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29. Occhiali - Clarice

«Dopo me ne sono andato a casa, e chi l'ha più vista. E chi poteva saperlo... Solo il Lucente, che si prenda cura della sua anima.» Il signor Drelein si passò una mano sulla fronte rada, i capelli ormai ridotti a una striscia di sottili fili ingrigiti. Si toccava spesso il viso, stropicciandosi gli occhi o accarezzando la barba, ma a incuriosire Clarice era il modo in cui strofinava la radice del naso. «Dovete trovare chi è stato, maresciallo. Lo dovete trovare!»

Olivier – che con la divisa da Sovalye era sempre e solo il Maresciallo Voroiss – inspirò a fondo, sistemandosi meglio sulla sedia scricchiolante. Indossava un'espressione neutra, stropicciata solo dalle rughe che l'età aveva marcato sulla fronte e attorno a occhi e bocca, ma Clarice sapeva che non era convinto: le labbra larghe erano più serrate del solito, gli occhi verdi fissi sull'uomo di fronte a lui, il collo dritto. Le avevano suggerito di osservare i sospettati, durante gli interrogatori, ma lei aveva tenuto d'occhio anche i suoi colleghi. Come recluta era suo compito imparare da loro, e quale modo migliore per comprendere come lavoravano?

Il comportamento di Drelein le era sembrato macchinoso, la sua sofferenza per quel lutto esasperata, e lo sguardo pensoso di Olivier le dava conferma del fatto che le sue intuzioni erano corrette – o quantomeno che non era la sola a pensarlo. Aveva notato anche lui quel bizzarro tic con cui si toccava spesso il naso? Avrebbe voluto chiederglielo, ma non poteva farlo di fronte al signor Drelein; quelle erano cose che si notavano, ma non si dicevano. Quella tra investigatore e sospettato era una sfida più silenziosa di quanto le innumerevoli domande lasciassero intendere, perciò né lei né Olivier avrebbero fatto intuire a Drelein che nutrivano sospetto su di lui, che si fosse comportato in modo inusuale o che la sua dichiarazione fosse poco convincente, non fino a quando non avrebbero avuto qualcosa di concreto su cui agire.

«Non si preoccupi, signor Drelein, faremo tutto il possibile» disse, con il tono collaudato che rendeva naturale quella frase di circostanza che Clarice aveva già udito decine di volte. «Vedrà che il colpevole verrà fuori. Per fortuna possiamo contare anche sulla sua collaborazione, giusto?»

«Ma certo, maresciallo» si affrettò a dire Drelein, mano sul cuore e lo stesso tono di circostanza che non suonava altrettanto naturale. «Sono a disposizione.»

«Allora mi permetto di farle qualche altra domanda, per capire meglio la dinamica. Lei non ha visto la signora Bossoin, però quel giorno è venuta a casa sua. I vicini l'hanno sentita che urlava alla sua porta, non l'ha sentita?»

«No, maresciallo, io non ero proprio a casa. Ero uscito per andare in bottega, poi... Poi ho incontrato un amico, sì, e mi sono perso in chiacchiere. Non ricordo che ora abbiamo fatto... Non ci si vedeva da mesi, lo sa come vanno a finire queste cose.»

«Sì, certo. Avrete avuto molto da raccontarvi» disse Olivier, annuendo in un sorriso appena accennato.

Non c'era traccia di ostilità nella sua voce, nessuna accusa, come se fossero seduti a quella scrivania per una semplice chiacchierata. L'ufficio di Olivier non era molto grande, vi erano solo scaffali e cassettoni oltre alla macchina da scrivere e alla lavagna che teneva coperta, ma Olivier sapeva come rendere quella stanza confortevole quando ce n'era bisogno, quando credeva che un atteggiamento morbido avrebbe ottenuto più risultati di quello aggressivo. Quel tipo di intuito era più difficile da apprendere. Clarice era certa che il suo giudizio si leggesse in modo fin troppo evidente dalla sua espressione, ma avrebbe continuato a osservare Olivier fin quando non avrebbe fatto suo quel metodo d'azione.

«Come si chiama questo amico?» proseguì, scribacchiando sul taccuino in modo distratto. «Mi piacerebbe parlare con lui, magari lui ha fatto caso all'ora.»

«Ah, ma lui è già ripartito. Non è mica della città, lui... Lavora a sud. Nelle fabbriche.» Prese fiato per dire qualcos'altro, ma cambiò idea e si passò di nuovo una mano sul viso. C'erano ancora cenni di agitazione nella sua espressione, nei muscoli tesi e nella voce incerta, ma così lontani dal cordoglio con cui aveva raccontato della vittima. «Mica lo vorrà richiamare per una chiacchierata. Non credo che si ricordi più di me, si figuri se uno guardava l'ora. Pensi che alla fine in bottega neanche ci sono andato» sbuffò fuori una risata smorta, a cui Olivier fu rapido a reagire con un sorrisetto divertito.

Anche Clarice distese le labbra, anche se non era previsto che interagisse nell'interrogatorio. Sedeva composta alla destra di Olivier, ma la sua sedia era una mattonella più indietro, disallineata alla scrivania. Era lì solo per apprendere il mestiere e quando veniva presentata come recluta anche i sospettati si dimenticavano della sua esistenza – il signor Drelain, ad esempio, era passato dal plurale al singolare e aveva rivolto lo sguardo solo al maresciallo da quando avevano cominciato. Il che era un bene, perché sarebbe stato più difficile per lui notare i suoi occhi che cambiavano colore.

Clarice abbandonò il taccuino sulle gambe, la matita ancora stretta tra le dita. Ignorò il ticchettio dell'orologio che faceva da sottofondo al botta e risposta tra i due uomini e prese un respiro lento, intriso di Sihir. L'energia mistica fluì nei suoi occhi come una brezza leggera, un soffio che durò solo un istante prima che il suo corpo si abituasse alla sua presenza. Espirò, e la sua vista era cambiata: i contorni dell'uomo che sedeva ricurvo sulla scrivania si fecero più definiti, i colori della camicia a quadri più intensi, le gocce di sudore sulla sua fronte più evidenti. Tirò a sé quell'immagine e il Sihir la ingrandì come avrebbe fatto un binocolo, solo che nessuno strumento poteva vantare una simile discrezione e accuratezza: le forme svanivano quando ci si avvicinava troppo, sfocavano in una massa di colori indefinita finché non restava soltanto il nero, ma Clarice riusciva ad andare oltre questo. Nel suo campo visivo non restò che una porzione di viso del signor Drelain, l'epidermide che rivelava all'influsso del Sihir il suo microscopico reticolo di increspature, i corti peli grigi lungo la guancia, le piccole macchie marroncine che il sole aveva disegnato sulla cute.

Risalì lungo il naso, studiandone il setto un piccolo spostamento alla volta. Il signor Drelain si muoveva molto mentre parlava, scuoteva il capo e sembrava incapace di tenere ferme le mani, ma restava immobile quando Olivier poneva le sue domande. Abbastanza da permetterle di notare quei piccoli dettagli che l'occhio comune non sarebbe riuscito a notare, come le zone più scure sulla radice dove la pelle si era leggermente infossata. O il modo in cui i corti capelli in prossimità delle orecchie si curvavano all'indietro, non per naturale direzione di crescita ma perché qualcosa li aveva spinti tanto a lungo che avevano mantenuto la piega. E le palpebre inferiori, arricciate: il signor Drelain aveva le sopracciglia aggrottate, ma la sua espressione affranta avrebbe dovuto stringere i suoi occhi con un'inclinazione differente, con meno tensione sugli angoli esterni.

Clarice chiuse i suoi, allentando la presa sul Sihir. Appuntò le sue considerazioni sul taccuino, ma attese con pazienza la conclusione dell'interrogatorio per porgerlo a Olivier, quando furono rimasti da soli nell'ufficio. Lui lo appoggiò sulla scrivania senza ancora aprirlo, mantenendo lo sguardo fisso su di lei.

«Cos'ha dedotto?»

«La sua dichiarazione è piena di incongruenze, le tempistiche non coincidono e alcuni dettagli si contraddicono tra loro. Ha accantonato il dolore con rapidità, mostrando una memoria confusa riguardo al giorno della morte della signora Bossoin, ma stranamente lucida per gli eventi precedenti e successivi. È altamente probabile che stia mentendo.»

Olivier annuì, e a Clarice non sfuggì il modo in cui le sue labbra si distesero a quel probabile: mai confondere supposizioni e certezze. Tutto poteva e doveva essere messo in discussione senza prove, persino quando sembrava ovvio.

«E poi gli occhiali. Ha due fossette ai lati della radice nasale, dove abitualmente poggia un paio di occhiali, e i capelli sono piegati all'indietro in corrispondenza delle astine. Per avere segni così evidenti deve averli portati a lungo, ma oggi non li indossava: credo sia per questo che strizzava gli occhi, e dev'essergli rimasta l'abitudine di sistemarli sul naso. Pensavo che, se si fossero rotti il giorno dell'omicidio...»

«... non avrebbe avuto tempo di commissionare un paio nuovo. Ottimo lavoro, Van Hopper. Anche la sua analisi è corretta, con questi risultati la promozione non si farà attendere.»

Clarice arricciò il naso. «Non è per la promozione che lo faccio. Ho intenzione di diventare un'appuntata, certo, ma ciò che voglio è che il colpevole venga arrestato. Questo non ha nulla a che fare con il mio ruolo.»

«E per questo non ho dubbi che diventerà un'eccellente Sovalye.» Il viso di Olivier si illuminò di orgoglio. Aveva oltre trent'anni più di lei e le era superiore di molti gradi, ma non le aveva mai negato il suo rispetto. Più Clarice lo guardava, più era certa che quello era il tipo di Sovalye che aspirava a diventare. «Arrestare il colpevole, dunque. Hai avuto una bella intuizione, ma è necessario metterla a frutto per ottenere delle prove concrete. Qualche idea su come procedere?»

Clarice si umettò le labbra, inclinando il capo in un mormorio pensoso, poi sorrise. «A dire il vero, maresciallo, ne ho più di una.»



Clarice è uno di quei personaggi a cui sono molto affezionata, è senza dubbio tra i miei preferiti benché per ora l'abbiamo vista soltanto nel capitolo extra alla fine di Carnivorous. Ci tenevo a usare il suo POV anche se non avevo un'idea ben definita e ho pensato di giocarmela così, quand'era ancora ancora una giovanissima recluta!

Spero di poter far vedere altro del personaggio in futuro ♥ Per adesso, che impressione vi ha fatto? 

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