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24. Villa

Diario di Yassine

Nota 12

La cosa più assurda è che, quando siamo arrivati qui, è bastato spingere la porta a vetri verso l'interno. Non c'era nulla, non un allarme, non un chiavistello, a frenare la nostra avanzata. La receptionist, dietro al bancone, teneva – e tiene tuttora – lo sguardo proiettato al di là dell'entrata; come se attendesse un collega per effettuare il cambio del turno. 

Villa Torretta è un Hotel di lusso il cui pernottamento ha un costo per che si aggira tra i centoventi fino ai quattrocento euro a notte. Le stanze, che in totale sono settantasette – ho letto le brochure – hanno dei nomi tipo "Queen Superior", "King Deluxe", "Presidential Suite", per distinguerle a seconda della grandezza e della quantità di accessori presenti all'interno. Gioele si è piazzato in una che ha addirittura un salottino privato di fianco, con divano, poltrone e due tavoli da pranzo. Comodità inutili, considerato che abbiamo tutta la sala ristorante a nostra completa disposizione, più sette sale riunioni, l'auditorium, il centro fitness e l'angolo bar. Non ci serve il salottino privato, non ci serve una stanza personale di ottanta metri quadri a testa. È solo per l'idea.

Non saprei come riassumere il concetto. Villa Torretta è un luogo verso il quale, per quante volte possiamo esserci passati davanti in macchina per andare verso Milano, nessuno della mia famiglia ha mai rivolto lo sguardo. Era come se non esistesse nemmeno per noi, come quando sei dentro a un MMORPG e passi accanto a un portale che ha sopra il simbolo dell'account premium. Semplicemente non ti interessa, perché neanche morto pagheresti venti euro per l'abbonamento mensile, quando puoi comunque giocare quanto ti pare a tutte le campagne principali del mondo.

E ora mi trovo qui, seduto a un tavolino circolare in legno di rovere, in una camera che è il doppio di casa mia, di fronte a una finestra con vista sul parco. E non pagherò mai un centesimo per essere stato qui, perché non è quantificabile in denaro un soggiorno di durata zero.

In realtà, non so bene come sentirmi a riguardo. Per quel poco che ne posso sapere del tempo che passa, in assenza di qualunque riferimento nel cielo, sono trascorsi più o meno quattro giorni da quando abbiamo messo piede qui dentro, e solo ora mi sono deciso a riprendere in mano il quaderno e butta giù una nota. E questo perché, tra i momenti passati in chiacchiera a fissare gli affreschi sul soffitto; o il tempo speso a curiosare tra le camere vuote, nelle cucine e negli uffici del personale; tra le sbronze e le maratone di film nell'auditorium – siamo riusciti a far partire il proiettore, in pratica è come essere al cinema – credo di essermi un po' lasciato trasportare dall'euforia; e non avrei saputo nemmeno cosa dire, tanto ero preso dal momento.

A volte serve un po' di solitudine per mettere in ordine i pensieri. Poco fa ero nella stanza di Gioele; giocavamo a poker con i soldi trovati nella cassa dell'hotel. Lui era cotto come un pollo allo spiedo, teneva un occhio aperto e uno chiuso mentre tentava di fare dei tiri da un sigaro spento; e a un tratto si è alzato dal divano, ha barcollato fino al televisore della camera da letto e ha cercato di ficcare un film porno nel lettore DVD che si è portato via da un negozio di elettronica. Sono rimasto lì a guardare solo perché ero piuttosto convinto che non ci sarebbe riuscito, che a un certo punto avrebbe desistito e sarebbe tornato a finire la partita che avevamo mollato a metà. Avevo torto, però. Contro tutti i pronostici è riuscito a farlo partire, e nel momento in cui è indietreggiato e si è lasciato sprofondare nel letto a baldacchino biascicando una cosa tipo «Fra', ora ti faccio vedere una gang-bang con un'asiatica» ho deciso che era arrivato il momento di andar via. Del resto, credo si sia addormentato non appena ho chiuso la porta. E cominciavo a sentire la mancanza di un momento solo per me.

Solo che, adesso che sono qui, in pace, in questa stanza le cui decorazioni alle pareti fanno pensare agli affreschi di una villa romana, comincio a capire la vera ragione per cui, forse, non facciamo altro che cercare scuse per occupare il tempo, in questa sorta di eterna gita scolastica senza professori.

Il silenzio, qui, è qualcosa che può farti impazzire.

Nota 66

Quanto vorrei che bastasse smettere di guardare, per isolarsi dall'ombra. In certi momenti, la mia disperazione assume i tratti di una regressione allo stadio infantile, e inizio a sentirmi come quando ero un bambino, che credevo e non credevo al contempo che ci fosse un mostro nascosto sotto al letto, o nell'armadio, e riponeva cieca fiducia nel fatto che basterebbe un bacio sulla fronte da parte di mamma per diventare immune alle sua aggressioni. E mi raggomitolo, stringo a me il cuscino, e sussurro: «Mamma» come se lei fosse solo nella stanza accanto e potesse accorrere da me per scacciare tutte le mie paure. O nascondo la testa sotto alle coperte di piuma d'oca, come se bastasse tenere l'ombra lontana dal mio campo visivo per neutralizzare il suo potere.

Ma si tratta solo una pia illusione. È proprio quando non vedo – quando chiudo gli occhi, o spengo la luce, o caccio il viso nelle lenzuola di seta – che sento ancora più forte la sua presenza. Non c'è nulla che io possa fare contro di lei. A volte, è quasi come se la sentissi gridare.

«Ti prego» ho provato a dire, l'ultima volta che è stata qui. «Ti prego, lasciami stare. Mi dispiace se non ho alcun diritto di occupare questo piano. Ma non è stata colpa mia se sono finito qui. Non posso andar via.»

«Oh, sì che puoi» mi ha risposto, sempre col suo modo di trasmettermi i concetti senza parlare. «Puoi andartene eccome. E tu lo sai bene. Siete così fragili, voi umani. Basterebbe così poco.»

E nella mia mente hanno cominciato a formarsi immagini tremende. Pensieri oscuri, di morte, che non voglio riportare.

«Ma prima,» ha proseguito, e aveva un che di sardonico, stavolta, «dovrai occuparti degli altri. Perché nessuno di voi ha il diritto di stare qui.»

«Parli... di Gioele?» gli ho chiesto. «Quali altri?»

E, per lungo tempo, non mi ha dato alcuna risposta.

«Tu ti occuperai degli altri» ha insistito. «E mi riferisco a tutti

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