23. Motivo - Märghe
Märghe picchiettò le unghie rotonde contro il bicchiere, facendo oscillare il liquido dorato e frizzantino al suo interno. Il peso del calice a dispetto delle pareti sottili era un indizio sufficiente, ma le sfumature scintillanti dipinte dalla luce riflessa era la conferma che si trattasse di cristallo. L'esibizionismo dei Vulpecola aveva infine vinto sulla loro proverbiale paranoia: il capofamiglia aveva bandito qualsiasi arma dal gala, sottoponendo gli invitati a severe perquisizioni perché fosse loro consentito l'accesso alla villa, e aveva persino rimosso dalla sala qualunque oggetto appuntito o tagliente, eppure aveva tenuto i bicchieri. Non serviva una lama o un punteruolo per uccidere – Märghe sarebbe stata in grado di farlo persino con quelle buffe forchette dai rebbi smussati – ma che nessuno avesse preso in considerazione l'idea che fosse sufficiente rompere un calice per ottenere un'arma improvvisata superava il limite del ridicolo. Forse ne avrebbe usato uno per portare a termine il lavoro, così, tanto per sottolineare quanto plateale fosse la loro stupidità.
«Qualcosa non va, signorina? Forse il vino non è di suo gradimento?»
Il tono ironico di quelle parole si aprì in una vera e propria risatina, e quando Märghe alzò gli occhi si scontrò con quelli dorati di Kolt. Nascose il suo stupore dietro un debole sorriso di circostanza, squadrando il giovane dalla testa ai piedi. Stentava a riconoscerlo con i capelli legati e schiacciati dalla cera, i buchi alle orecchie vuoti e un elegante completo nero a fasciare la corporatura atletica. Cadeva troppo bene su spalle e busto perché l'avesse rubato a qualcuno, ma quel genere di rifiniture e quel tessuto così lucente da brillare sotto le luci al Sihir non erano elementi tipici del loro ambiente.
«Che curiosa coincidenza» disse, affiancandolo. «Somiglia proprio a qualcuno che conosco, ma lui non si veste così bene.»
«Ah, ecco il problema: le hanno servito aceto al posto del vino.» Kolt sghignazzò e afferrò un calice dal tavolo del rinfresco, riempito di un vino frizzante dalle tonalità violacee. «Qualcosa mi dice che tu non sia venuta qui per divertirti... Il che è un vero peccato, un solo bicchiere di questa cosa vale quanto un mese di affitto. Tanto vale approfittarne!»
«Non vorrai farmi credere che ti sei intrufolato qui solo per goderti la serata.»
«E qui viene il bello: non mi sono intrufolato da nessuna parte, Snowqueen. Sono entrato regolarmente, dalla porta principale e con tutti gli onori di casa, come i veri ricconi. Pensa, ho persino un invito a mio nome!»
Slacciò i bottoni della giacca e ne aprì un lembo, picchiettando sul cartoncino ripiegato che spuntava dalla tasca interna. Non ebbe bisogno di aprirlo, i decori dorati sul bordo furono sufficienti a riconoscerlo.
«Carino» disse, allungando le labbra in un sorriso giocoso. «Sembra vero quasi quanto il mio. Sullmoren? Mayer? O forse El Pajaro?»
«Compra degli occhiali quando ti pagheranno, questo gioiellino è autentico. Inchiostro d'oro, carta di non mi ricordo cosa, pacchetto completo» spiegò chiudendo la giacca. «E cos'è questa mancanza di fiducia? Cosa pensi che sia, un furfantello di bassa lega? Ho ancora una dignità, degli standard, un buon nome da difendere. È naturale che se c'è da contraffare qualcosa vado da Sullmoren, chiunque con un minimo di cervello riconoscerebbe che la qualità delle sue copie è la migliore.»
Märghe ci pensò su per un istante, poi gli concesse un cenno concorde che allargò il sorriso sul viso di Kolt. Aveva sempre il dubbio che quelle espressioni fossero sincere solo a metà, che sfoggiasse le migliori che aveva nel repertorio ogni volta che ne aveva occasione, ma non poteva negare che fosse affascinante. E se era frutto di un'attenta strategia forse avrebbe dovuto fargli i complimenti, perché ogni volta che lo vedeva distendere le labbra a quel modo le veniva voglia di baciarle.
«Allora? Chi è il fortunato?»
«Se pensi che ti rivelerò il nome del mio bersaglio, non sei così furbo come vuoi far credere.»
«È che denunciarti alla sicurezza mi sembra davvero poco galante, e sto pur sempre vestendo i panni di un gentiluomo. E mi dispiacerebbe dover rovinare questo bell'abito per combattere... Sai com'è, pensavo di rivendermelo, perciò eviterei volentieri.» Kolt si lisciò la giacca, dandosi una lunga occhiata. Si avvicinò fino a ridurre la sua voce a un sussurro, gli occhi dorati fissi nei suoi. Concentrati, attenti, ma non ostili – non ancora. La fissava con un sorriso diverso, uno che suggeriva dipende solo dalla tua risposta. «Non mi interessa interferire con il tuo lavoro. Di tutti questi idioti imbellettati non me ne può fottere di meno, ma c'è una persona in questa stanza che davvero non posso lasciarti uccidere.»
Sollevò lo sguardo e Märghe lo seguì fino al centro della sala, dove Luciano Aureli intratteneva una conversazione con altri invitati. Al suo fianco c'era la sua primogenita, l'attenzione rapita dagli interlocutori, invece il minore dei suoi figli se ne stava in disparte, un passo dietro le loro spalle. Indossava gli occhiali da sole rotondi che si diceva non togliesse neanche per dormire, ma era voltato verso di loro. Sollevò il calice e Märghe vide l'espressione di Kolt distendersi mentre ricambiava quel gesto, bagnandosi le labbra con un sorso di vino.
Lei lo imitò, assaporando il bianco frizzante che le avevano versato. «Non hai motivo di preoccuparti. Non è per il tuo principe che sono qui, ho interesse solo per i veri nobili.»
«Il mio principe?» sghignazzò, buttando giù ciò che restava del vino. «Diciamo più che è il mio cliente, sono la sua guardia del corpo per questa sera.»
«E fai gli occhi dolci a tutti i tuoi clienti?»
«Solo a quelli che possono permettersi di pagare gli extra. Sono una guardia del corpo piuttosto versatile— ah, ma non preoccuparti, per te è gratis. Offre la casa.» Le rivolse un occhiolino che avrebbe voluto definire fastidioso, ma che gli riusciva piuttosto bene. «Che ne dici di un ballo? Troppo lavoro fa male, Snowqueen.»
«Märghe» lo corresse, marcando quella vocale che i sayfani – non avrebbe mai accettato di definirsi sayfana anche lei – sembravano incapaci di pronunciare correttamente. «Se vuoi importunarmi, quantomeno usa il nome giusto.»
«Punto numero uno, come faccio a importunarti se azzecco il nome? Punto numero due, quello che ti ho dato io ti si addice di più. Punto numero tre...» Si accarezzò il mento in una smorfia pensosa, poi alzò le spalle. «Non lo so, mi sembrava ci fosse bisogno di un punto tre, la lista era un po' squallida con solo due voci.»
Märghe roteò gli occhi, lasciando il bicchiere vuoto sul tavolo. «Proviene da Märgbjörk, uno dei molti nomi di Madre Natura, e lo preferisco a un soprannome. Ti sembrerà assurdo, ma non tutti si sono convertiti al lucismo: i veri sek sono fedeli soltanto agli antichi Dèi.»
«Figurati, neanch'io sono lucista. Se devo venerare un angelo biondo dal fisico statuario e il volto perfetto, mi basta quello che vedo ogni giorno allo specchio.» Si liberò anche lui del bicchiere, poi allungò il palmo verso di lei. «Allora, ci stai o no? Se rimandi il lavoro di cinque minuti non muore nessuno... Beh, a parte il nostro amico.»
Märghe accennò una risata breve, un semplice sbuffo mentre si umettava le labbra. In effetti, non c'era fretta: la serata era appena iniziata, il suo bersaglio era ancora intento a spiluccare gli antipasti e di certo non avrebbe lasciato la sala nel tempo di un liscio.
Afferrò la sua mano. Lui la guidò sulla pista da ballo e la cinse per la vita, attirandola a sé molto più di quanto la danza richiedeva. Märghe fece scivolare il braccio attorno al suo collo, gli occhi fissi nei suoi mentre le dita delle mani ancora libere si intrecciavano tra loro così come i loro respiri.
«Sai quantomeno ballare?»
Kolt liberò un soffio ilare. «Io so fare qualsiasi cosa.»
«Quindi è un no.»
«Sono bravissimo a improvvisare. E un, due, tre...»
Cominciarono a volteggiare in passi confusi, mescolandosi tra le altre coppie finché il movimento non acquistò un senso. Kolt spiò i passi degli uomini attorno a lui per imitarli, e quand'ebbe preso il ritmo smise di concentrarsi su di loro e guardò solo lei, una mano premuta sulla schiena nuda e le labbra a un passo dal suo viso.
«Per cosa ti hanno ingaggiato?»
«Te l'ho detto, questa sera sono una guardia del corpo.»
«Una guardia del corpo non ha un invito. E non si allontana dalla persona che deve proteggere per bere e ballare.»
«Certo che no, sarebbe davvero poco professionale. Io sto tenendo d'occhio una famigerata assassina per assicurarmi che non sia una minaccia. Solo il meglio per il mio cliente.»
«Oh, per favore. Non crederei che sia tuo cliente neanche se vedessi un contratto firmato.» Piantò un tacco al suolo e lo forzò a ruotare per impedire il senso di marcia. Lui non le offrì la soddisfazione di vedere la sua espressione sorpresa, seguendola in un movimento fluido. «Tu ci vai a letto.»
«Perché ti interessa tanto? Vuoi unirti? Non credo che Vesper sia interessato alle ragazze, ma posso provare a mettere una buona parola.»
«Mi interessa perché stai mentendo, perciò hai qualcosa da nascondere. Se ti hanno ingaggiato per intralciarmi—»
«Nessuno mi ha ingaggiato» La spinse via, imitando gli uomini attorno a loro, poi la guidò di nuovo tra le sue braccia in una piroetta.«Vesper mi ha fatto avere un invito e in cambio mi assicuro che torni a casa tutto intero, così ti torna? Sono qui per spassarmela e nient'altro, perciò relax. Se fai la brava potrai persino avere il regalino che ho per te nei pantaloni.»
Märghe si accigliò. Soffiò un insulto in sek e fece per divincolarsi dalla sua stretta, ma Kolt scostò l'altro lembo della giacca e il respiro le si mozzò in gola. Il regalo era una pistola dall'impugnatura di ossidiana – una revolver a naso mozzato, a giudicare dalle dimensioni e dalla piccola protuberanza all'altezza della tasca.
«Regola numero uno» sussurrò Kolt, coprendo subito l'arma. La invitò a riprendere le danze con un cenno, e Märghe lo assecondò rilassando i muscoli. «Mai lasciarsi sfuggire l'occasione di una battuta a doppio senso quando ne hai l'occasione. Ti assicuro che altrimenti non avrei parlato di regalino.»
«Come hai fatto a portarla dentro?»
«Chi pensi si azzarderebbe a perquisire Vesper Aureli con gli occhi del Re di Lenwish puntati addosso? Sono l'unito autorizzato a mettergli le mani addosso – così l'ho presa in prestito. Ho pensato potesse tornarti utile.»
«E non sarà un problema se tu resti senza?»
«Sono un uomo dai mille talenti, sarò in grado di proteggerlo proprio come se fossi armato.»
Märghe lo fissò di sottecchi mentre la musica volgeva a termine. Si fermarono insieme alle altre coppie e Kolt imitò gli altri uomini inchinandosi di fronte a lei, portando una mano alle labbra per baciarle il dorso prima di condurla fuori dalla pista. L'esecuzione era ottima, ma non si premurò di nascondere quel sogghigno ironico dal viso, come se quello non fosse che un divertente gioco. Kolt poteva vestire come un gentiluomo e persino comportarsi come tale, ma non provava neppure a fingere di esserlo – il che era un bene. Non c'era peggior bastardo di quello che si presenta come un santo.
«Perché mi stai aiutando?»
«Scusa, l'ho dato per scontato. Ero certo che fosse ovvio dal fatto che ti ho fissato le tette per tutto il tempo» sghignazzò, abbassando lo sguardo sulle sue forme in modo più evidente. «Avevo pensato di portarti dei fiori, ma dicono che il modo migliore per conquistare una donna sia attraverso le sue passioni.»
«Non è una passione» sibilò, stringendo la mano ancora nella sua. Non furono necessari altri cenni: Kolt virò a destra, verso gli scalini che conducevano alle balconate interne. «Non lo faccio perché mi piace, e neppure per i soldi. Il motivo è molto più complesso di così, ma non mi aspetto che uno come te possa comprenderlo.»
«Invece lo comprendo. Avrei la sbatta di starci dietro? Manco per il cazzo, però lo comprendo – lo rispetto, persino. Non ho simpatia per i comuni assassini, ma so che tu non sei una di loro, per questo mi interessi. Ad esempio, so che posso lasciarti la pistola con la certezza che la riavrò indietro, cosa rara nel nostro settore. Siamo tra i pochi mercenari onesti rimasti in circolazione.»
Märghe sbuffò una risata, aggrappandosi al suo braccio per salire le scale rivestite di velluto. «Tu saresti onesto?»
«Sono onesto nel dire che sono un figlio di puttana. Non conta? Avrei potuto fingere di essere un grande uomo, interessarmi alla causa, sparare qualche stronzata per farmi figo ai tuoi occhi, ma non ho bisogno di nascondere che voglio scoparti. Il mio motivo è sempre alla luce del sole, con me sai sempre cosa compri.»
«Sei letteralmente un truffatore.»
«Quello è il mio mestiere, non è colpa mia se è così che funziona. Ok, forse è un po' colpa mia, ma escludendo il mio lavoro sono una persona onesta.»
Alzò un sopracciglio. «Hai la fama di essere un baro.»
«Quello non è essere disonesti, è inserire un livello di difficoltà differente» obiettò Kolt, agitando una mano a mezz'aria. «La mia abilità di imbrogliare contro la tua di accorgertene, anche quello è un gioco. Se io sono così bravo che gli altri non lo notano, peggio per loro.»
Si appartarono accanto ai pesanti tendaggi blu ai lati delle ampie finestre, fingendosi una semplice coppia in cerca di intimità. Lei gli circondò il collo con le braccia e Kolt la assecondò afferrandola per la vita, facendo scivolare il viso accanto al suo. Il suo respiro era caldo sul collo, la sua stretta sui fianchi vogliosa e impaziente, ma per qualcuno che continuava a ripetere quanto fosse impaziente di portarsela a letto aveva approfittato ben poco della situazione.
Buffo. In un altro contesto l'avrebbe definito normale, la base della decenza, ma nel loro ambiente era solo bizzarro. Forse era un piano anche quello, perché se avesse allungato la mano con lei rischiava di perderla, perciò si faceva strada verso il suo consenso. Ma, beh, che fosse quello il suo obiettivo l'aveva ammesso – perciò Märghe posò le labbra sulle sue, e lo sentì sciogliersi in un verso di piacere quando prolungò quel contatto in una serie di baci affamati. Era un peccato non potersi concentrare solo su quello; le piaceva il modo in cui la stringeva, le carezze della sua lingua, l'eccitazione che vibrava nel suo respiro affannato e riverberava tra le gambe. Ponderò persino la possibilità di godersi la serata prima di pensare al lavoro, ma il dovere aveva la priorità sul piacere.
Liberò un braccio per afferrare l'orlo della gonna, raccogliendo in mano quanta più stoffa riusciva. Non aveva una giacca e l'abito era troppo attillato sul busto per nascondere l'arma nella scollatura, ma la gonna a campana lunga fino al ginocchio era abbastanza ampia.
Non ebbe bisogno di parlare. Un solo cenno e Kolt comprese la sua silenziosa richiesta, infilando la mano sotto la sua gonna. Riprese a baciarla, sfiorando le sue labbra in tocchi morbidi mentre risaliva lungo la coscia, poi il tocco tiepido delle sue dita si sostituì al freddo morso del metallo contro sul suo fianco. La piccola pistola era più pesante di ciò che sembrava, avrebbe dovuto sostenerla con il braccio dall'esterno, ma quantomeno l'elastico dell'intimo la teneva ferma a sufficienza da non farla cadere.
«Ti interesserà sapere che la finestra di fronte ai bagni non ha la sicura» sussurrò Kolt, sfiorandole il collo in un rapido bacio.
«Che incredibile casualità.»
«Dev'essere il tuo giorno fortunato.»
Märghe scivolò via dalla sua presa, sistemando la stoffa della gonna al suo posto. «Riavrai la tua pistola stasera stessa.»
«E quanto al resto?»
«Chissà.» Le labbra si distesero in un nuovo sorriso mentre si allontanava. «Magari è anche il tuo giorno fortunato.»
VEDO LA FINE! Non è vero, mi mancano ancora parecchie entry, però ci avviciniamo xD
Torniamo sulla scia di Longshot con Märghe, che era rimasta l'unica di cui non avevo ancora scritto nulla! Ho in mente di scrivere qualcosina anche per lei sul primo incontro con Kolt, come ho fatto per Vesper e sto facendo per Realgar, però intanto vi beccate questa shottina u.u
Notare che ci ha messo 0,2 secondi a capire quanto Kolt sia un pagliaccio riguardo Vesper, ma vai tranquillo bro, continua pure così X°D
Fatemi sapere cosa ne pensate ♥
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro