Walls
È più facile costruire bambini forti che riparare uomini rotti.
⁓ Frederick Douglass ⁓
«Grazie.», rispose Izuku a denti stretti, concentrandosi sui colori vibranti delle verdure che galleggiavano nella sua zuppa e sul profumo invitante della pancetta stufata. Si rifiutò di lasciare che il comportamento ostile di Katsuki gli rovinasse il pasto.
Dopotutto, era per lui qualcosa di nuovo il pranzare in famiglia, riunirsi attorno a un tavolo in quel modo. Erano sempre stati lui e sua madre, da che ne aveva memoria. E per quanto il ricordo dei suoi manicaretti lo confortasse, lo rendeva anche incredibilmente afflitto, tanto che mescolò con calma nella ciotola bianca e azzurra, quasi fosse distratto o schifato dal cibo, pizzicando i noodles con fare svogliato.
Mitsuki e Masaru si scambiarono sguardi preoccupati prima di riportare l'attenzione al loro ospite
L'uomo, vedendolo tanto mesto e cercando di mantenere l'illusione di un pranzo tranquillo, si rivolse al giovane Alpha: «Non è delizioso questo piatto, Izuku?», chiese Masaru, cercando di portare un po' di calore nella conversazione: «Mitsuki prepara il miglior ramen della città!»
La donna minimizzò quel complimento, troppo abituata a sentirsi adulata dal marito e vide Izuku sgranare gli occhi a quella domanda così banale.
Il ragazzo trasalì, portando alla bocca un po' di noodles, masticandoli con calma, assaporandoli fino all'ultimo. «S-sì.», balbettò Izuku, forzando un sorriso. «È molto buono.»
Izuku strinse i denti e si concentrò sul cibo, pur sentendo il disprezzo di Katsuki così tangibile nei suoi confronti, tanto che gli sembrava che quel sentimento avesse una presenza fisica ingombrante che lo premeva da ogni parte.
«Se non ti piace non farti problemi, sai?» lo incalzò Mitsuki, con voce gentile e preoccupata. «Abbiamo cibo in abbondanza.»
«No. Non preoccuparti. Il ramen va benissimo!».
Gli occhi di Katsuki non lasciavano mai Izuku, il sorriso sulle sue labbra si allargava mentre osservava il disagio dell'Alpha: era chiaro che gli piaceva avere il sopravvento, e Izuku non poteva fare a meno di provare un'ondata di rabbia.
Perché Katsuki doveva avere così tanto controllo su di lui? Erano entrambi esseri umani, entrambi meritevoli di rispetto e di dignità. Eppure, la società li aveva ritenuti l'uno superiore all'altro semplicemente per via della loro natura.
Però, in quel momento, tutto ciò che poteva fare era cercare di sopravvivere al primo pasto in una nuova famiglia e sperare che, un giorno, sarebbe riuscito a liberarsi dalle catene che lo legavano.
Mentre la famiglia continuava a chiacchierare di argomenti banali, Izuku tentò di unirsi a loro, di partecipare, ma le sue parole sembravano soffocate dal peso del pensiero verso quel telecomando, che Katsuki talvolta sfiorava distrattamente per prendere il bicchiere, con un piccolo sorriso compiaciuto sul volto. Poteva davvero fidarsi di quell'Omega seduto accanto a lui? L'aria tra loro era densa di animosità inespressa, e Izuku sapeva di dover procedere con cautela.
«Non... Non mi ricordavo che le uova marinate fossero così buone...», disse ad un tratto, quasi a se stesso, assaporando quella prelibatezza ad occhi socchiusi.
Mitsuki sorrise, un misto di orgoglio e tenerezza nel suo sguardo e nel suo tono di voce: «Non le mangiavi da tanto, eh?».
«Troppo...», rispose il ragazzo, con la bocca piena e le labbra appena sporche di tuorlo. «È il miglior ramen che io abbia mai mangiato!», azzardò, risucchiando rumorosamente gli spaghetti.
«E pensare che quelle uova così saporite le ha fatte il mio Kacchan!», disse la donna, rivolta al marito, altrettanto orgoglioso.
«Smettila di chiamarmi in quella maniera, vecchia strega! Non sono più un moccioso di cinque anni, cazzo!», sbottò subito il biondino, puntando le bacchette contro la madre che aveva di fronte, schizzandole la guancia con una goccia di brodo.
«Io continuerò a chiamarti come mi pare e piace, piccolo gremlin! Sei mio figlio, fino a prova contraria!».
«Mater certa est...», sentenziò Masaru, a capo chino, mentre glialtri due battibeccavano, scoccando però una fugace occhiata divertita a Izuku, che ne ricambiò il sorriso mentre assaporava il brodo corposo con un mestolino in ceramica, coordinato alla ciotola.
«Vuoi altro ramen, Izuku?», chiese la madre di Katsuki, la sua voce che fendeva la foschia dei suoi pensieri, ignorando l'ultima offesa ricevuta dal figlio.
«Uhm, no grazie.», si sforzò di rispondere tranquillamente, cercando di riconquistare una parvenza di normalità in quella situazione di tensione. «Penso di averne mangiato a sufficienza, Mitsuki.».
Katsuki sbuffò in modo derisorio, ficcandosi in bocca un boccone di noodles con gusto. Il suo sguardo sdegnoso non lasciò mai Izuku, come se lo invitasse a sfidare la sua autorità.
Izuku sapeva che questo era solo un altro dei tentativi di Katsuki di dominarlo, di affermare il suo potere su quella che doveva essere loro relazione. Ma invece di rannicchiarsi per la paura, sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui. Forse era il peso di quella inutile rivalità, o forse era il ritrovato senso di casa che aveva riscoperto a quel tavolo. Qualunque cosa fosse, Izuku sapeva che non poteva permettere a Katsuki di calpestarlo.
«Katsuki.», cominciò piano, con la voce ferma nonostante il battito accelerato del suo cuore. «Voglio solo godermi questo pasto in famiglia. Puoi smetterla di provare a provocare me o tua madre?»
Il sorriso di Katsuki non fece altro che allargarsi alla sfida inaspettata, un luccichio sinistro nei suoi occhi. «Come se mi importasse ciò di cui hai bisogno.»
«Basta, voi due!» avvertì il padre di Katsuki, stringendo gli occhi verso entrambi, l'espressione improvvisamente seria: «Cosa ho detto poco fa? Rispetto. Per tutti, anche per tua madre, Katsuki. Stiamo pranzando tutti assieme, in famiglia.».
Izuku sentì un nodo allo stomaco stringersi, ma si rifiutò di lasciare che Katsuki gli entrasse ulteriormente nella pelle.
«Scusa pa'...», mormorò Katsuki, anche se il tono tradiva ciò che pensava realmente. «Mi scuso, Masaru.» gli fece eco Izuku, forzando un piccolo sorriso sul suo volto, prima di prendere un boccone di pancetta e iniziare a masticarlo. Il resto del pasto continuò in un silenzio forzato, con i genitori di Katsuki che tentavano di impegnarsi in una conversazione leggera mentre la tensione tra loro figlio e Izuku aleggiava pesante nell'aria.
«Izuku?».
«Sì?».
«Avanti! Dimmi un piatto che vorresti mangiare.», lo incalzò la donna, guardandolo fisso negli occhi, mettendolo anche un po' a disagio.
«Non... Non lo so...».
«Avrai un piatto preferito, giovanotto!», si aggiunse Masaru, parlando a bocca piena, curioso di sapere di più su quel ragazzotto che avevano portato a casa.
Izuku abbassò il capo, mordendosi l'interno della guancia, muovendo le bacchette nel brodo alla ricerca del naruto scomparso sotto i noodles.
«Katsudon...», rispose infine, guardando la donna. «Mamma ne faceva uno spettacolare...», mormorò, lo sguardo perso tra i riflessi dell'acqua nella caraffa, gli occhi annacquati che si alzavano e osservavano i due adulti che gli stavano di fronte. «Il katsudon mi è sempre piaciuto molto!», confermò poi, la voce un po' rotta dall'emozione e le lacrime che gli annebbiavano la vista.
«Oh, poveretto!», Katsuki, zitto fino a quel momento, si era sporto verso di lui per osservarlo, per poi parlare con voce strascicata, un sorrisetto crudele sulle sue labbra: «Gli manca la mamma al nostro piccolo Alpha maltrattato!»
Sul tavolo cadde il silenzio, tutti gli occhi si spostarono da Izuku a Katsuki. Un peso sembrò posarsi sul petto di Izuku, il suo appetito svanì mentre fissava il suo pasto mangiato a metà. La sua mente correva tra il ritirarsi nella sicurezza della sua stanza o affrontare a testa alta le provocazioni di quel biondino arrogante.
«Katsuki smettila di essere scortese!», lo rimproverò Mitsuki senza troppa convinzione, con la voce tremante per l'incertezza.
«Katsuki...», disse, la sua voce appena udibile. «Per favore, lasciami mangiare in pace.». Izuku non riusciva a fare un altro boccone, il cibo era ormai insapore nella sua bocca. Allontanò la ciotola, sentendosi combattuto tra restare al tavolo o scappare nella sua stanza. L'atmosfera pesante era soffocante, ogni respiro più difficile del precedente.
Il tono di disapprovazione di Mitsuki sembrava solo alimentare il fuoco di suo figlio, che non aveva dato alcun peso alle parole del ragazzo dai capelli verdi che gli sedeva accanto: «Scortese?», Katsuki derise entrambi. «Sto solo cercando di fare conversazione con il nostro nuovo membro della famiglia.», e si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia sul petto con un sorrisetto sfidante.
«Sai, potresti provare ad avere un po' di decenza per una volta!» disse sua madre, stringendo la presa attorno alle bacchette mentre le faceva roteare attorno ai sottili spaghetti di grano nella sua ciotola.
Izuku strinse i pugni sotto il tavolo, trattenendo l'impulso di urlare o piangere. Si rifiutò di dare a Katsuki la soddisfazione di vederlo crollare, ma ogni momento che passava diventava sempre più difficile.
«Capisco.», continuò, con la voce grondante sarcasmo. «Dobbiamo tutti girare in punta di piedi attorno al nuovo ospite e assicurarci di non ferire i suoi delicati sentimenti!»
«Non è quello che intendevo!», protestò Mitsuki, lanciando un'occhiata a Masaru per chiedere sostegno. Ma quello rimase in silenzio, chiaramente incerto su come allentare la tensione tra l'adorata moglie e suo figlio, che avrebbe tanto voluto prendere a schiaffoni.
Izuku rimase immobile, incerto su come rispondere. Cercò qualcosa - qualsiasi cosa - da dire che mettesse fine a questo confronto. Ma prima che potesse formulare le parole, Katsuki parlò di nuovo, con uno scintillio malizioso negli occhi: «Oh, povero Izuku! Mostraci ti prego tutta la tua gentilezza, il tuo buon cuore e facci vedere quanto sei bravo, ubbidiente e triste per la sorte che ti è capitata!». Sogghignò. «Non sei altro che un rifiuto, Alpha. Fingi di essere qualcosa che non sei. Dunque, vediamo, quanto tempo passerà prima che il tuo istinto ti tradisca?»
Quelle parole, sputate tra di loro come se fossero il veleno di un serpente, colpirono Izuku al pari di un pugno e per un momento non riuscì a respirare.
Come poteva Katsuki essere così crudele?
«Katsuki.», cominciò Izuku, con la voce tremante di rabbia repressa. «Sono una persona, proprio come tutti voi a questo tavolo. Non sono un dannato cane che puoi prendere a calci. Neppure a parole.».
Sentì gli occhi di Katsuki stringersi, ma si rifiutò di tirarsi indietro o di tenere in considerazione l'ulteriore provocazione del biondino. «Ah no? L'ultima volta che avevo controllato mi sembrava di averti portato a casa da un canile... Sbaglio?»
Izuku continuò, mentre le parole si riversavano come un fiume in piena, incurante dell'espressione esterrefatta di Masaru o lo sgomento di Mitsuki: «E vedendo quanto sono stati gentili e premurosi i tuoi genitori con me, mi chiedo come tu possa essere figlio loro, come tu possa essere così crudele con qualcuno che non ti prendi nemmeno la briga di conoscere. Ma, sai una cosa? Piuttosto che dover stare con te, preferirei tornare a piedi al rifugio. Il disprezzo che provi è totalmente ricambiato.»
Nella stanza calò il silenzio, la tensione era abbastanza forte da poterla tagliare con un coltello. La mascella di Katsuki si strinse, il suo viso era un misto di shock e rabbia, mentre Mitsuki e Masaru si scambiavano uno sguardo preoccupato.
«Scusatemi...», mormorò Izuku, spingendo indietro la sedia con uno stridio fastidioso. «Ho perso l'appetito...». Si alzò, con le gambe che tremavano leggermente per la scarica di adrenalina, e si allontanò dal tavolo, con il cuore che gli batteva forte nel petto.
Una volta al sicuro nella sua camera da letto, la rabbia di Izuku si dissipò in fretta, lasciando dietro di sé una tristezza travolgente. Il corpo di Izuku colpì il materasso con la gravità del suo intero mondo che collassava verso l'interno, ogni fibra muscolare cedeva, facendolo crollare sul letto.
Gli occhi verdi, solitamente spalancati con un misto di curiosità e cautela, si chiusero, velando la loro lucentezza sotto le palpebre pesanti. Il suo petto si alzava e si abbassava con respiri irregolari, ogni inspirazione una silenziosa richiesta di pace, ogni espirazione una liberazione di ricordi che sarebbe stato meglio dimenticare. Seppellì il viso nel morbido cuscino mentre le lacrime gli rigavano le guance.
Il dolore delle parole di Katsuki, con quella battuta infelice riferita a sua madre, facevano male. Troppo forse.
Si raggomitolò sul letto, il cuscino ancora stretto tra le braccia e pianse silenziosamente, il corpo devastato dai singhiozzi.
Si era difeso da solo, ma a quale prezzo? La paura di ciò che sarebbe potuto accadere dopo, delle conseguenze che quel suo scatto dettato dalla rabbia avrebbe portato... lo stava consumando; eppure, tutto ciò che riusciva a fare in quel momento era lasciare scorrere le lacrime e sperare che le cose, prima o poi, potessero cambiare e andare per il verso giusto.
Si chiese se ciò che aveva pronunciato fosse vero, se avrebbe davvero preferito tornare al rifugio anziché stare lì, in quella nuova famiglia così estranea e tenera per certi versi...
Ma tutto sembrava un sogno troppo delicato per fidarsi, anche solo di se stesso e dei propri pensieri.
Così, tra i tremori del pianto, le urla attutite che venivano dal piano di sotto e quel vorticare di sentimenti che l'avevano sopraffatto, si ritrovò nel crepuscolo della coscienza, vinto dalla stanchezza, dove i confini tra sonno e veglia si confondevano e la mente di Izuku intrecciava fili di conforto presente con echi di paure passate, cucendo insieme un arazzo di sogni sconnessi, fino a figurarsi di nuovo al rifugio, le pareti candide che si stringevano al suo passaggio, l'odore di antisettico e di disperazione denso nell'aria.
Poi un tocco, una mano che lo scuoteva, distrusse l'illusione, mandando una scossa attraverso il suo sistema nervoso. Istintivamente, il corpo di Izuku si tese, e un grido sfuggì alle sue labbra prima che la sua mente potesse rendersi conto della realtà.
Izuku sbatté rapidamente le palpebre, il velo del sogno si sollevò dalla sua visione per rivelare Katsuki curvato sopra di lui, la preoccupazione che incideva linee sul suo volto altrimenti stoico. Per una questione di secondi, Izuku non aveva visto il biondo, ma un fantasma del Rifugio, una di quelle guardie il cui tocco non portava altro che terrore.
«Ehi! Ehi! Sono io!» la voce di Katsuki, che lo prendeva per le spalle e lo scuoteva, squarciò la foschia della sua mente risultando quasi come un'ancora familiare nella tempesta di panico di Izuku.
«Ka-Katsuki?», la voce di Izuku tremava, le sue parole erano una domanda incerta, in cerca di conferma che l'incubo fosse davvero finito.
«Sì, sono io.», lo rassicurò Katsuki, il suo tono dolce, più di quanto Izuku avesse mai sentito.
Il battito del suo cuore si placò lentamente, i suoi occhi vagarono per la stanza, che ora era inondata da una luce forte e calda.
«È ora di andare, Izuku.».
Il terrore che aveva provato svanì con un passaggio dei palmi sulla faccia e con uno sbadiglio, mentre si tirava a sedere sul letto, Katsuki in piedi accanto a lui, che lo osservava in ogni minimo movimento. «Per quanto ho dormito?», borbottò.
«Un paio d'ore. Sono salito solo perché la tua puzza da erba marcia arrivava fino al salotto.». Non vi era disprezzo in quelle parole, solo qualcosa di molto vicino alla preoccupazione, forse. Aveva un tono calmo e non l'aveva ancora offeso.
«Ho... Ho solo fatto un brutto sogno, scusami.»
E udì il biondo mugugnare mentre lui si annusava la maglia e le ascelle, temendo che quell'olezzo che conosceva bene gli avesse impregnato i vestiti. Fortunatamente non era così.
«Ti ho messo lì acqua e soppressori. Ricordati di prendere la dose del pomeriggio.», aggiunse il biondo, raccogliendo da terra la museruola, caduta probabilmente mentre il giovane Alpha si agitava nel sonno.
Controllò che il ragazzo assumesse la sua dose di medicine e gli si mise di fronte, giocherellando con le cinghie di cuoio che teneva tra le dita.
«Oi...».
Lo sguardo di Izuku si sollevò per incontrare quello di Katsuki, cercando qualche segno della durezza a cui si era abituato fino a quel momento, trovandosi invece spiazzato dal ravvisare una morbidezza che sembrava fuori posto sull'espressione normalmente feroce del biondo.
«Devo farlo, lo sai.», aggiunse, a mezza voce, mentre si sporgeva e gli sistemava la museruola sul volto, legandola saldamente con le cinghie sulla nuca.
Poi, per un lungo momento, rimasero bloccati in uno scambio silenzioso di sguardi, il mondo intero pareva restringersi allo spazio tra i loro occhi. Il respiro di Izuku si fermò quando Katsuki si sporse leggermente in avanti, la vicinanza permise al lieve aroma di mela cotta di arrivare alle sue narici. Gli ricordava le sere d'inverno, il riscaldamento acceso e una coperta calda ad avvolgerlo.
Si domandò se fosse quello il profumo di Katsuki o se in quel paio d'ore in cui s'era rifugiato nella propria solitudine, Mitsuki aveva sfornato una deliziosa torta per la merenda o per la cena.
Era come se perfino l'intera stanza trattenesse il respiro, in attesa che l'incantesimo si spezzasse, che la realtà ritornasse e ricordasse loro i ruoli che avrebbero dovuto interpretare. Ma in quel momento sospeso, non c'erano né Alpha né Omega, né rifugio né libertà: solo Izuku e Katsuki, legati da qualcosa di più profondo del guinzaglio che lui teneva tra le mani.
Le palpebre di Katsuki sbatterono piano, le narici si allargarono nel percepire quell'evanescente profumo di erba tagliata, di prato estivo, di corse spensierate giù per una collina, di picnic sotto un albero frondoso. Era tenue quell'aroma, rispetto a quello così fastidioso sentito poco prima, ma gli sembrò così familiare e giusto da venir colpito in profondità, col cuore che iniziava a pompare più sangue, aumentare il ritmo per volerlo lasciare boccheggiante, come se l'intero corpo si arrendesse a quella strana esperienza sensoriale.
Lo sguardo di Izuku indugiò su Katsuki, sul taglio netto degli occhi, sulle iridi color rubino incorniciate da folte ciglia bionde che l'avevano affascinato fin dal primo momento in cui l'aveva visto. Ogni battito di ciglia rivelava una vulnerabilità che contraddiceva il consueto comportamento focoso dell'Omega. La morbidezza della pelle di Katsuki sembrava quasi ultraterrena, e Izuku avrebbe tanto voluto allungare una mano e sentire se era così liscia come sembrava.
Nessuno dei due sembrava volersi allontanare, tanto che il pollice di Katsuki sfiorò delicatamente i ciuffi corti di capelli che Izuku aveva sulla nuca, provocandogli un brivido leggero lungo le spalle e la schiena.
Ed era come se entrambi cercassero conforto nella familiarità della presenza dell'altro, trovando sollievo nella connessione condivisa che stava lentamente erodendo i muri costruiti dopo così tante difficoltà.
«Voi due siete pronti a scendere?».
La voce di Masaru, che li chiamava dal piano inferiore, mandò in frantumi quella specie di trance che li aveva tenuti prigionieri l'uno dell'altro per un tempo indefinito; quel momento si dissolse come fumo, riportando Izuku in una realtà che per lui non era mai stata facile. Katsuki si schiarì la voce, riprendendo compostezza e il solito cipiglio adirato, come se dovesse per forza indossare una maschera e recitare una parte inutilmente crudele.
«Andiamo, Deku.», lo apostrofò il biondo, ma Izuku non percepì il tipico astio nel suo tono di voce.
«Non sono un buono a nulla!», si ribellò a parole ancora una volta. «E fermati! Devo... Devo andare in bagno!».
Katsuki lo guardò da sopra la spalla, sbuffando: «Potevi pensarci prima. La farai al centro commerciale.», e riprese il suo andare, scendendo le scale, con Izuku dietro di lui, che inciampava leggermente mentre lo seguiva, perché sentiva i suoi sensi ancora vacillanti per l'intensità di quella connessione avuto poco prima.
I'm just here to fight the fire
Oh, a man ain't a man unless he has desire
And the walls come down
⁓ Kings of Leon ⁓
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