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26. Farfalla - Alexiej

La Lucilla che li aveva accolti al cancello era una delle donne più minute che avesse mai visto. Il simbolo della Chiesa della Luce era ben visibile sulla tunica, ricamato in oro all'altezza del petto, eppure Alexiej faticava ancora a vedere quelle donne come figure religiose: tenevano il capo scoperto, vestivano di colori scuri – tonalità intense di rosso, ocra e viola – e non officiavano alcun rito, sicché non aveva ancora compreso il loro ruolo.

«I signori Metsiz, giusto? Prego, prego, entrate pure.» La donna agitò un braccio per far loro cenno di entrare, chiudendo il cancello alle loro spalle. Alexiej aveva creduto che Edvokin gesticolasse parecchio, poi aveva conosciuto i sayfani. «Sua Luminescenza vi attende all'interno, vorrebbe condurre un colloquio privato con voi prima di presentarvi ai bambini. Chi di voi sono gli aspiranti genitori?»

«Eccoci!» esclamò Edvokin, lo sguardo luminoso. Lo afferrò per un braccio e si strinse al suo fianco, la testa piegata contro la sua. «Io e il mio sfavillante marito.»

Alexiej annuì, ricambiando il sorriso entusiasta del compagno con uno tiepido. Non gli piaceva quella parola, aspiranti: era già un genitore, lo era diventato la prima volta che aveva stretto Krija tra le braccia. L'immagine del suo volto roseo non era sbiadita dalla sua memoria, non avrebbe permesso che accadesse: nulla avrebbe cancellato il ricordo del suo sguardo pieno di meraviglia quando ascoltava le sue fiabe, del suo respiro sereno quando riusciva a farla smettere di piangere, del suo profumo quando lo abbracciava, delle sue risate quando giocavano insieme. Era suo padre, e non aveva smesso di esserlo solo perché non c'era più.

«Perdoni se lo domando per l'ennesima volta, ma può confermarmi che la nostra presenza non sarà di disturbo?»

Brycen venne avanti, avvicinando a sé moglie e figlia. Irisha era quieta tra le braccia della madre, il visino tondo schiacciato nell'incavo del suo collo. Si era nascosta non appena aveva udito la voce sconosciuta della Lucilla, e sebbene Chloe sussurrasse il suo nome per invogliarla a voltarsi lei si limitava a scuotere la testolina in versetti acuti, facendo ondeggiare le codine viola.

Il viso della donna si sciolse di tenerezza, il sorriso più ampio. «Al contrario! È rassicurante sapere di poter contare sulla presenza in casa di un'altra coppia con esperienza che possa essere di supporto, e sono certa che la bambina sia impaziente di conoscere il nuovo cuginetto. Vado ad avvisare Sua Luminescenza del vostro arrivo, aspettate pure qui fuori. Vi chiamerò quando sarà pronto a ricevervi.»

Portò le mani al petto in una forma che ricordava due ali, poi sparì oltre il portone di ingresso. Sebbene fosse gestita dalla Chiesa della Luce, l'orfanotrofio non sembrava una struttura religiosa: c'era il simbolo del Lucente nel cancello in ferro battuto e dipinto in oro sulla facciata principale, ma la struttura non era dissimile da una qualunque altra villa sayfana, dalla forma squadrata e compatta con tetti triangolari di un rosso spento. Forse era stato costruito così per somigliare quanto più possibile a una casa – o forse era la dimora di qualche ex nobile: Brycen aveva spiegato che molte magioni erano state vendute o donate alla Chiesa dopo l'avvento della Repubblica, ma erano concetti che Alexiej faticava ancora ad afferrare.

«Si direbbe una persona a modo, quella Lucilla.» Edvokin tornò subito a parlare zimeo, voltandosi per attirare l'attenzione di tutti. «Certo, per definirla in tal maniera dobbiamo escludere il fatto che non abbia fornito una presentazione né tantomeno abbia chiesto la nostra, tuttavia sono disposto a lasciar correre considerata l'evidente allergia sayfana alle presentazioni.»

«Ci si presenta solo se è necessario» disse Chloe, sorridente. «Non hai bisogno di conoscere il suo nome, così come non hai bisogno di conoscere il nome di ogni commerciante da cui compri qualcosa. Se vuoi puoi rivolgerti a lei come Lucentezza.»

Edvokin schioccò la lingua contro il palato. «Sciocchezze! C'è di sicuro più di una Lucilla in codesto stabile, sicché il suo nome risulta indispensabile per l'interazione – così come lo è il mio. Dovrei trascorrere tutto il tempo sentendomi chiamare Signor Metsiz? Ci sono tre Signori Metsiz qui presenti, è inaudito usare lo stesso titolo per tutti, così come l'idea di appellarsi a un singolo utilizzando il cognome. Che dovrebbe dire Lesha, che ne ha cambiati ben due? Colori, pensavo che Zima pullulasse di regole insensate, ma la vostra carenza di buona educazione mi lascia basito ogni giorno di più.»

«A me non crea disturbo» disse Alexiej, alzando le spalle.

Aveva già abbandonato il suo cognome una volta, farlo una seconda non era stato per nulla traumatico. Edvokin gli aveva chiesto se fosse sicuro almeno un centinaio di volte prima del matrimonio, ma a dire la verità gli piaceva quel cognome. Era bello poterlo condividere con lui – con tutti loro, come una vera famiglia. Era lieto di sentirsi chiamare Metsiz. Aveva un che di rassicurante, accogliente, perciò sarebbe stato lieto anche di tramandare a un figlio quel cognome.

Suo marito però arricciò le labbra, spingendo all'indietro i capelli sciolti. «Questo perché sei troppo accomodante, amore mio – e tuttavia non abbastanza. Non è forse dovere di un coniuge dar sempre ragione alla controparte? Che fine ha fatto il rispetto per gli obblighi matrimoniali?»

«Da quanto mi risulta è un obbligo che il marito ottempera nei confronti della moglie, e poiché non ne possiedo una mi riservo il diritto di darti ragione solo quando hai ragione.»

«Beyled candida, e perché non sono stato avvertito per tempo? Così sono spacciato!» Edvokin si aggrappò di nuovo al suo braccio, mimando un cedimento, poi le sue labbra si aprirono in una risata che alleggerì il petto di Alexiej. «Ad ogni modo, prima che dirottaste i miei commenti su altri discorsi volevo dire che, se tale Sua Luminescenza si dovesse dimostrare altrettanto a modo, forse vorrà ascoltare il mio parere in merito all'adozione.»

«Se anche riuscissi a convincerlo, non può modificare la procedura» disse Brycen, liberando un sospiro pesante. «Non puoi rifiutare i colloqui con i bambini, puoi sceglierne uno solo dopo averlo incontrato.»

«Ma sceglierlo è proprio ciò da cui vorrei esimermi» obiettò Edvokin. «Sono qui per adottare un figlio, non per selezionare quale giaccone acquistare per l'inverno. Cosa dovremmo fare, portare a casa il più alto? Il più furbo? Vogliamo farli gareggiare tra loro mettendo in palio l'appartenenza a questa famiglia? Francamente, trovo questa procedura ai limiti della moralità.»

Alexiej annuì, concorde. Che le cose a Sayfa funzionassero in modo molto diverso da Zima non era una sorpresa, e aveva riscontrato un miglioramento in quelle differenze il più delle volte, ma non sempre. L'opportunità di poter scegliere quale bambino adottare tra quelli disponibili era sembrata rassicurante all'inizio, ma più se ne parlava durante gli incontri, e più spiegavano il processo di selezione, più sembrava un contorto gioco a premi.

In base a cosa avrebbe dovuto prendere una decisione? Come poteva guardare negli occhi decine di bambini e scegliere chi era il più adatto a diventare suo figlio? Non sembrava una cosa naturale. Non sembrava giusta. Dopotutto non sarebbe stato un padre per loro alla firma dei documenti, lo sarebbe diventato col tempo, con il legame che avrebbero costruito insieme, e non credeva che ci fosse qualcuno che potesse meritarlo più di un altro. Non credeva che spettasse a lui deciderlo.

Aveva osato approfittare della questione per una sola richiesta: che fosse un maschio. Avrebbe amato una figlia allo stesso modo, se gli fosse capitata, ma ne aveva già una e non voleva che fosse un rimpiazzo. Non voleva che si sentisse tale. Quello, solo quello, era l'unico punto su cui era stato categorico.

«Comprendo il tuo punto di vista, ma ritengo che sarebbe opportuno estendere il ragionamento a realtà diverse dalla nostra.» Brycen parlò con il tono pacato di sempre, ma Alexiej aveva imparato a riconoscere le sue inflessioni, il modo in cui aggrottava la fronte quando non era d'accordo. In cinque anni non gli aveva mai sentito dire hai torto, ma le sue argomentazioni lo facevano per lui. «Questo sistema può sembrare innaturale e freddo a un'occhiata superficiale, ma l'intento alla base non è altro che il benessere del bambino. Ognuno di loro possiede non solo un carattere e un'attitudine differenti, ma necessità e mancanze per via dei loro trascorsi: vi è chi non ha conosciuto altro che questo stabile, chi è stato rifiutato dai genitori, chi è rimasto solo dopo la loro morte e via dicendo. Che una coppia venga giudicata idonea alla genitorialità non implica che sia in grado di dare a quello specifico bambino ciò di cui ha bisogno, non è detto che si riesca a creare la giusta connessione con lui e...»

Qualcosa si mosse oltre l'angolo dell'edificio. Alexiej lo notò con la coda dell'occhio e si voltò di scatto, guidato dall'istinto affinato nei boschi, mentre il monologo di Brycen sfumava in un mormorio indistinto. Si concentrò sull'ombra che il sole pomeridiano proiettava sull'erba, una piccola figura danzante che l'attimo dopo spiccò un salto e apparve. Una bambina dai folti capelli rosati correva con le braccia tese, cercando di afferrare una farfalla dalle ali gialle come la stoffa del suo smanicato. L'insetto continuava a sfuggire dai suoi balzi, ma lei non si fermava: teneva il naso sempre all'insù, gli occhi pieni di energia e incanto, e il sorriso che le illuminava il volto distese anche le labbra di Alexiej.

«Chloe» chiamò sottovoce, chinandosi per raggiungere il suo orecchio. Edvokin e Brycen stavano scambiando nuove opinioni sull'argomento, non voleva interromperli. «È rimasto qualche pezzo della frutta che hai tagliato per Irisha? Me ne servirebbe uno solo.»

Chloe alzò un sopracciglio, ma non fece domande. Agitò una mano e la fece scomparire nel piccolo vortice oscuro che si era formato al suo fianco, poi porse ad Alexiej la ciotola con ciò che restava della merenda di sua figlia. Lui scelse un boccone di banana che gli sembrava più maturo, lo posò sul palmo e cominciò a camminare.

La bambina non si accorse subito della sua presenza, rapita dal movimento leggiadro della farfalla, e solo quando Alexiej fu abbastanza vicino da distinguere il colore dei suoi occhi – luminosi come il miele d'acacia – si fermò in un sussulto silenzioso. Il viso si tinse di preoccupazione, le spalle strette e le mani raccolte al petto, e prima che Alexiej potesse emettere fiato era già corsa via.

Non via del tutto: si tuffò nei cespugli che crescevano a ridosso della recinzione in ferro battuto e vi si acquattò dietro, sparendo quasi del tutto tra le foglie. Sbucava solo la testolina, come un animale curioso che non voleva perderlo di vista, e una nuova risata sbocciò sulle labbra di Alexiej. Si voltò, cercando la farfalla con lo sguardo. Non si era allontanata troppo, perciò tese la mano che teneva il pezzo di banana e offrì il palmo al cielo, in attesa; l'insetto svolazzò lì attorno per qualche istante, poi si avvicinò con cautela e infine si posò sul frutto, cominciando a gustare succulento spuntino.

Alexiej alzò gli occhi verso la bambina, che aveva tutta la testa fuori dai cespugli e lo fissava con un tale stupore da farlo ridacchiare di nuovo. «È più facile se offri loro qualcosa di dolce. Vieni, ora puoi avvicinarti. Non scapperà.»

La piccola sbattè le ciglia e ci pensò su per qualche istante, poi sgusciò fuori dal suo nascondiglio. Si guardò attorno prima di muovere un timido passo in avanti, poi un altro ancora, finché la sua camminata non divenne una corsa allegra e il sorriso piegò di nuovo all'insù le sue labbra.

Alexiej scivolò in ginocchio, la mano tesa verso di lei. «Vuoi tenerla?»

Lei annuì più volte e allungò il palmo, colta da un tale entusiasmo che la faceva vibrare sul posto, come fosse sul punto di saltare. I suoi occhi dorati divennero liquidi di meraviglia quando Alexiej adagiò con cautela il pezzo di banana sulla sua mano: la farfalla si agitò un poco, si staccò per un breve volo ma poi tornò a mangiare, le ali chiuse in posizione di riposo.

La piccola la ammirò a lungo da ogni angolatura, la avvicinò al viso, allungò un dito per sfiorarle le ali. Quando infine sollevò lo sguardo, i suoi occhi brillavano di una felicità così autentica che Alexiej ne avvertì il calore irradiarsi nel petto. Portò la piccola mano al cuore, batté una volta e poi la sollevò, tenendo pollice e medio a contatto. Ripetè quel gesto dopo un istante e Alexiej capì che doveva avere un qualche significato, ma quando provò a emularlo vide lo sguardo della bambina farsi incerto, fino a spegnersi del tutto.

«Ti sta ringraziando.»

Alexiej si accorse che Chloe si era avvicinata solo quando la vide accucciarsi al suo fianco. Doveva aver lasciato Irisha a Brycen, dato che non la teneva più in braccio, e subito sorrise alla bambina.

«Ciao, io sono Chloe.» Agitò una mano in segno di saluto, poi cominciò a gesticolare in modo definito, disegnando forme con le dita a mezz'aria o muovendo il polso in brevi tratti. «Lui è Alexiej. Tu come ti chiami?»

Il viso della bambina si illuminò. Drizzò il busto e di nuovo sembrò sul punto di saltellare sul posto, poi alzò la mano e mimò altre figure con la mano.

«Aurora!» trillò Chloe, accompagnando le parole ad altri gesti. «Hai un nome bellissimo! E la farfalla? Hai deciso come chiamarla?»

Aurora arricciò il naso e ci pensò un istante, poi tornò a muovere le mani. Alexiej comprese solo che doveva avere qualcosa a che fare con lui, perché la bambina gli puntò l'indice contro e restò a fissarlo dopo aver concluso.

«Dice che dovresti scegliere tu il nome» lo informò Chloe.

«Oh. Potremmo chiamarla... banana?»

Aurora sghignazzò senza emettere suono, il viso stropicciato di una tale ilarità che Alexiej si lasciò sfuggire un soffio divertito.

«Dice che sei più bravo a catturare farfalle che a dare nomi» disse Chloe, traducendo i suoi gesti incomprensibili. I movimenti di Aurora sembravano più numerosi rispetto a quelli di Chloe, ma usava poco l'altra mano, forse per timore di scacciare la farfalla. «Però ti perdona perché sei stato gentile.»

«Beh, grazie— No.» Batté la mano sul cuore e poi la allontanò, pollice e medio uniti. «Grazie.»

«Oh, guardateli!» Il sospiro di Edvokin anticipò il suono dei suoi passi, e l'attimo dopo le sue braccia erano attorno al collo di Alexiej. Si afflosciò alle sue spalle, la testa posata contro la sua, e abbandonò lo zimeo per parlare sayfano. «È un'immagine talmente deliziosa che il più abile dei pittori non troverebbe tonalità abbastanza vivide per catturarla – e non lo dico solo perché uno dei soggetti è mio marito, sebbene sarete concordi nell'ammettere che da solo basterebbe a rendere qualsivoglia quadro un capolavoro.»

«Sei tu, tra i due, quello che viene dipinto.»

«E in che modo questo dovrebbe rendere meno vera la mia affermazione?» sghignazzò, sfiorandogli la guancia in un bacio leggero. «Sai, Aurora, quest'uomo è ben più che semplicemente gentile: è affettuoso, sagace, divertente, protettivo – talvolta pecca di rigore, ma non temere, è per questo che ci sono io. Ci equilibriamo bene, come avrai modo di confermare tu stessa.»

Alexiej aggrottò la fronte, cercando lo sguardo del compagno. «Che stai dicen—?»

«Per il sole e le stelle!» La Lucilla che li aveva accolti si precipitò in giardino, la tunica rossa stretta tra le mani perché non fosse d'intralcio mentre correva. «Aurora, cosa ci fai qui? Vieni, torniamo dentro. E chiedi scusa ai signori per averli disturbati!»

«Non è necessario» disse Alexiej, alzandosi in piedi. «Sono stato io ad avvicinarmi, lei stava giocando per conto suo. Non ha disturbato nessuno.»

«È gentile da parte sua, ma sa che non dovrebbe uscire da soli quando ci sono ospiti. Non è vero?»

Si voltò verso Aurora e lei evitò il suo sguardo, accartocciando il visino in un broncio colpevole. L'espressione della donna si ammansì, ma la prese comunque per mano e la tirò a sè. «Non badate a lei, me ne occupo io. Sua Luminescenza è pronto a ricevervi, vi porto subito da lui e—»

«Splendido!» esclamò Edvokin allegro – troppo allegro. Le sue labbra si distesero in un sorriso furbo, e nei suoi occhi balenò la luce di un'idea che prometteva guai. «Sono certo che sarà lieto di sapere che abbiamo già preso la nostra decisione. Come si procede adesso? Aurora entrerà insieme a noi o dobbiamo presentarci prima da soli?»

La donna boccheggiò, strabuzzando gli occhi. «Aurora? Credevo foste interessati a un maschio...»

«E non è forse lecito cambiare idea? Sono certo che mio marito sia d'accordo con me nel dichiarare che abbiamo peccato di cautela nell'esprimere quella preferenza.»

Si voltò a guardarlo, e di fronte all'intensità del suo sguardo Alexiej non riuscì a controbattere. Si era avvicinato ad Aurora solo aiutarla, ma quando l'aveva vista sorridere il sole era sorto anche nel suo cuore. La meraviglia nei suoi occhi aveva rischiarato il cielo e lo sapeva, lo sentiva, che quella bambina aveva bisogno di lui quanto lui di lei.

Sorrise, cercando la mano di Edvokin per stringerla nella sua. Non aveva neppure osato pensarlo, ma in qualche modo lui aveva già capito. «Il sesso non ha importanza. Vorremmo discutere dell'affidamento di Aurora.»

Il viso della bambina si illuminò. L'entusiasmo le colorò il viso e alzò uno sguardo speranzoso verso la Lucilla, che la strinse più forte quando lei agitò il braccio – forse per dire qualcosa. Non poteva parlare con entrambe le mani occupate, ma la trepidazione che si leggeva nei suoi occhi era tanto evidente da strappare a Edvokin un versetto intenerito.

L'ombra di un sorriso sfiorò le labbra della donna, ma fu subito scacciata da un'espressione severa. «Aurora necessita di attenzioni particolari. È muta dalla nascita, ha bisogno di qualcuno che sia in grado di comprenderla e—»

«Conosco il linguaggio dei segni sayfano» si intromise Chloe. Un tempo quell'affermazione l'avrebbe stupito, ma si era ormai abituato al fatto che non sembrava esistere qualcosa che quella jiyana non fosse in grado di fare. «Stavamo chiacchierando con Aurora proprio adesso, è una bambina dolcissima. Sono certa che Edvokin e Alexiej impareranno presto come comunicare con lei, e nel frattempo posso aiutarli io. Così potrebbe funzionare?»

La Lucilla esitò, borbottò qualche sillaba inconcludente, poi si arrese in un sospiro. «Informerò Sua Luminescenza della vostra intenzione. Serviranno altri incontri, dobbiamo valutare le conoscenze della signora e—»

«Faremo tutto il necessario» la rassicurò Alexiej.

Sorrise ad Aurora e lei ricambiò con una tale dolcezza che giurò a se stesso di non deludere la fiducia che aveva infiammato il suo sguardo. Non era importante quanto sarebbe stato difficile, quali ostacoli avrebbe dovuto superare, quale sacrificio avrebbe dovuto compiere. Sarebbe diventato suo padre.

Nel suo cuore, dopotutto, lo era già.


BUON NATALE E BUON COMPLEANNO DI EDVOKIN!

Oggi una entry UN PELINO più lunga, ma proprio poco, eh xD

Avevo già deciso che più avanti Edvokin e Alexiej avrebbero adottato una figlia, e quando ho cominciato il Writober ho pensato che sarebbe stato carino sfruttare il POV di Alexiej per una shottina dedicata. Mi aspettavo venisse fuori così lunga? No, ma d'altronde ci siamo abituati xD

Quant'è carina questa bimbetta? E quando puccina la figlia dei Clochen? ♥ Aurora e Irisha diventeranno grandi amiche, già lo so u_u

Fatemi sapere che ne pensate e godetevi i festeggiamenti!


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