22. Diverso - Uriel
Non si era resa conto di quanto fossero cresciuti i suoi capelli fin quando Lucilla Francesca non li aveva fatti scivolare oltre le spalle, spostandoli sul davanti. Uriel li spazzolava senza guardarsi allo specchio e li teneva raccolti in una crocchia durante il giorno, una pettinatura che le altre Lucille definivano decorosa, ma Lucilla Francesca aveva espresso il suo disappunto sin dal suo arrivo in convento.
Non sei ancora un'Adepta, aveva detto in un tono che non ammetteva repliche, non c'è motivo per cui tu non possa essere graziosa. Così l'aveva fatta sedere alla toletta e le aveva sciolto i capelli, districando i nodi con pazienza. Uriel aveva tentato di distogliere lo sguardo dal suo riflesso, ma gli occhi tornavano a fissare le ciocche nere lunghe fino al petto. Troppo lunghe. Non le piaceva il modo in cui le sfinavano il viso, ammorbidendo i tratti e facendo apparire gli occhi più grandi. Forse era davvero graziosa, ma sembrava una persona diversa e dovette trattenere l'impulso di spingerli all'indietro, serrando i pugni rigidi sulle cosce.
Lucilla Francesca raccolse solo alcune ciocche dietro la testa, fermandole con un nastro blu che legò in un fiocco, ma si assicurò di lasciare dei lunghi ciuffi ai lati del viso e ravvivò il resto della chioma sulle spalle.
«Ecco fatto» trillò con un sorriso ampio, le mani posate sulle sue spalle mentre la fissava attraverso lo specchio. «Guarda quanto sei carina! Molto meglio così, non trovi?»
Per niente, avrebbe voluto rispondere, ma la donna non attese risposta: bofonchiò qualcosa riguardo i suoi abiti e si allontanò in rapidi passi dalla camera, lasciandola sola con un torno subito che Uriel udì a malapena, gli occhi fissi sulla sconosciuta nello specchio.
C'era stato un tempo in cui non avrebbe saputo distinguere il suo riflesso da quello del suo gemello. Da bambini si somigliavano così tanto che le Lucille li confondevano tra loro, poi avevano tagliato i capelli di Beel mentre quelli di Uriel continuavano a crescere, e più gli anni passavano più le differenze risultavano evidenti. Beel l'aveva superata in altezza, anche se solo di pochi centimetri; le sue spalle erano più larghe; i tratti del viso più marcati; il busto più ampio. Le Lucille continuavano a definirli identici, ma Uriel lo vedeva che non era vero. Vedeva che lo specchio restituiva un'immagine così diversa da quella che desiderava da farle venire la nausea.
Era giusto così, naturalmente. Più ci rifletteva e più si rendeva conto che aveva senso, che non avrebbe potuto essere diversamente. Erano due metà dello stesso insieme, lei e Beel: il Signore della Luce li aveva creati per essere vessilli dei poteri di luce e ombra, perciò era logico che fossero opposti come lo erano lui e la Dama della Notte, uomo e donna, simili e contrari al tempo stesso. Era giusto, e logico, e aveva perso il conto di quante volte era costretta a ripeterselo ogni giorno. Era giusto e logico, e quel fastidio allo stomaco era solo colpa di un demone che continuava a tentarla.
Le sussurrava all'orecchio in una lingua che fingeva di non conoscere ma che comprendeva ugualmente. Si insinuava nella sua mente ogni volta che Uriel si guardava allo specchio, ghermendo i suoi pensieri con le lunghe dita ombrose fino a prenderne il controllo, suggerendo verità che non voleva ascoltare. La consapevolezza che la luce stava mentendo, perché quell'immagine non apparteneva a lui — lei.
Lei, lei, lei.
Il Signore della Luce non commetteva errori. Così l'aveva creata, così sarebbe morta, e nessun demone sarebbe mai riuscito a convincerla del contrario. Non avrebbe dato ascolto alle perversioni della Dama della Notte, non avrebbe fallito la sua prova, sarebbe diventata un'Adepta e poi una Lucilla al servizio di suo fratello, così come il disegno divino prevedeva.
Lei era Uriel, prediletta di Dio, portatrice della sua luce. Era l'altra metà di Beel, sua sorella, e quella che aveva davanti era l'immagine che avrebbe dovuto mostrare. Quella di una ragazza graziosa, con un fiocco tra i capelli lunghi, con il viso dolce e gli occhi grandi. Quello di una ragazza con le spalle strette e la vita sottile. Quello di una ragazza. Ragazza. Perché era sufficiente pensarlo per sentir prudere la pelle?
Sciolse il fiocco, spingendo all'indietro i capelli. Non era abituata a portarli sciolti, le davano fastidio, solleticavano il collo, sembrava di avere decine di millepiedi a camminare sulle spalle. Non riusciva a respirare bene tanto erano soffocanti, e solo quando li raccolse tra le mani il petto si aprì per accogliere un respiro profondo. Li legò insieme con il nastro che avrebbe preferito rosso – come il fuoco, il sole, l'uomo – e strinse più forte che poteva per strozzare quella fantasia che non voleva saperne di morire.
«Angelo Uriel, sommo serafino di luce eterna, io ti invoco.»
Avrebbero dovuto essere uguali, lei e Beel. Non era giusto, non era logico, ma Uriel non riusciva a guardare suo fratello senza pensarlo. Incarnava tutto ciò che avrebbe potuto essere, quello che avrebbe voluto vedere nel suo riflesso.
«Tu, che dalla dimora splendente di Arturo mi hai offerto la protezione del tuo nome sacro, dispiega su di me la tua luce purissima.»
Catturò i capelli tra i palmi, ma persino abbozzare la solita crocchia non scacciò quel fastidio. Uriel poteva sentirlo strisciare sottopelle, graffiarle lo stomaco mentre rosicchiava il petto cercando di uscire. Soffiò un respiro pesante mentre il cuore cominciava a battere così forte da vibrare in gola, avvampando le gote fino a farle arrossare.
«Scaccia le voci maligne dei demoni e rischiara il cammino che si cela nell'ombra, affinché non smarrisca la via.»
Strinse gli occhi, rannicchiandosi sullo sgabello fino a posare la fronte sulle ginocchia. Il Sihir rispose alle sue preghiere, le accarezzò la pelle e Uriel lasciò che riempisse il suo corpo, illuminando la stanza di una luce così intensa che il nero delle sue palpebre chiuse mutò in rosso. La sentì pizzicare tra le mani, scaldarle la pelle mentre le lacrime scivolavano sul viso, pregò che fosse in grado di incenerire anche il demone che la tormentava. Non chiedeva un miracolo, voleva solo liberarsi dalla percezione distorta in cui era intrappolata, aprire gli occhi e riconoscersi allo specchio, guardare la sua immagine senza impazzire.
«Angelo Uriel, sommo serafino di luce eterna, ti scongiuro...»
L'odore di bruciato la raggiunse così improvvisa da farla sussultare. Drizzò il busto e quando aprì le mani le ciocche neri scivolarono via dalle dita, cadendo sul petto, oltre le spalle, sparpagliandosi al suolo insieme al fiocco.
«Per il sole e le stelle!»
Lucilla Francesca trasalì sull'uscio, una mano sul petto. L'altra teneva quello che sembrava un lungo abito blu a fiori, ma la donna lo abbandonò subito sulla toletta per correre da lei, prendendole il viso tra le mani.
«Cos'è successo? Oh, Signore della Luce, i tuoi poveri capelli...»
Uriel si strinse nelle spalle. «Non lo so, io... Stavo pregando, e la luce... Ho perso il controllo.»
«Non preoccuparti, si può risolvere. Prendo le forbici e diamo una sistemata, vedrai che sarai graziosa tanto quanto prima, d'accordo?»
Uriel annuì, tornando a guardare lo specchio. Non le sembrava ci fosse qualcosa da risolvere: i suoi capelli erano un disastro, un taglio storto fatto di punte bruciacchiate, ma riusciva di nuovo a respirare. La sua immagine non faceva più così paura, somigliava di più a Beel — no, somigliava di più a ciò che si aspettava di vedere nel suo riflesso.
Il vero Uriel.
Come anticipato ecco anche il POV di Uriel ♥ Cosa ne pensate? 👀
L'estratto è ambientato circa due anni prima quello di Beel, infatti lì vediamo Uriel con i capelli corti. Dopo questo episodio non li farà più ricrescere, ma - come si può intuire dal fatto che usa ancora il femminile - il suo conflitto interiore è tutt'altro che risolto.
Io stessa sono sempre indecisa su che pronomi usare su questo personaggio, ma ho pensato di seguire il suo "presente narrativo" e usare il femminile finché non sarà Uriel a cambiare idea. Per il momento si aggrappa a quel "lei" con le unghie, per quanto forzato, lascerò che la narrazione segua il flow~
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