⇝ 26. Non c'è mai limite al peggio
Se la fortuna è cieca, la sfiga ha l'occhio di un falco.
Era ciò che aveva finito per ripetersi Sarah quando James, in appena un paio di giorni, era passato dall'essere il principe azzurro a cavallo al ricordare Lord Farquaad, del film "Shreck".
La sua esultanza era durata molto poco.
All'inizio aveva passato la maggior parte del proprio tempo a fantasticare trasognata sulla possibilità di lasciarsi alle spalle la disavventura con Ethan e iniziare una storia con James, ma con il procedere delle conversazioni le era parso sempre più lampante quanto poco fossero compatibili.
Il piccolo Lord era in grado di coinvolgerla quanto una lezione di geografia.
> Come stai? Cosa mi racconti?
Era questo il messaggio che la povera Sarah si era vista recapitare con una media di cinque volte al giorno.
Al primo poteva rispondere che si sentiva assonnata, al secondo che voleva prendersi una pausa dalle lezioni... al terzo però voleva solo urlare frustrata. Arrivati al quinto avrebbe ben volentieri barattato quella tortura con una fine più veloce e dignitosa.
La giornalista aveva tentato più volte di rendere più piacevole lo scambio di battute al fine di stimolare l'attenzione di entrambi - soprattutto la propria - ma James sembrava funzionare al contrario: più il colloquio era monotono, più ne sembrava soddisfatto.
Arrivati al fatidico venerdì dedicato alle lezioni di impaginazione al club di giornalismo, Sarah era riuscita a patteggiare con Lord Farquaad una piccola pausa per "questioni inderogabili e per la quale serviva la massima attenzione".
«Non sarò raggiungibile, non mi scrivere!» gli aveva raccomandato più e più volte, sperando segretamente che lui la intendesse come un "a mai più".
Le sue risposte monosillabiche riccamente condite da cuori e smiles, però, sembravano dire l'opposto.
Seduta dunque accanto a Isaac, la mora stava seguendo con attenzione le istruzioni di quello che un giorno sarebbe divenuto anche il suo lavoro.
Il biondo, tuttavia, si stava rivelando un pessimo insegnante.
La sensazione provata da Sarah era più o meno quella sperimentata da un alunno distratto durante l'ora di matematica: un attimo prima c'è scritta una sola formula sulla lavagna, quello dopo un intero problema.
«Arrivati a questo punto rimane solo da inserire la domanda dell'intervistatore e le migliori risposte degli intervistati.» continuò Isaac, fermandosi giusto per sistemarsi gli occhiali squadrati e senza far caso al visibile smarrimento della sua alunna. « Ad esempio prendiamo questa che è esilarante: "attendo solo di trovare la mia anima gemella, sposarla e mettere al mondo cinque bambini"... non mi stancherò mai di leggere quest'intervista.»
Il resto dei giornalisti presenti, occupati nella stesura di alcuni articoli per il giornalino, ridacchiò assieme a lui.
La mora si sforzò di non mostrare troppa ilarità: poveri ingenui, se solo fossero stati a conoscenza della reputazione dell'autore di quella frase, certo avrebbero dovuto ritenere nullo l'intero questionario. Per non parlare poi delle risate che si sarebbe fatto Max, una volta scoperto di essere finito su un opuscolo che avrebbero letto anche i bambini delle medie.
Stava giusto pensando alla sua espressione orgogliosa, all'arricciarsi birichino degli angoli della sua bocca, quando Olivia, di ritorno dalla segreteria amministrativa, si spalancò la porta dell'aula con uno sgradevole sorriso - tenuta chiusa per evitare che il baccano provocato dai lavori di manutenzione all'impianto idraulico li disturbassero.
«La preside ha beccato dei ragazzini mentre cercavano di irrompere nella Stanza. Adesso sono tutti e tre nel suo ufficio e la si sente strillare dalla mensa.» rise il Sergente. «Imbecilli.»
Patrick scosse la testa mormorando tra sé e sé, quasi si fosse ritrovato davanti ad una storia già sentita troppe volte in appena due anni, mentre Sierra si limitò a lasciare andare una debole risatina senza sollevare gli occhi scuri dal monitor del computer. Nemmeno Isaac si scompose troppo.
Sarah, invece, si sforzò di trattenere un sorriso orgoglioso: era l'unica, là dentro, ad essere riuscita a metter piede in un posto dove nessun altro era stato. Nemmeno il Sergente e la sua costante convinzione di essere sempre una spanna sopra gli altri.
«Succede spesso?» domandò la mora.
Olivia la guardò con sufficienza come al suo solito, ma Sarah non ci fece caso, ormai si era abituata ai suoi modi di fare da Doberman - dopotutto c'era un motivo dietro al suo iconico soprannome.
«Purtroppo sì. Credono sempre di trovar dentro qualcosa di prezioso, povere stelle.» commentò acidamente questa.
Sarah, a questo punto, non riuscì proprio ad evitare che gli angoli delle labbra le si curvassero all'insù: "Oh, mia cara... qui sei tu la povera stella", avrebbe voluto replicare.
Era quasi tentata a sbatterle sotto al quel suo muso stizzito il fatto di essere riuscita ad entrare e curiosare in giro - e di aver trovato anche degli indizi interessanti, soprattutto - ma il ricordo della ragazza che sbraita e caccia via malamente un intero club la frenò: Olivia, come la definiva lei in compagnia di Logan, era "un'ingrata di merda".
Pertanto, la quattordicenne soppesò ben bene le sue successive parole.
«Ma qualcuno è mai riuscito a sbirciare dentro e riportare con precisione quel che ha visto?»
Ed ecco un'altra occhiata tagliente.
«No.» fu la risposta secca del Sergente.
«In realtà qualcuno che afferma di aver visto cose che noi non abbiamo visto c'è, ma è un po' uno squinternato.» prese parola Patrick, degnando finalmente tutti del suono della propria voce.
«Perché lo considerate mezzo andato? Cosa dice di strano?» si incaponì la mora, decisa più che mai a raccogliere informazioni da sola.
«Perché effettivamente è un po' strambo.» le risposte Sierra. «É inutile continuare anche il discorso, fidati. Te lo dico da studentessa del terzo anno che combatte da un po' con queste dicerie.»
Sarah si morse la lingua per cercare di zittirsi e dare ascolto al consiglio della vice, ma l'argomento era talmente scottante che non riusciva proprio a darsi un contegno. Insomma, tutti i giornalisti avevano senz'altro più esperienza di lei in merito, ma era fermamente convinta che proseguire per quella strada avrebbe fruttato qualcosa prima o poi.
Osservò tentennante i presenti, indecisa se lasciare morire lì la conversazione o continuarla; Isaac le picchiettò un dito sul dorso della mano per richiamare la sua attenzione e farle cenno di no con il capo, quasi a suggerirle di lasciar perdere e tenere la bocca chiusa.
Tuttavia era più forte di lei.
«E per quanto riguarda la Leggenda-.»
«Oh, santo cielo! Tu mi preoccupi: come dobbiamo dirtelo che sono tutte baggianate?!» esplose Olivia, furibonda. «Sono stufa marcia di tutte queste fesserie. La storia la sai, bella, non fingere di non averla mai sentita. Sei qui per una ragione specifica, continua a lavorare e falla finita.»
La senior non perse nemmeno tempo per osservare l'espressione offesa di Sarah, riaffaccendandosi subito con il proprio lavoro.
La mora si voltò verso Isaac in cerca di un minimo di supporto, il quale si limitò a scrollare le spalle come a dire: "visto?".
«Dunque, dove eravamo rimasti...» riprese tranquillamente il biondo.
*
Dopo quasi un quarto d'ora di spiegazioni, Sarah era sempre più convinta che Olivia le avesse affiancato Isaac per metterla alla prova. O magari per dispetto, conoscendo il suo caratterino amorevole.
Il ragazzo era saltato da un comando all'altro senza apparente criterio logico, rendendo ancora più complessa l'impresa di stargli dietro e memorizzare tutti i passaggi per ripeterli in autonomia. Di fatto, della prima parte illustrata prima dell'arrivo del Sergente, la poveretta non si ricordava assolutamente nulla.
E tanto per mettere ulteriore carne al fuoco, Olivia l'aveva anche "minacciata" di prenderla sotto la sua ala per vedere quanto avesse compreso e memorizzato nel frattempo.
Qualcosa poteva ancora andare storto? Oh, certo che sì. Dopotutto c'è un motivo se si usa dire che al peggio non ci sia mai un vero limite.
Il cellulare, che fino a quel momento era rimasto silente, vibrò improvvisamente. Sarah lo guardò come se fosse una granata pronta ad esplodere.
Approfittò della distrazione del collega per voltare il telefono e capire chi fosse il mittente, augurandosi di non ritrovarsi a tu per tu con qualcuno di sgradito. Quando poi lesse il nome di James, la ragazza a stento trattenne le urla frustrate.
Una pace che era perdurata meno di un'ora.
Eppure ricordava di essere stata abbastanza chiara: non voleva essere disturbata.
Ignorò il primo messaggio sperando che il suo spasimante desistesse dal volerla a tutti i costi cercare. Tuttavia, non fece nemmeno in tempo a riporre l'oggetto maledetto e a cercare di ritrovare la concentrazione necessaria, perché dopo appena qualche secondo questo emise di nuovo il suo tipico ronzio.
> Sei libera adesso? Posso chiamarti per sentire la tua voce?
Ma nemmeno per scherzo.
Che poi a Sarah dispiaceva anche essere così severa e cinica nei confronti del ragazzo, ma proprio non riusciva a trovare in lui un qualcosa di stimolante.
E dire che all'inizio si era anche mortificata perché lui sembrava non essere interessato a lei.
«Ora mi serve la tua massima attenzione.» riprese Isaac, del tutto ignaro dello stato d'animo della giovane.
Se solo si fosse trovata in una stanza da sola, Sarah avrebbe sbattuto la fronte sul tavolo per la frustrazione.
Si sforzò di raccogliere tutte le forze rimaste e concentrarsi sul vecchio schermo fisso del monitor del club, ma l'insistente tremare del proprio cellulare glielo impediva con fermezza.
Cosa non aveva compreso, James, della frase: "non mi scrivere"? Nemmeno si fosse trattato di una condizione di vita o di morte...
«Posso fare una pausa?» domandò Sarah, prima che l'occhialuto cominciasse la sua spiegazione.
«Purché sia veloce, devo ancora farti vedere come si calcolano le statistiche e si creano i grafici.»
"Wow, che bello!" pensò la ragazza, sforzandosi di sfoderare un sorriso.
«Tempo di prendermi un caffè e arrivo.» replicò questa con finta innocenza e ignorando lo sguardo severo del Sergente.
Sarah non attese nemmeno una risposta: sfrecciò fuori dalla porta come se all'interno della stanza mancasse l'ossigeno e fosse in procinto di soffocare. Allontanatasi dal telefonino, si sentiva già molto più leggera.
Camminò con sguardo tetro fino al piano terra, passando dalle parti dell'ufficio della preside con la speranza di poterla udire sbraitare e inveire verso i due sciocchi sprovveduti ma, purtroppo, il silenzio proveniente da dietro la porta chiusa, le comunicò di aver tardato.
Peccato, si era persa lo spettacolo per poco.
I corridoi erano disseminati di disegni, olio su tela, schizzi figurativi; su ogni superficie erano stati depositati centrotavola all'uncinetto, vasi di creta con dei fiori candidi, fotografie in bianco e nero di coppie di studenti, putti alati... insomma, la Forthbay High School, in quel periodo, era quanto di più simile al salotto di una nonna ossessionata dalle decorazioni.
Ciliegina sulla torta: il corso di scultura sembrava essersi dato alla pazza gioia e, negli ultimi giorni, aveva sfornato decine e decine di putti alati, che adesso osservavano il passeggiare dei ragazzi da ogni angolo degli androni.
Arrivata nei dintorni delle macchinette, la ragazza notò con orrore come quelle maledette statuette fossero arrivate anche lì.
Sarah si avvicinò sbuffando, pregando internamente che quell'intervallo terminasse al più presto e si ricominciasse con la solita, noiosa, monotonia pre - open day. Estrasse dalla tasca della divisa la chiavetta, la inserì nell'apposita fessura, e premette il tasto "caffé macchiato", pregustandosi mentalmente la prospettiva di sorseggiarlo con calma e in solitudine.
E fu solo allora che lo notò, lo sguardo perso del piccolo Cupido.
Il mostriciattolo in questione la osservava dall'alto con i suoi occhietti vacui che, ora che li ispezionava meglio, le ricordavano fin troppo quelli di James. Sebbene i connotati pieni del fanciullo fossero molto differenti da quelli più adulti del suo spasimante, Sarah non poteva fare a meno di notare una certa somiglianza tra l'espressione inanimata del primo e quella da pesce lesso del secondo.
Era quasi tentata di prenderlo e gettarlo in qualche sgabuzzino.
Si sentì un groppo in gola al solo pensiero che, una volta di ritorno al club, ci sarebbero stati i commenti sprezzanti di Olivia e dozzine di messaggi da parte del ragazzo.
"Oh, James..." pensò tra sé e sé. Le aspettative che lei aveva riversato in lui - anche solo per una manciata di giorni - erano state totalmente errate: Ethan era, al momento, insuperabile. Il senior era una spanna sopra agli altri: più colto, più simpatico, più misterioso e, soprattutto, più intrigante. Insomma, Ethan era bello dentro, oltre che essere bello fuori.
Due qualità che James non possedeva - o almeno non le padroneggiava quanto lui - e che la ragazza dubitava di ritrovare in qualcun altro.
Se qualcuno fosse passato di lì e l'avesse scorta a fissare una statua per interi minuti senza battere ciglio, avrebbe senz'altro fatto una telefonata al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell'ospedale più vicino.
E fu proprio osservandola che Sarah si rese conto di dover fare la cosa giusta: prendere il coraggio a quattro mani e dirgli in modo chiaro di non essere interessata a lui.
Ma in che modo? Da una parte si sentiva anche piuttosto in colpa per essere arrivata fino a lì, sebbene non avesse fatto nulla di sbagliato. Aveva conosciuto un ragazzo che aveva capito non essere adatto a lei e adesso voleva porre fine al frequentamento, prima che questo diventasse serio. Aveva tutto il diritto di rifiutarlo.
La macchinetta del caffé emise un fischio sommesso, segno che la sua tazzina era pronta per essere prelevata.
Tuttavia, lei la ignorò. Si schiarì la gola, chiuse gli occhi sospirando e fece la cosa più assurda che avesse mai fatto in tutta la sua vita:
«James, ti devo parlare...»
Se proprio le toccava mollarlo e non svignarsela nell'ombra, allora tanto valeva allenarsi per evitare strafalcioni. Dopotutto non aveva mai avuto un fidanzato - o anche banalmente qualcuno con cui uscire per farlo diventare tale - non aveva la più pallida idea di come si dovesse lasciare una persona.
«Sei un ragazzo... gentile. Davvero. Ma ci ho pensato tanto e a lungo, e-.»
«Ma cosa accidenti stai facendo?»
Sarah sentì il sangue raggelarsi nelle vene.
Non aveva avuto problemi a riconoscere la voce di Logan, ma l'idea che l'amico - che per quanto strano di suo, certo non era mai arrivato a doversi esercitare con un pezzo di gesso per poter porre fine ad un rapporto - l'avesse vista, la faceva sentire molto in imbarazzo.
Si voltò di scatto rossa in viso, pronta a spergiurare che non fosse come sembrava, ma davanti al ragazzo con indosso un grembiulino da massaia e guanti gialli di gomma, Sarah scoppiò a ridere senza alcun ritegno.
Dietro di lui, un Chase Anderson piuttosto avvilito e addobbato nello stesso identico modo spingeva il carrello delle pulizie.
«Siete meravigliosi.» li derise lei.
Se solo non avesse lasciato il cellulare al club, non avrebbe esitato ad estrarlo dalla tasca per immortalare il momento.
«Ma come mai siete conciati così?» domandò poi, sempre spanciandosi dalle risate.
Logan, in genere sempre tranquillo e buono, rivolse il capo verso il povero Chase per scoccargli un'occhiataccia.
«Giravo da queste parti per caso...» iniziò lui in modo vago, per non dover ammettere di essersi diretto al secondo piano solo per sbirciare come stesse andando il pomeriggio "di gloria" di Sarah. «E ho trovato questo qua con una chiave in mano, tutto intento a cercare di irrompere nella stanza. Quindi mi sono avvicinato...»
Le risa della giornalista si interruppero di colpo. Dunque erano loro i due sprovveduti di cui si prendeva gioco Olivia.
«In pieno giorno?!» domandò Sarah a Chase con un filo irritazione.
Il suo viso si era deformato in un'espressione di rimprovero.
Chase, invece, sembrava voler sparire nel nulla.
«Sì, in pieno giorno.» rimarcò seccato il calciatore, anche lui incenerendo il colpevole del disastro. «Ho cercato di convincerlo a lasciar perdere, anche perché era palese che la chiave che gli avessero venduto fosse sbagliata, ma lui non si è voluto muovere di lì. Va' a capire cosa volesse dimostrare e a chi...» borbottò torvo.
Sarah si portò una mano in viso e scosse la testa amareggiata.
«E quindi? Come ha fatto la preside a beccarvi?» tagliò corto. «E soprattutto: cosa succederà ora?»
Logan sbuffò.
«Per colpa del casino per la manutenzione non l'abbiamo sentita arrivare e ce la siamo trovata davanti.»
La Dolce Trinity, infatti, stava facendo un piccolo giro di ricognizione per controllare lo stato dei lavori e degli stessi androni, quando aveva sorpreso i due quattordicenni imbambolati davanti alla Porta e con una chiave sospetta in mano. L'ordine di seguirla nel suo ufficio era stato pronunciato con un tono gelido, per poi esplodere in una collera cieca non appena questi avevano varcato l'uscio.
Il castigo fissato, alla fine, consisteva in una settimana di pulizie.
«Ci ha però fatto anche intuire che la cosa non finisce qui. Suppongo che intendesse che per un po' saremo sotto una lente d'ingrandimento...» terminò Logan con eloquenza.
I due complici si guardarono negli occhi per un paio di secondi, prima che Sarah, con fare seccato, borbottò:
«Di bene in meglio.»
Negli ultimi giorni tutto aveva preso la piega sbagliata: quella che lei sperava sarebbe diventata una storia d'amore da film, si era rivelata essere un flop colossale con tanto di fischi e pomodori marci scagliati sul palco; la tanto agoniata lezione di impaginazione si era trasformata in una noiosissima sequela di indicazioni e comandi spiegati alla rinfusa; il suo piano segreto di, sera dopo sera, mettere il naso in tutti documenti presenti nella Stanza, era appena stato affossato da Chase e la sua ingenuità.
Cos'altro poteva andare storto? Doveva forse iniziare a prestare bene attenzione al cielo, nell'eventualità che un meteorite si abbattesse sulla sua casa o sul dormitorio femminile?
La giornalista dovette dargli le spalle per far fronte all'impellente bisogno di saltargli addosso e prenderlo a sberle. Che poi, ora che ci pensava, era sempre stato lui - in un certo senso - a rovinare la prima uscita in compagnia, all'inizio dell'anno.
Chase era una condanna.
«Mi hanno venduto quella chiave a-.»
«Forse è il caso che iniziate a spazzare.» proruppe Sarah, interrompendo la causa del disastro senza mostrare un minimo di tatto.
Questo non provò nemmeno a continuare con le proprie spiegazioni, ma si limitò a sbirciare la reazione di Logan e, davanti ad un'altra sua occhiata nera, si poggiò al carrello delle pulizie e lo spinse verso il fondo dell'androne.
Il calciatore attese che il compagno di punizione fosse abbastanza distante da non udirlo per poter aggiungere:
«Siamo entrambi fuori gioco per un po': io perché direttamente sorvegliato, e te perché penso proprio che per qualche settimana si assicureranno di non lasciare la Porta aperta.»
«La prossima volta fatti gli affari tuoi e vattene.» lo rimproverò la ragazza.
«Oh, sì. Senti da chi arriva la critica.» la pungolò lui, nel maldestro tentativo di risollevarle il morale.
Malgrado Logan trovasse che Sarah da arrabbiata avesse un aspetto più grazioso e simpatico, piuttosto che minaccioso, non gli piaceva l'idea di lasciarla da sola a cuocere con la consapevolezza di non poter più tornare nella Stanza a breve: sapeva quanto ci teneva e, se proprio voleva dirla tutta, si sentiva anche un po' in colpa.
Questa, come previsto, finalmente si voltò a guardarlo.
«Va' via, va! Che è meglio.»
Logan sghignazzò vittorioso, soffermandosi un attimo ad osservare le labbra dell'amica sigillarsi in una linea sottile, nell'inutile sforzo di nascondere un sorriso. I due si guardarono sereni negli occhi per un secondo, il segnale di una complicità ritrovata, per poi distogliere lo sguardo e riposarlo sui rispettivi impegni: Sarah il proprio caffé, Logan il carrello delle pulizie abbandonato davanti all'ultima aula in fondo all'androne.
«Vado ad adempiere ai miei doveri. Tu cosa fai? Resti qui a parlare con la statua?» le domandò Logan scherzosamente.
Sarah ricominciò a fissare il putto in questione, sul viso un'apparente espressione neutra.
Aveva deliberatamente ignorato la provocazione dell'amico, occupata a pensare alla sua nuova idea malsana.
«Vai, io finisco qui e poi torno al corso.» replicò, fissando con insistenza il piccolo sosia di James.
***
Et voilà! Ho mantenuto fede alla mia parola di pubblicare un capitolo ogni 2 settimane circa. Vi avviso anche che, se su Instagram mi vedete molto poco attiva, è perché ora sono davvero tanto impegnata.
Per questo motivo aggiungo che le pubblicazioni avverranno SOLO di sabato o domenica. In settimana non ho un pomeriggio libero.
Ma torniamo a noi: vi aspettavate che questa cosa con James sarebbe naufragata così in fretta e con queste modalità? Speravate che sarebbe stata l'opportunità di accantonare Ethan, o invece avete in mente altri progetti per Sarah? Sono curiosa di sentire la vostra!
Ma soprattutto, come pensate che si evolverà questa questione su Renée, ora che la Stanza è momentaneamente off limits?
Un bacio,
Lily:*
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