Questione di stile
La campanella suonò e Juleka batté la fronte contro il ripiano del banco: la fortuna non era mai stata granché dalla sua parte, perciò perché mai avrebbe dovuto baciarla proprio quel giorno?
La professoressa Bustier aveva appena assegnato un compito a casa da fare in coppia e per evitare che si formassero sempre gli stessi gruppetti, aveva deciso di procedere a un sorteggio affinché si dessero le stesse possibilità a tutti. Manco a dirlo, Juleka era capitata in coppia con Chloé. Cosa poteva esserci di peggio?
Qualcosa sbatté sul banco, facendo rumore e inducendola ad alzare la testa: eccola lì, la reginetta della classe. Una mano ben aperta sulla superficie accanto a dove lei ancora teneva le braccia incrociate, Chloé la guardava dall'alto in basso con aria quasi di sfida. «Inutile dire che farai tutto il lavoro da sola, vero?»
Juleka strinse le labbra, ma non ribatté. «Sai, Chloé?» intervenne una voce in suo aiuto. Si voltarono entrambe verso Marinette che, conoscendo i precedenti fra le due, si era precipitata in soccorso dell'amica. «Una vera supereroina non farebbe mai la prepotente con una compagna di classe.»
Lei avvampò, stizzita da quell'intrigante che osava rinfacciarle una cosa del genere, colpendola lì dove le faceva più male. «Lo so perfettamente», ribatté quindi in tono duro. Tornò a rivolgersi a Juleka, che sussultò per lo sguardo determinato che le lesse in viso, e annunciò: «Non esiste che io metta piede sulla tua bagnarola, perciò ti aspetto all'hotel dopo la scuola. Sii puntuale, odio aspettare.» Detto ciò, si voltò di scatto e si diresse verso l'uscita dell'aula con passo nervoso, battendo i tacchi e facendo appositamente rumore affinché tutti potessero ammirarla mentre andava via.
«Grazie», disse Juleka, alzandosi in piedi e avvicinandosi a Marinette. Lei le sorrise. «Chloé non è così pessima come sembra», le rivelò, convinta di ciò che diceva. Soprattutto alla luce di un'altra scomoda verità: la vera bulla della classe era colei che si atteggiava a piccolo angelo indifeso. Lei ne sapeva qualcosa, essendo la sua unica, vera vittima. «Bisogna solo saperla prendere.»
«So già che sarà una tortura rimanere con lei per tutto il pomeriggio...»
«Vedila così», la incoraggiò ancora Marinette, posandole una mano sul braccio per confortarla. «Forse oggi sarai costretta a fare gran parte del lavoro anche al posto suo, ma almeno domani, all'interrogazione, sarà lei a esporre il vostro compito. Lo sai che a Chloé piace parlare e mettersi in mostra.»
Vista in quel modo, Juleka si rincuorò almeno in parte, tanto da lasciarsi andare a un lieve sorriso: la sua timidezza spesso le impediva di dare il massimo durante le esposizioni orali, quindi forse non era del tutto un male essere costretta a dividere quel compito con la regina dei melodrammi – nomignolo che invece Marinette avrebbe a ben ragione affibbiato a Lila. Facendosi dunque coraggio, Juleka prese la borsa con i libri, salutò gli altri compagni di classe e si avviò anche lei verso l'uscita insieme a Rose, che le prese la mano per farle forza. Lei era stata fortunata, pensò fra sé la ragazza: era capitata in coppia con Max, quindi i suoi nervi non sarebbero stati affatto messi a dura prova.
Quando furono fuori da scuola, però, si trovarono davanti a una scena inaspettata: in piedi accanto alla limousine del sindaco e affiancata dal suo fido maggiordomo, Chloé aspettava con le braccia intrecciate sotto ai seni e l'espressione visibilmente seccata. «Oh, no...» mormorò Juleka, stringendo maggiormente la mano di Rose. «Che avrà, ora?»
«Vorrà solo darti un passaggio, no?» fu l'ottimistica risposta che le diede la sua ragazza. «Va' e non farti demoralizzare da niente e nessuno», la incoraggiò, alzandosi sulla punta dei piedi per scoccarle un bacio sulla guancia. «Ti chiamo stasera.» Quindi, rapida, raggiunse Max che la stava aspettando insieme a Kim e Alya dall'altro lato dell'ampia scalinata d'ingresso.
Preso un grosso respiro e armatasi di pazienza, Juleka scese i gradini tesa come una corda di violino, aspettandosi già qualche lamentela da parte della sua compagna di classe. Quella, invece, non appena furono l'una davanti all'altra, disse con voce imbronciata: «Dobbiamo vederci da te.»
«Perché?» sfuggì di bocca a Juleka, che inarcò le sopracciglia scure per lo stupore. Chloé non aveva detto che non sarebbe mai venuta a casa sua?
«Jean-Ambroise, qui, dice che all'albergo stanno facendo una disinfestazione», spiegò lei, sempre più nervosa. «Proprio oggi!» Pestò un piede per terra con irritazione. «Papà mi sentirà, stasera. Anche se sono convinta che la colpa sia di quello stupido coccodrillo che Jagged Stone si porta sempre appresso. Chissà quanti orribili parassiti avrà sparso dappertutto!»
«In realtà si tratta solo di un intervento di routine, mademoiselle», le fece notare il maggiordomo a cui, ogni volta, veniva cambiato eccentricamente nome dalla figlia del sindaco.
«Sia come sia», ribatté quest'ultima, agitando una mano a mezz'aria e tornando a rivolgersi a Juleka, «spero di non prendere le pulci sulla tua bagnarola.»
«Non ne abbiamo mai trovate», commentò quella, più per difendere la casa di sua madre che per mero orgoglio personale.
«Mh», la liquidò Chloé, non troppo convinta. Sospirò con fare drammatico e si rassegnò a salire in auto insieme a lei. «Forza, sbrighiamoci. Via il dente, via il dolore.» Su questo Juleka non poteva essere più che d'accordo.
Quando l'auto rallentò e accostò, Chloé si affacciò dal finestrino per scrutare la famosa Liberty, la nave che la famiglia Couffaine usava come casa. Dovevano senza dubbio essere tutti eccentrici, pensò scendendo dalla vettura e arricciando il naso all'idea di dover passare lì dentro tutto il pomeriggio. Quasi si pentì di non essere rimasta a studiare in biblioteca, e se non ordinò al suo autista di fare dietrofront fu solo per non darla vinta a quell'intrigante di Marinette Dupain-Cheng. Juleka le si affiancò e la sbirciò timidamente in volto: Chloé sembrava davvero disgustata da ciò che aveva davanti. Era davvero così terribile, nella sua ottica, vivere su una nave? Per lei, invece, era meraviglioso. Nessun altro a Parigi poteva vantare una casa come quella, pronta a levare l'àncora in qualunque momento, pronta a dare il benvenuto a suon di musica a chiunque fosse salito a bordo. Juleka era fiera di quel tesoro prezioso, così com'era fiera della sua bella famiglia: una madre eccentrica, ma affettuosa, e un fratello silenzioso e sempre pronto a sostenerla.
«Vieni», disse alla compagna di classe, invitandola a seguirla. Con un grosso, plateale sospiro rassegnato, lei la seguì fin giù sul molo, avvertendo le gambe diventare molli al pensiero di dover davvero salire a bordo di quella cosa galleggiante. Esteticamente, la Liberty non incontrava minimamente il suo gusto. Anzi, la trovava davvero orrenda. Cos'aveva al posto della polena? Un unicorno arcobaleno? E cosa aveva dipinta sulla prua? Una bocca enorme, spalancata, forse con un apparecchio ai denti, e sormontata da due occhi assai poco intelligenti.
«È ridicola. Assolutamente ridicola», commentò senza tatto, incrociando le braccia e piantando i piedi poco prima di salire sulla passerella. «Avrei dovuto capirlo dal modo in cui ti conci, che la tua famiglia ha davvero poco senso estetico.»
Juleka s'immusonì, ma non replicò. A che pro, farlo? Avrebbe finito solo per indispettirla ulteriormente e il pomeriggio sarebbe stato ancora più infernale di quello che si preannunciava. Ci avrebbe pensato sua madre, pensò avanzando sulla passerella, a rimettere al suo posto quell'oca giuliva.
Le cose, tuttavia, non sarebbero andate così.
Costretta suo malgrado a seguirla, Chloé fu accolta a bordo da un giro di do. Stupita, si volse verso prua alla ricerca di quel suono, al quale ne fecero seguito altri, tutti melodiosi e bellissimi. Seduto ad una delle sdraio presenti in coperta, la ragazza vide un giovane intento a regolare le corde della sua chitarra. Era troppo distante per distinguerne i lineamenti, ma capì subito che doveva trattarsi del fratello di Juleka, visti quei capelli tinti in modo assurdo e l'abbigliamento di dubbio gusto.
Presa da quella inaspettata visione, non si accorse che la sua compagna si stava per l'appunto dirigendo verso di lui. Accelerò il passo e le fu accanto proprio quando Luka alzò lo sguardo e fece loro un sorriso. «Ciao», disse solo, accarezzando le corde con il plettro che teneva fra le dita. Con occhio esperto, Chloé notò subito lo smalto scuro e storse la bocca. «Ti presento mio fratello, Luka», irruppe Juleka fra i suoi pensieri. Lei a stento grugnì. «Luka, lei è Chloé.»
Le sopracciglia del giovane si inarcarono verso l'alto, dando segno di conoscere quel nome: non era forse così che si chiamava la figlia del sindaco, quella ragazzina viziata che più volte aveva mostrato il suo lato prepotente proprio nei confronti di sua sorella? Un accordo sgraziato indusse Chloé a portarsi le mani alle orecchie e a domandarsi se quel disgraziato non le avesse regalato apposta quello sberleffo musicale. Se solo ci avesse riprovato, si ripromise, gli avrebbe infilato la chitarra su per il...
«Dobbiamo studiare insieme per l'interrogazione di domani», spiegò Juleka al fratello, incurante di camuffare il tono tutt'altro che allegro.
Gli occhi indagatori di Luka tornarono a posarsi sul viso di Chloé, che arrossì infastidita: cos'aveva da guardarla in quel modo, quello screanzato?! «Se hai qualcosa da dire, dilla e basta!» sbottò poco dopo, visto il prolungato silenzio con cui lui aveva accolto la notizia di doverla sopportare a bordo della barca per tutto il pomeriggio.
L'altro si limitò a stringersi nelle spalle e ad alzarsi in piedi. «Vi lascio il tavolo e le sedie. Se avete bisogno di me, mi trovate laggiù», annunciò allora. «Ah. La mamma non c'è», avvertì. Quindi, senza aggiungere altro, si avviò verso il salottino presente nella parte centrale del ponte.
Chloé lo seguì con lo sguardo, imbronciata e disturbata dalla sua presenza. I Couffaine erano tutti così strani e taciturni?! Soprattutto, come diamine potevano chiamare tavolo e sedie quelle sdraio di orrende e quelli che, a suo avviso, potevano tranquillamente essere catalogati come semplici ciocchi di legno?! Pregando che quel maledetto pomeriggio passasse il più in fretta possibile, imitò la sua compagna ancora una volta e posò il suo regale fondoschiena su una di quelle sdraio da quattro soldi – non senza inalberare un'espressione disgustata.
Juleka finse di non farci caso e rimase in silenzio per diversi istanti, incapace di trovare la forza per tornare a parlare: odiava farlo davanti agli sconosciuti e ancor meno le piaceva doverlo fare davanti a persone verso le quali non provava affatto simpatia. Si sentì un nuovo accordo qualche metro più in là e comprese che suo fratello stava cercando di infonderle coraggio. Lo ringraziò fra sé e, preso fiato, tornò a guardare Chloé. «Allora...» iniziò, fermandosi non appena si rese conto che l'altra era intenta a fissare oltre le sue spalle. Non riuscendo a immaginare cosa stesse osservando, Juleka si voltò e capì che si trattava di Luka.
«Tuo fratello si veste sempre così male?»
«Come...?»
«Sì, insomma, in famiglia avete tutti un pessimo gusto in fatto di moda?» Umiliata e infastidita, la ragazza si ammutolì. «E quella tinta, poi... il mio parrucchiere la farebbe molto meglio. Senza contare quello smalto sulle unghie, così... così...» Chloé sembrò non trovare la parola adatta e Juleka gliene fu grata. «È un vero peccato, però», riprese la prima, strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco la figura di lui. «È carino», aggiunse sovrappensiero. L'altra la fissò con le orbite spalancate, sperando di aver capito male, mentre un brivido freddo le scivolava lungo la colonna vertebrale. «Ovviamente non potrà mai competere con Adrien», si riebbe Chloé, notando la sua espressione sconvolta.
Juleka rimase di nuovo in silenzio. Chloé non parlò, evitando il suo sguardo con un vago, malcelato disagio.
Quella stasi si protrasse fino a che una dolce melodia non tornò a risuonare a bordo della Liberty. «Tuo fratello ci fissa», osservò piccata la figlia del sindaco. «Cos'avrà mai da guardare?» Juleka lo sapeva bene: conoscendo – seppur solo per fama – i precedenti di Chloé, Luka stava semplicemente tenendo d'occhio la situazione. «È inquietante quasi quanto te. Digli di smetterla, prima che lo faccia io.»
La sua compagna non disse nulla, si limitò a recuperare libri e quaderni dalla borsa, pronta a mettersi al lavoro pur di farla tacere. La melodia si fece più dura, segno che Luka non approvava quell'arrendevolezza da parte di sua sorella: se voleva rispetto da parte di Chloé, doveva lottare, mostrare il suo reale valore. La faceva facile, lui... Juleka sospirò, convinta di essere una nullità in confronto a suo fratello maggiore, che invece di coraggio ne aveva da vendere. Lo ammirava molto, era fiera di lui e sperava davvero di riuscire a seguire il suo esempio, prima o poi.
«Ehi!» ululò Chloé in direzione del giovane, che sbagliò nota perché preso in contropiede da quel richiamo starnazzante. «Non sai suonare qualcosa di meglio? Tipo una cover di Jagged Stone?» Gli occhi di Luka si illuminarono: se a quella ragazzina viziata piaceva il grande re del rock 'n roll, allora forse non era poi tanto male... «O magari qualcosa di XY!» Il suono lugubre che provenne dalla sua chitarra lasciava ben intuire a Juleka la faccia scura che doveva aver messo su il suo povero fratello, benché al momento lei gli voltasse le spalle.
Per ripicca, Luka regolò nuovamente le corde del suo strumento ed eseguì un riff di un certo livello, veloce, rabbioso, potente. Chloé rimase a bocca aperta, iniziando a intravedere in quel giovane tutto ciò che quei vestiti stracciati nascondevano ai suoi occhi snob. I muscoli tesi, lo sguardo concentrato, i capelli che sobbalzavano ad ogni suo movimento rapido e deciso: Luka fu capace di incantarla per diversi minuti – durante i quali sua sorella ne approfittò per portarsi avanti con lo studio con la speranza che Chloé sloggiasse da lì il prima possibile.
«Di'», disse dopo un po' quest'ultima, sottovoce, avvicinando di soppiatto la sua sdraio a quella della compagna di classe e parlandole come se fossero amiche intime. «Tuo fratello ha già la ragazza?» Il brivido gelido tornò a scorrere fin nelle ossa della povera Juleka. «Si vede con qualcuna, al momento?» Uno spasmo le fece cadere la penna di mano. «No, perché vedi... stavo pensando... magari potrei portarlo dal mio parrucchiere per sistemargli quella tinta scadente... o a fare shopping, così che possa indossare degli abiti decenti.»
«Luka!» esclamò Juleka, balzando in piedi e coprendosi il viso con le mani. La musica si fermò di colpo e Chloé guardò la ragazza con aria stupita: era quello il suo vero tono di voce? Non le era mai riuscito di sentirlo sul serio, perché in sua presenza quella sciocca non faceva altro che balbettare parole sconnesse, soffiandole a malapena dai polmoni e facendola sembrare esattamente la sfigata che era.
Il giovane s'affrettò nella loro direzione, poggiando poi una mano sulla spalla di Juleka per rassicurarla con la sua presenza. «Che è successo?» chiese gentilmente, benché allarmato da quello scatto improvviso. E poiché lei non rispose, subito si voltò verso Chloé, inchiodandola sul posto con il solo sguardo – che fu capace di scombussolare la ragazza nel profondo. «Che le hai fatto?!»
D'un tratto, tutto il fascino che aveva visto in lui crollò su se stesso e, arrossendo di stizza, Chloé svettò in piedi furibonda. «Perché dev'essere per forza colpa mia?!»
«Perché, da quanto mi risulta, è sempre colpa tua!»
«Oh, certo! Chloé è cattiva! Chloé non è degna del miraculous! Chloé aiuta Papillon! Chloé ha tutte le colpe del mondo, vero?!» gracchiò con tutte le sue energie, stringendo i pugni e battendo un piede in terra. «Abbiamo bisogno di un capro espiatorio? Ne abbiamo uno perfetto: Chloé Bourgeois!» continuò a strillare, le palpebre strizzate per lo sforzo di urlare quelle parole.
Quando riaprì gli occhi, entrambi i fratelli Couffaine la fissavano sconvolti. «Non intendevo questo...» prese a dire Luka, cercando di farla calmare. Aveva forse esagerato? Possibile che quella ragazza fosse in realtà così piena di complessi? Certo, era vero, aveva le sue belle colpe, ma anche lui era caduto vittima di Papillon ed era perciò ben consapevole di cosa significassee diventare un burattino senz'anima alla mercé di quel pazzo criminale.
«Bene», sentenziò Chloé, incrociando le braccia al petto con aria immusonita. «Perché, se proprio ci tieni a saperlo, stavo solo dicendo a tua sorella che mi piacerebbe insegnarti a mettere lo smalto.»
Juleka fu assalita dal più che giustificato bisogno di tornare a sedersi, scioccata, mentre Luka ebbe un leggero capogiro dovuto alla confusione che lo aveva assalito per colpa di quell'assurda dichiarazione. «Cos...?»
«Ma sì!» sbuffò Chloé, afferrandogli la mano e mostrandogli le dita. «Guarda qua che disastro! Con lo smalto bisogna stare attenti, a maggior ragione se si usano tinte scure. Lo vedi, qui, come hai sbavato sui lati?» iniziò a spiegargli con estrema pazienza. «Quando stendi il colore, il pennellino non deve neanche avvicinarsi ai bordi. È un trucco che si usa anche per rendere l'unghia più lunga a primo acchito, se non lo sapevi.»
«Oh», fu tutto ciò che si sentì di commentare il giovane, sempre più stupito dalla strana, inaspettata piega che stavano prendendo gli eventi.
E a proposito di pieghe...
«La tinta che usi, poi... oh, no, no davvero», riprese Chloé, non capacitandosi di ciò che stava finalmente guardando più da vicino. Gli lasciò andare la mano e iniziò a scompigliargli i capelli. «Ridicolo, assolutamente ridicolo che tu continui ad andare dallo stesso parrucchiere. Dovrò portarti dal mio, anche se si occupa soprattutto di tagli femminili.»
Avvertendo le sue dita fra la chioma colorata e notando la serietà con cui quella ragazza si stava dedicando a quelle constatazioni, questa volta a Luka venne quasi da ridere. «Ah, sì?» le diede corda, con somma disperazione di Juleka, che guaì dimenticata in un angolo.
«Parola mia», giurò Chloé, premendosi una mano sul petto in un gesto solenne. «Affidati a me per due ore appena, e diventerai uno dei ragazzi più belli e alla moda di Parigi.»
Tutto quello a lui non interessava affatto, anzi. Ciò nonostante, lo divertì il suo modo di fare, così teatrale e, per una volta, privo di reale malizia. Le piaceva, forse? Chissà. Luka ne trasse un certo giovamento, specie dopo l'ultimo rifiuto indiretto che aveva dovuto incassare da parte di Marinette, incapace di ricambiare appieno i suoi sentimenti. E poi, se fosse riuscito a domare quella furia scatenata, forse anche Juleka ci avrebbe guadagnato qualcosa – come per esempio, una vita scolastica meno snervante.
«Visto che sei così ben informata...» cominciò a un certo punto Luka, con fare vago, stupendo persino la propria sorella. «Cosa consiglieresti a chi ha appena subito una delusione d'amore?»
«Oh, caro!» chiocciò Chloé, portandosi le mani giunte al lato del viso e guardandolo con tenerezza. «Allora è urgente! Dobbiamo intervenire subito! Vieni con me!» Lo prese per un polso, pronta a trascinarlo via da lì.
«Ehi, e lo studio?» volle sapere il giovane, che di certo non voleva lasciare tutto il peso del lavoro alla povera Juleka.
«Me la vedrò da sola», annunciò lei, scivolando sulla sdraio con espressione disperata. «Basta che scompariate dalla mia vista il prima possibile.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro