure a servirti lì.»
Rebbi le indicò una specie di cucina, in verità un insieme di diversi pezzi di mobilio messi assieme con molti angolo cottura. Da lì veniva il profumo.

«Grazie.» Rimandò a Rebbi un sorriso, poi si diresse alla cucina. Dietro un bancone una donna un po’ in carne rimestava con un cucchiaio di legno dentro una pentola. Senza degnarla di un’occhiata la donna prese un piatto - ne aveva una pila accanto - e lo riempì con una zuppa rossastra. Glielo porse senza tanti complimenti.

Lena sussurrò un grazie prendendo in mano il piatto, sentendosi un pesce fuor d’acqua. Si guardò intorno. I suoi occhi scorsero subito una figura lontana da tutti, in un angolo. Senza pensarci si avvicinò e si sedette su una panca disposta lungo la parete accanto a dove stava lui.

Cominciò a mangiare, assecondando lo stomaco brontolante e nel frattempo lo osservava. Maglione spesso di un paio di taglie in più, gambe asciutte in jeans anch'essi troppo larghi, un viso carino celato in parte da un ciuffo di capelli argentei. Era un colore di capelli parecchio strano. Immaginò facesse la tinta, ma dove la trovava? E chi avrebbe pensato di tingersi i capelli col caos che l’umanità stava affrontando? Com’era strano poi vedere capelli così poco curati, stopposi e disordinati e abiti malmessi in chi si faceva la tinta.

Mangiava distrattamente, senza guardare, i bocconi che percorrevano quasi da soli la strada per arrivare alla bocca, assorbita da tanta stranezza in una sola persona. Era anche certa però, che quel ragazzo fosse decisamente carino e un bollore nel basso ventre glielo confermò.

«Ehi, sei quella nuova?»

Quasi le cadde la cucchiaiata di zuppa dalla sopresa. Non pensava che qualcuno le avrebbe rivolto la parola. Era una ragazza, sulla trentina immaginò. I folti ricci a cavatappi di un naturale castano rossiccio, corti a caschetto, rendevano il volto candido ancora più arrotondato, nonostante fossero tenuti abbastanza indietro da orecchie troppo piccole. Occhi grandi con un lieve strabismo di venere la fissavano ridenti.

«S-sì, sono io.»

«Quella nuova, ma il tuo nome?»

«Oh, sì giusto. Chiamami Lena.»

«Lena» ripetè pronunciando la e poco aperta, causandole una fastidiosa sensazione di estraneità. «Io sono Chiara. Chiara Mossi. Come la mia pelle e i miei capelli.»

«Ok. Piacere.»

«Piacere mio, Lena.» Le si sedette accanto e prese una bella cucchiaiata dalla sua ciotola di zuppa. Era una ragazza molto magra, ma da come stava mangiando non si sarebbe detto. Forse le porzioni non erano sempre tanto abbondanti, pensò copiandola nonostante il sapore ben poco gradevole.

«Perché te ne stavi qui tutta sola?»

«Immagino perché sono nuova.»

«Oh.» Un’altra generosa cucchiata, poi Chiara Mossi pose di lato il suo piatto. «Sai, è importante farsi amici qui per sopravvivere. A proposito, ho visto che guardavi Jude.»

«Chi?» finse Lena non riuscendo a fare a meno di dare un’occhiata al ragazzo dai capelli d’argento.

«Quello che continui a guardare. Si chiama Jude. Ti conviene lasciarlo in pace sai?»
Chiara le si avvicinò di più e continuò sussurrando. «Non che sia cattivo, eh. Solo che non parla con nessuno a parte Megan e Rebbi. È sulle sue, diciamo e credimi è strano forte.»

«Ok, tanto a me non interessa.» Al contrario invece ne era alquanto affascinata, ma d’altronde come si poteva non esserlo?
Chiara non disse altro, anche se la sua espressione comunicava molto - era curiosa anche lei e sapeva che Lena aveva mentito; magari sperava di scoprire qualcosa insieme o forse già nascondeva qualcosa.

Comunque Lena non le chiese nulla e terminò la sua zuppa in silenzio. Le sarebbe rimasto in bocca un sapore acido e amarognolo per tutto il resto della giornata, immaginò, così come non se ne sarebbe andata la sua curiosità su quel ragazzo.

Si alzarono insieme. Chiara la seguì con i ricci che ballavano a ogni suo passo. Aveva un viso simpatico e Lena voleva sperare di potersi fidare di lei e di essersi magari anche fatta una quasi nuova amica.

«Qual è la tua stanza?»  Chiara Mossi la  fissava incuriosita.

Lena si rese conto che non ne aveva idea e l’altra dovette leggerle nello sguardo perché le fece cenno di seguirla. «Vieni, andiamo da Rebbi. Le chiediamo qual è la tua stanza e io ti ci accompagno.»

«Grazie.» Era felice di aver trovato almeno due persone gentili. Forse avrebbe potuto contare su qualcuno che l’aiutasse a ritrovare Genna e i ragazzi.

Rebecca era seduta accanto a un gruppetto di donne, tra cui Lena scorse anche le due che le aveva presentato - di cui non ricordava i nomi - e la ragazza magra e scontrosa a cui era andata addosso. Evitò di fissarla dopo che ella le rivolse uno sguardo di fuoco.

Chiara si chinò su Rebbi e le due parlarono per qualche attimo, poi Rebbi le sorrise e Lena si sentì rassicurata. Poteva davvero rimanere e dormire in un letto come quello in cui si era svegliata. Era quella poi la sua stanza? Non ricordava nemmeno come fosse tant’era stordita appena si era risvegliata.

«Vieni» le disse la riccia. «La tua stanza è quella in cui ti sei svegliata. Ricordi?»
Annuì, per evitare domande da parte dell’altra.

«Seguimi, ti accompagno.»

Chiara la guidò per una serie di scale e corridoi, che si districavano disordinati e polverosi, cosicché Lena comprese di trovarsi in un condominio composto da un totale di appartamenti che non era riuscita a contare. Si spostarono a un altro piano e a un altro ancora. Chissà quant’era grande quell’edificio, si chiese incuriosita.

«La tua stanza è accanto alla mia. Dovrai condividerla con altre ragazze, forse ci sono anche Maria e Sonia. Loro sono simpatiche, ti andrebbe bene.»

Lena ricordò i due nomi. Erano le due ragazze che Rebecca le aveva presentato prima di andare a mangiare.

«Ecco, ci siamo.» Un’ultima scala e Chiara si fermò davanti alla porta di un appartamento. «Ci sono diverse stanze qua dentro, tutte adibite a camera da letto. C’è anche un bagno e un piccolo piano cottura. Ti ci troverai bene, è carino. Simile a dove dormo io con Rebbi e le altre.»

«Dormi con Rebecca?»

«Sì, nello stesso appartamento. Quello qui affianco.»

Lena la considerò fortunata. Rebbi le piaceva molto, almeno come prima impressione. Aprì la porta con un poco di timore, anche se l’altra la rassicurò che non ci sarebbe stata nessuna a quell’ora perché erano tutte nella sala mensa.

All’interno la accolsero un buon profumo di pulito che non ricordava, nonostante qualche chiazza di muffa macchiasse l’angolo della stanza, e un piacevole tepore veniva da una stufetta a legna.

«Siete fortunate ad avere il riscaldamento, lo siamo tutte noi donne. Gli uomini hanno ceduto le uniche stufe a noi e sono quelle che funzionano meglio per riscaldare perché ci vuole poca legna.»

Lena si guardò intorno. Divani e letti erano allineati alla parete di sinistra, dalla parte opposta rispetto alla stufa e un piccolo angolo di cottura dove il muro era ricoperto di piastrelle rosse. Il pavimento in parquet era rovinato ma ancora bello, le pareti scrostate e grigiastre, ma solide. Insomma, era un buon rifugio.

Sorrise tra sé, sentendosi finalmente in un posto che poteva essere chiamata casa.

“Genna, dove sei Genna. Dovresti essere qui con me ora. Dovreste essere qui tutti, ragazzi.”

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