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Sugar mommy

Per quanto sembrino cose di secondaria importanza, la missione degli abiti non è soltanto quella di tenerci caldo. Essi cambiano l'aspetto del mondo ai nostri occhi e cambiano noi agli occhi del mondo.
Virginia Woolf



Quando misero piede nel vivace centro commerciale, Izuku tirò un sospiro di sollievo, non tanto per la guida un po' allegra di Masaru, quanto più perché la presenza di Katsuki al suo fianco lo rendeva assai inquieto.

Una volta arrivati in quella che doveva essere la piazza principale del complesso commerciale, una cacofonia di immagini e suoni estranei lo colpì al pari di uno schiaffo.

Era stato troppo piccolo per andarci da solo e, quelle rare volte in cui c'era stato con sua madre, lo ricordava più piccolo. Izuku si guardò attorno, osservando le mura esterne dei negozi, i giochi d'acqua della fontana, la miriade di colori che scorgeva nelle vetrine di abiti femminili, dove vestiti dai tessuti leggeri e fioriti facevano bella mostra assieme ad accessori variopinti. Qualche bambino correva libero tra le persone, madri che li cercavano a gran voce, gruppetti di ragazzini che prendevano gelati, Alpha che sembravano passeggiare senza problemi accanto ai loro padroni... Ma la presa di Katsuki sul guinzaglio lo trascinò via, guidandolo con un comando inespresso a cui Izuku obbedì senza protestare. Gli occhi grandi e innocenti dell'alfa dai capelli verdi svolazzavano da una vetrina all'altra, seguendo i movimenti del suo capo, osservando tutto ciò che poteva prima di essere trascinato avanti.

Fu Mitsuki a fermare il corteo silenzioso davanti a un enorme negozio che prometteva abbigliamento da uomo di qualità a prezzi ragionevoli; afferrò la corda di cuoio dalle mani di Katsuki: «Non credo tu voglia venire, giusto?».

Katsuki osservò sua madre e poi l'Alpha, con la mano che indugiava prima di cedere il controllo alla donna: «Arrangiati.», disse, con una riluttanza che era evidente nella rigidità delle sue spalle mentre si allontanava a passo svelto dalla soglia del negozio e raggiungeva suo padre che lo attendeva esattamente al bar di fronte al negozio.

Izuku osservò Marasu mettere una mano in testa al figlio e scompigliargli i capelli in un gesto affettuoso che il ragazzo non rifiutava. Ne sorrise, senza capirne bene il motivo, ma Mitsuki si accorse di quella distensione sul viso giovane e pieno di lentiggini.

«Non è un ragazzo cattivo, credimi. Può avere i modi bruschi e sopra le righe, ma solo perché sotto-sotto è un tenerone. Credi a me.», disse con calma, allungando una mano ad abbassargli il viso nella propria direzione. «Dovete solo darvi un po' di tempo per abituarvi. Lui a te e tu a lui.».

Izuku la osservò in quegli occhi vermigli così simili a quelli del figlio, ma più dolci e comprensivi. Quanto sarebbe stato più semplice se anche lui avesse avuto lo stesso carattere docile della donna?

«Perché ce l'ha così tanto con gli Alpha?».

I lineamenti della donna si tesero e il sorriso scomparve pian piano dal suo volto. «Non ho alcun diritto di dirtelo, tesoro... Ma spero che ci sarà l'occasione giusta per chiederglielo.».

«Mh...». Izuku esalò quel suono strano, di gola, a metà tra un cupo ringhio e un grumo di saliva che non sapeva esattamente dove andare. Era così corrucciato e pensieroso da sembrare quasi tenero agli occhi della donna, che lo vedeva come una potenziale montagna di muscoli dal viso gentile e solare. E voleva sul serio aiutarlo. Anche perché tutto si sarebbe aspettata, tranne che il suo Kacchan scegliesse un Alpha come quel ragazzo.

«Andiamo, Izuku!», lo invitò Mitsuki, strattonandolo un poco per il guinzaglio, con un calore nella voce che smentiva la vivacità delle sue azioni, accompagnando le parole a un tenue sentore di pane caldo. «Troviamo qualcosa che faccia per te!».

Con una leggera spinta, fece entrare il giovane all'interno del negozio, dove l'aria condizionata dava un piacevole sollievo alla pelle accaldata dei clienti e le luci brillanti mettevano in grande risalto quegli occhi di smeraldo pieni di meraviglia per i colori esposti ordinatamente sulle grucce. Il suo viso lentigginoso si scurì appena d'imbarazzo quando Izuku capì ti tenere la bocca chiusa e non sembrare un moccioso di dieci anni che entra in un negozio di caramelle.

Nell'aria aleggiava un tenue profumo di fiori, misto probabilmente a feromoni dolci e rilassanti, che aiutavano a perdersi tra texture dei tessuti e colori, in un'atmosfera confortante e travolgente per i sensi.

Mitsuki se lo strattonò vicino, costringendolo ad abbassarsi al suo livello: «Mi posso fidare di te, tesoro?» e lui annuì, un mezzo sorriso gioioso che gli curvava la bocca, mentre la donna sganciava il guinzaglio e lo arrotolava su una mano, prima di cacciarlo in borsa, posandogli poi una mano tra i capelli, arruffandoglieli. «Fatti un giro, cerca quello che ti può piacere e provalo.».

Izuku annuì di nuovo, le sopracciglia corrucciate mentre Mitsuki gli dava un paio di buffetti sulla spalla per farlo rialzare.

Poi il suo sguardo cadde oltre i manichini in vetrina, oltre l'ingresso, fino alle tende da sole abbassate del bar di fronte. «Qualcosa che possa piacere a Katsuki?», mormorò, sovrappensiero.

«Anche. Sentiti lib-»

Ma Mitsuki venne interrotta da una donna castana, dall'aria insipida: «Che bella coppia che siete!» aveva esclamato, lanciando uno sguardo d'intesa a Mitsuki. «Non se ne vedono spesso di Alpha così carini!», e sbattè un po' troppo gli occhi verso quel giovane, avvenente ragazzo di fianco all'Omega a cui s'era rivolta.

Uno strano calore si insinuò lungo il collo di Izuku, dipingendo le sue guance di una tonalità rosea che risaltava sul verde scuro dei suoi capelli. Lanciò anche lui un'occhiata a Mitsuki, aspettandosi che lei correggesse la supposizione, ma la madre di Katsuki si limitò a ridacchiare, con una scintilla di malizia negli occhi.

«Oh, la ringrazio! L'ho preso da poco e vorrei mettesse su un po' di muscoli in più...», le rispose Mitsuki, tastando un bicipite al ragazzo con una risata leggera e ariosa, stando al gioco, mentre Izuku, di contro, s'era irrigidito sul posto e guardava la donna al suo fianco che sembrava essersi trasformata. «Cerco qualcosa che metta in risalto il suo fisico... E che gli stia bene anche se mette su un po' di massa.»

«Ah, non dica altro!». La commessa girò attorno a Izuku, squadrandolo da capo a piedi, da distante e da vicino, prendendogli i polsi per fargli allargare le braccia, complimentandosi per la docilità che aveva un Alpha di quel tipo, apostrofandolo come una "gemma rara" rispetto ad altri visti. «L'ha preso giovane, signora...», borbottò, mentre si faceva seguire dai due, facendo sbattere i tacchi contro il pavimento piastrellato con decisione.

«Deve starmi dietro. Se mi capisce...», azzardò Mitsuki, ridacchiando, lasciando Izuku indietro nel percorso, immobile come una statua di sale, tutto rosso in volto. «Andiamo, tesoro. Non fare il finto timido!», lo chiamò poi, trascinandoselo dietro afferrandolo per un lembo della maglietta.

La commessa, che era momentaneamente sparita, tornò pochi istanti dopo, con le braccia cariche di una serie di magliette con motivi che sembravano danzare e volteggiare davanti agli occhi perplessi di Izuku.
«Prova questi per la taglia, cucciolo.» disse, accompagnandolo verso il camerino con una leggera spinta.

«Cu-cucciolo?», si ritrovò lui a balbettare, mentre Mitsuki non sapeva più come trattenere le risate.

Solo quando la tenda fu chiusa alle sue spalle, il piccolo spazio gli sembrò ancora più stretto, mentre Izuku affrontava il proprio riflesso a figura intera. L'assurdità della situazione non gli sfuggiva e sobbalzò a vedere la testa bionda di Mitsuki spuntare dalla tenda e sorridergli. «È stato divertente!».

Izuku incrociò le braccia al petto, come a volersi proteggere anche da quell'intrusione ormai familiare: «Per niente!», e la voce gli si riempì d'imbarazzo, lo stesso che gli salì alle guance. «Mi ha scambiato per il... Per il tuo...».

«Per il mio toy boy.», completò la frase, ridacchiando. «Non che mi faccia piacere, perché hai la stessa età di mio figlio e mi farebbe strano...», aggiunse, pensierosa e senza peli sulla lingua. «Però ha ragione, Izuku. Oggettivamente sei un bel ragazzo. E un Alpha docile, almeno in pubblico.», la sua voce cambiò e Izuku ripensò alle parole che aveva detto a Katsuki a pranzo.

«Ma non ti fai mettere i piedi in testa e questo di te mi piace.», e tornò a sorridergli. «Ora, lascia che io faccia ciò per cui sono qui, ovvero fare da sugar mommy al compagno di mio figlio!»

«Su-sugar mommy?».

«Te lo spiego dopo, davanti a un gelato. O a quello che vuoi, okay? Assecondami intanto.», e, detto questo, la testa sorridente di Mitsuki si ritrasse dall'interno del camerino, lasciandolo di nuovo da solo. «Comincia a provare i vestiti, che non abbiamo tutto il pomeriggio!».

Izuku sbattè in fretta le palpebre, un po' per capacitarsi di ciò che era appena accaduto e un po' per riprendersi da quell'improvviso cambio di tono nella voce della donna che gli ricordava così tanto Katsuki da fargli venire un brivido lungo la schiena.

Appena tolse la maglietta, lanciò un'occhiata distratta allo specchio, che gli rimandava l'immagine di un ragazzo troppo magro per la sua altezza. Sarebbe davvero riuscito a mettere su un po' di muscoli come sperava Mitsuki?

La prima maglietta che si infilò in testa era un tripudio di colori, forme geometriche che si scontravano in una cacofonia visiva che gli faceva girare la testa. Uscì timidamente dal camerino, sentendosi improvvisamente un po' troppo vistoso.

Mitsuki alzò lo sguardo dal telefono e la sua reazione fu immediata. Una risata le sgorgò dalla gola, ricca e genuina, mentre lo guardava.
«Perfetto!», ansimò tra gli  attacchi di allegria, «Se hai intenzione di unirti al circo.».

Izuku non poté evitare di sorridere, l'imbarazzo costantemente presente, ma ora mescolato ad uno strano senso di leggerezza. Per un momento, il peso del suo passato sembrò allentarsi, lasciando dietro di sé solo l'eco della risata di Mitsuki e la luminosità del negozio intorno a lui.

Izuku emerse dal camerino altre volte, ognuna con maglie troppo fantasiose nelle stampe, o troppo elaborate nel design delle scritte o delle cuciture, talvolta troppo futuristiche o troppo alla moda, come invece affermava Mitsuki.

Quando invece uscì con una maglietta in tinta unita, espresse sollievo dopo tutta la vertiginosa serie di motivi a cui erano stati sottoposi i suoi occhi.

Sentì il tessuto aderire perfettamente alle sue spalle allargate, una sottile affermazione della sua crescente forza come Alpha, e un sorriso incerto gli apparve sulle sue labbra, gli angoli che s'increspavano e la costellazione di lentiggini sulle sue guance che si sollevava nel movimento, mentre faceva le prove davanti allo specchio, sentendosi a proprio agio.

«Molto meglio, non credi?», commentò Mitsuki, osservandolo con un cenno di approvazione. «Sai, è quasi più divertente fare shopping con te che con i miei "uomini di casa".». La sua voce conteneva sincerità mista a malizia, e Izuku percepì nel suo tono la lieve nota di dolcezza che di solito era riservata a Masaru.

«Veramente?», chiese Izuku, mentre il calore delle guance sembrava penetrare nelle ossa del cranio. Non era una sensazione nuova, quel calore. La cosa strana è che, mentre si specchiava e cercava di capire di quanto il tessuto tirasse sulle spalle e la schiena, se la taglia fosse giusta, una piccola parte del suo cervello aveva fatto un rimando a Katsuki. Al fatto che, forse, anche lui porterebbe una maglietta di quel tipo. Questa consapevolezza gli faceva battere il cuore, come un uccello in trappola batte le ali in cerca di libertà e le risate e le battute spensierate che aveva ricevuto e fatto con Mitsuki sembravano raggi di sole che penetravano nel cielo nuvoloso della sua vita passata.

«Sì.», assicurò Mitsuki, sistemandogli una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio e lisciandogli la maglia sul petto «Sono tutti affari e niente divertimento quei due. Tu porti un po' di... imprevedibilità. E questo gli farà bene.». Poi fece un passo indietro e gli osservò le spalle e il busto con insistenza. «Vado a prenderti una taglia in più di questa. Il colore va bene?».

«Sì.».

«Sì, questo punto di marrone sta bene con i tuoi colori. Ti risaltano di più gli occhi.». Si lasciò sfuggire una risata genuina, così sorprendente anche per se stesso, in risonanza con una speranza che pensava di aver perso e invece stava ritrovando a piccoli passi; Izuku si crogiolò in quelle parole dette con dolcezza, sentendosi più leggero di quanto non fosse stato da anni. Sentendosi quasi in una vera famiglia.

«Ne proviamo un altro?» Mitsuki indicò il camerino, ma prima che Izuku potesse rispondere, il suo sguardo si spostò oltre la spalla della donna: lì, sulla sedia dove Mitsuki era seduta pochi istanti prima, aveva invece preso posto Katsuki. La sua presenza portò come un improvviso abbassamento della temperatura, uno spostamento nell'atmosfera che tolse il respiro dai polmoni di Izuku.

«Ka-Katsuki?». La voce di Izuku vacillò, il nome scivolò fuori in un sussurro. La vista del ragazzo in quella piccola bolla di tranquillità era per lui disorientante. Il suo cipiglio sprezzante era in netto contrasto con l'allegria e la tranquillità che aveva riempito l'aria fino a pochi secondi prima.

Gli occhi di Katsuki, acuti e perspicaci, scrutarono Izuku da capo a piedi, osservandolo in abiti finalmente civili e non di seconda mano. Qualcosa guizzò dietro quelle iridi rubino, un'emozione illeggibile che mandò un brivido lungo la schiena di Izuku.

«Papà ti vuole un momento.», sentenziò il biondo, facendo voltare la donna, che sbuffò, borbottando qualcosa mentre tirava fuori dalla borsa il guinzaglio e lanciandolo malamente sul grembo del figlio.

«Torno subito, tesoro.», si premurò di dire a Izuku, prima di rivolgersi al figlio: «E tu vedi di non fare stronzate, piccolo gremlin.», lo ammonì, puntandogli il dito contro in segno di rimprovero anticipato.

Uno schiocco di lingua accompagnò i passi della madre che si allontanava lungo il corridoio. «Tsk!»

«Tua madre...», iniziò Izuku, ma si fermò di colpo, incerto su come affrontare l'evidente assenza della donna che era stata la sua improbabile alleata in questo labirinto di shopping.

«La vecchia ha ragione: ti serve una taglia in più.» disse bruscamente Katsuki, la tensione che si allargava tra di loro come una forza palpabile che minacciava di arrivare a lacerarsi.

La bolla spensierata che aveva avvolto Izuku scoppiò di colpo, lasciandolo esposto e incerto. Eppure, la vista di Katsuki, così tipicamente inavvicinabile, scatenò un diverso tipo di energia dentro di lui, una specie di corrente sottopelle, qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. Era un complesso intreccio di emozioni che lasciò Izuku diffidente e inspiegabilmente attratto dall'Omega davanti a lui, che se ne stava con la guancia appoggiata mollemente alla mano, il cui braccio faceva perno su uno dei due braccioli, cambiando spesso lato, con inspiegabile irrequietezza.

L'improvviso alzarsi di Katsuki dalla poltroncina gli fece trattenere il respiro, convinto che gli venisse vicino.

I suoi piedi, tuttavia, lo portarono lontano da Izuku, ancora fermo di fronte al camerino, che lo osservava con occhio attento.

Le sue mani si allungarono verso un grappolo di grucce, ognuna tintinnava dolcemente contro l'altra, una melodia incongrua in mezzo alle morbide melodie pop che venivano trasmesse in filodiffusione sopra di loro. «La vecchia strega ha trovato qualcosa che ha catturato la sua fantasia.», brontolò, il biondo.

A Izuku il termine "vecchia strega", così come lo pronunciava Katsuki, non sembrava essere poi tanto dispregiativo: nonostante la rudezza, quelle due parole portavano in qualche modo una sfumatura di affetto.

Izuku guardò, stuzzicato dalla propria curiosità, mentre Katsuki si avvicinava con una selezione di indumenti drappeggiati su un braccio. Gli abiti avevano una semplicità cruda, sia nei colori sia nelle forme, ben lontana dalle fantasie sgargianti e dai tagli inadeguati a cui era stato sottoposto in precedenza.

«Prova questi.», disse il biondino, mettendo le grucce nelle mani di Izuku senza troppe cerimonie. C'era un comando implicito nel gesto, addolcito dal minimo inarcamento dell'angolo delle sue labbra, una rarità che Izuku catalogò con sorpresa.

Nel camerino, Izuku si infilò gli abiti proposti da Katsuki con movimenti cauti, consapevole del tessuto che gli cadeva leggero sulla pelle. Ogni pezzo si conformava a lui con una facilità che lo fece fermare e rimirarsi. Come un'ombra confortevole, scese su di lui un sentimento di sollievo, di tranquillità, a sentire quanto giusta era stata la scelta di Katsuki, come se davvero avesse fatto qualcosa per lui. Pure la camicia candida gli abbracciava il busto senza sforzo, le maniche terminavano esattamente all'altezza dei polsi. I pantaloni gli si stringevano proprio intorno alla vita, cadendo esattamente sopra le scarpe, senza la necessità di fare risvolti.
La giacca grigia, della stessa tonalità chiara dei pantaloni, cadeva sulle sue spalle e sembrava slanciarlo.

Uscendo, Izuku si voltò per l'ultima volta verso lo specchio, osservando il proprio riflesso: l'immagine che lo fissava era a lui estranea, ma non indesiderata; una versione di se stesso più grande, più affermata, più libera.

Non era elegante, mancava la cravatta e il fazzoletto nel taschino, ma si sentiva a proprio agio in quei tessuti morbidi e raffinati e l'immagine complessiva gli dava sicurezza, aumentava la sua fragile autostima. Lo faceva sentire bello, una volta tanto.

Emerse dal bozzolo di quel camerino, con l'attesa che gli scorreva nelle vene. L'approvazione di Katsuki, anche se non richiesta, contava più in quel momento di quanto Izuku volesse ammettere. L'Alpha dai capelli verdi stava davanti all'Omega, in piedi, immobile: un'incarnazione di eleganza disinvolta, mentre una domanda silenziosa restava sospesa tra loro, in attesa di ricevere una risposta, anche con qualcosa di diverso dalle parole.

Dal lato opposto al camerino, lo sguardo svogliato di Katsuki si alzò dallo schermo del cellulare quando udì Izuku schiarirsi la gola con un leggero colpo di tosse.
Gli occhi vermigli di Katsuki si posarono su di lui con un'intensità che sembrò attrarre perfino l'aria attorno a loro. Gli occhi dell'Omega vagavano su Izuku, una valutazione silenziosa che divorava ogni dettaglio con un movimento affamato. C'era tensione nella posizione di Katsuki, una strana prontezza che tradiva il suo sforzo di rimanere impassibile, di nascondere l'impatto che l'aspetto di Izuku aveva avuto su di lui.

«Sembra bello.», azzardò Izuku, rompendo il silenzio con un complimento che suonava allo stesso tempo meritato e pericoloso.

Katsuki si schiarì a sua volta la gola, alzandosi e cacciando il cellulare in tasca, facendo un paio di passi in avanti, per colmare momentaneamente la distanza tra lui e l'Alpha. «Devi sistemare il colletto, idiota.», mormorò, allungando le dita per aggiustargli il tessuto intorno al collare. Il suo tocco era fugace, come lo era stato quando gli aveva allacciato quell'aggeggio, però era carico di una strana e pesante familiarità, che risuonava nel profondo di Izuku ogni volta che le loro pelli si sfioravano.

Il colletto della camicia fu sistemato facilmente e Izuku provò a resistere all'impulso di infilare due dita tra il collo e il metallo e alleviare il prurito, ma le vecchie abitudini erano dure a morire.
Fu in quel momento, quando il braccio dell'Alpha si mosse appena, che Katsuki girò di poco il collare, con estrema delicatezza, forse per alleviargli il fastidio dato da quel segno arrossato, irritato, che gli aveva visto sulla pelle sottostante.

Izuku emise un sospiro leggero, improvvisamente consapevole di quanto fosse stato agitato nell'attesa.
Sentiva il cuore risuonare ferocemente nella cassa toracica, tanto che temette che si sentisse, che Katsuki lo percepisse anche sotto gli strati di tessuto e di carne che separavano il biondo da quell'organo. Ma il biondino non fece una piega, perché i suoi occhi verdi non perdevano alcun cambio nell'espressione di Katsuki, assorto ora a sistemargli i revers della giacca, o a tirargli le maniche a lunghezza perché nascondessero i polsini della camicia. A ogni battito c'era un'ondata di calore che lo cullava, diffondendosi lungo le membra. Ogni piccolo mugugno di approvazione di Katsuki, ogni tocco che lui faceva per farlo voltare o sistemarlo, sembrava quasi un tornare a casa dopo un viaggio lungo ed estenuante.

Era assorto, Katsuki.
Assorto e basta.
Aveva quell'espressione seria e accigliata di chi è concentrato. C'era in lui una strana quiete dietro l'espressione seria e Izuku pensò che così non fosse poi tanto male. Sperò con tutto il cuore che quella tregua durasse il più a lungo possibile.

«Ti ci vorrebbe un completo di sartoria.», sbottò alla fine, mentre si allontanava fino alla poltroncina, afferrando una cintura di cuoio nero e lucido. «Allarga le braccia.».

Il tono era perentorio e Izuku obbedì, lasciando che quella cinta venisse infilata nei passanti dalle dita abili di Katsuki, e si ritrovò a trattenere di nuovo il respiro quando lui gliela strinse in vita, tirando la fibbia per aggiustarla sul tessuto morbido dei pantaloni.

Izuku percepì un lieve aroma dolce quando il biondo incrociò le braccia al petto, facendo mezzo passo indietro, osservandolo dal basso verso l'alto con un sorrisetto di approvazione.

Che fossero i suoi feromoni?

Sentì un fischio ritmato e di nuovo la voce fastidiosa della commessa che rompeva quel momento. «Ma che schianto, ragazzone!».

Katsuki voltò il capo, osservandola con espressione truce da sopra la spalla: «Grazie.», ghignò. «Di solito faccio questo effetto alle persone.».

Izuku premette le labbra tra di loro e spalancò gli occhi, trattenendo a stento una risata nel vedere la faccia della commessa diventare paonazza, mentre cercava in tutti i modi di scusarsi, dicendo di essere stata inopportuna e di riferirsi all'Alpha che stava sistemando.

Katsuki lanciò un'occhiata distratta a Izuku, prima di parlare. «Il completo non è dei migliori e le cuciture non sono ben rifinite. La camicia fa difetto sul davanti perché sembra abbia una pence cucita un po' in diagonale. Sarà perfetto quando mi porterà una camicia slim fit candida, senza aloni di fondotinta a macchiare il colletto e un paio di scarpe numero 44 in vitello spazzolato, come la cintura.».

La donna balbettò qualcosa, ma al ghigno mostrato da Katsuki s'irrigidì, defilandosi subito dopo con passo spedito.
Quando poi le iridi vermiglie si voltarono verso Izuku, questi smise di ridacchiare, tornando composto, con l'espressione seria e colpevole e un grumo di saliva incastrato in gola.

L'aria si fece densa di attesa mentre Katsuki non gli staccava gli occhi di dosso, tanto che le loro pupille sembrava stessero combattendo una battaglia silenziosa.

«Sembri... diverso.», azzardò Izuku, sussurrando quelle parole come se fossero un peccato mortale da confessare, mentre poteva distinguere chiaramente una fragranza di mela avvolgerlo; i feromoni dell'Omega aleggiavano nello spazio intorno a loro senza restrizioni. Non sembravano più mascherati dai soppressori o offuscati dal tanfo di fiori che si spandeva dai profumatori del negozio. Erano deboli, ma comunque invitanti.

«Diverso?». Katsuki gli fece un piccolo sorrisetto prima di voltarsi per curiosare tra alcuni vestiti in mostra poco lontano e bloccare quell'inopportuna vicinanza. «Non sono diverso.»

«Sembravi più sicuro di te.», continuò Izuku, curioso, seguendolo nei suoi movimenti con lo sguardo.

«Perché lo sono.», fece una pausa, giusto il tempo per voltarsi e guardarlo da lontano, proprio mentre la commessa arrivava a portare una scatola di scarpe e una gruccia con una nuova camicia. «Mi perdoni. Le metto qui...».

«Grazie.», tagliò corto il biondo, aspettando che la donnetta se ne andasse per riavvicinarsi ad Izuku con una cravatta nera. «Torna dentro a cambiarti e mettiti questa...», e con un cenno del mento gli indicò la stoffa che gli stava porgendo.

Izuku obbedì, ma la sua curiosità sembrava avere il sopravvento, non permettendogli di tenere chiusa la bocca e di alzare la voce, in modo che lui lo sentisse anche oltre la tenda del camerino. «Come sai tutte queste...cose?», chiese, con una punta di agitazione della voce e nei gesti mentre i bottoni della prima camicia sembravano non volersi slacciare.

Katsuki si poggiò con la spalla a lato del camerino, in attesa che l'idiota uscisse: «Una cosa di famiglia.».

«Per questo hai scelto un completo per me? Per una cosa di famiglia

«No. Solo perché domani devo andare al lavoro e la vecchia vuole che ti porti in ufficio.», affermò in tono sbrigativo e si umettò il labbro, ruotando il polso per controllare l'orologio. «Cristo santo! Sono le cinque passate! Ti vuoi muovere?».

«A-arrivo! Questo coso non-», ma Izuku non fece in tempo a finire la frase che la tenda venne scostata in malo modo e le mani di Katsuki schiaffeggiarono le sue, sostituendosi nella chiusura di quei cinque bottoni in simil-madreperla che dovevano entrare in asole troppo piccole per le loro dimensioni.

Katsuki sbuffò e borbottò che le cose doveva sempre arrangiarsi a farle.

Izuku guardò di nuovo in basso, osservando con ammirazione quelle dita veloci che passavano di asola in asola, che gli sistemavano di nuovo il colletto...

«Respira, inutile idiota.», lo udì sussurrare, gli occhi cremisi che viaggiavano su ogni centimetro di pelle del viso, quasi volesse contargliele le lentiggini.

Katsuki fece una pausa nel respirare, sbattendo di poco le palpebre e a Izuku venne in mente un'immagine strana a vedere quegli occhi che si allontanavano. Un'immagine e un brivido, in realtà. E avvampò, irrigidendo la schiena quando lo vide chinarsi di fronte a lui, allargando i lacci delle scarpe eleganti per fargliele indossare.

Il biondo lo guardò dal basso, il viso rivolto verso di lui, le labbra dischiuse, in attesa. Un nuovo brivido gli scese lungo la schiena, mentre sentiva quella parte di lui, sopita e primitiva, che gorgogliava nel petto, nella gola, e gli faceva curvare involontariamente le labbra a scoprire i canini.

«Come le senti?».

«Bene.», disse semplicemente prima di sbattere più volte le palpebre e umettarsi le labbra cercando di ritrovare un contegno, riportando l'attenzione alle scarpe e ai vestiti, dandosi un'occhiata veloce allo specchio.

«Allora ho azzeccato anche questa.», sentenziò Katsuki con un sorrisetto vittorioso, cui ne seguì uno sarcastico di Izuku, stanco di tutta quella boria immotivata; così puntò i suoi occhi in quelli rossi del ragazzo che aveva di fronte, con un'intensità tale da far venire un brivido lungo la schiena di Katsuki: «Se hai avuto così tanta fortuna con i miei vestiti, perché non tenti la sorte e azzecchi pure la taglia dei boxer, fenomeno?», pronunciò, con voce carica di audacia.

Non sembrava lui. Non sembrava l'Alpha balbettante che non sapeva abbottonarsi la camicia. E per quanto il tono di Izuku fosse scherzoso, Katsuki digrignò i denti e i piccoli canini spuntarono dalla curva arrabbiata delle labbra, prima che lo strattonasse di nuovo, tramite la cravatta passata dietro il collo dell'Alpha: «Sentimi bene, stupido coglio-», ma lo sbilanciò involontariamente troppo vicino alla propria faccia.

Le mani di Katsuki si ancorarono con presa salda alla cravatta che stavano tenendo, e il suo sguardo guizzò verso l'alto per incontrare quello di Izuku, che mantenne la sua posizione, cercando di non sbilanciarsi ulteriormente; il fiato caldo del biondino gli arrivava sulla pelle del viso oltre il metallo della museruola.

Ci fu un momento di silenzio tra loro prima che le narici di Katsuki si dilatassero di nuovo al sentore di erba tagliata che proveniva dall'Alpha. Erba tagliata e un accenno di menta, una nota fresca e selvatica che gli solleticava perfino la gola e gli faceva socchiudere gli occhi. Era piacevole e audace quell'aroma, tanto da lasciarsi sopraffare dal proprio istinto e piegare di lato il collo con un movimento delicato e impercettibile.

Izuku accennò mezzo passo avanti, i loro corpi ora quasi si toccavano sulla soglia di quell'angusto camerino. I suoi occhi verdi si assottigliarono e un ringhio basso gli sfuggì dalla gola. L'aria è carica di una strana tensione, che nessuno dei due comprendeva appieno. A Katsuki sembrava di bruciare e faceva fatica a controllare il respiro o a staccare gli occhi da quelle labbra rosse e lucide di saliva, ingabbiate oltre la museruola.

Solo quando la mano di Izuku gli sfiorò il braccio, Katsuki sbatté le palpebre e distolse lo sguardo, un lampo di calore gli infiammò i lineamenti. Fece un passo indietro, all'esterno del camerino, spingendovi dentro Izuku con forza, creando un abisso dove pochi istanti prima c'era stata una connessione provvisoria ma forte da far quasi male. Per un istante, Izuku si chiese cosa avesse fatto di sbagliato: aveva scherzato e l'aveva fatto incazzare... e poi? Cosa era successo dopo?

Il punto in cui Katsuki l'aveva spinto sembrò bruciare, tanto che si massaggiò i pettorali per accertarsi di non essere ferito. Per una frazione di secondo si chiese se non avesse inconsapevolmente oltrepassato quella linea che li divideva.

L'Alpha dai capelli verdi notò il debole tremore nel respiro dell'Omega, che faceva il paio col proprio e sembrava come un segno che, forse, si era spinto in acque inesplorate, incerto della corrente, ma incapace di resistere alla sua attrazione.
E la cosa sembrava valere anche per il biondino.

E non era una cosa buona. Non dopo neppure dodici ora di permanenza nella stessa casa!

Non ci si comporta così, Izuku. Non è questo che ti hanno insegnato.

Così, mentre Izuku balbettava scuse a mezza voce e blaterava del fatto che lui era meglio di quello e che non voleva tornare al rifugio per gli scivoloni nella sua condotta fatti quel giorno, Katsuki si ritrovò intrappolato in una tumultuosa lotta interiore.

Non poteva fare a meno di guardare l'aspetto di Izuku, la sua forma da Alpha perfettamente confezionata in giacca e cravatta; non era possente, ma lo sarebbe diventato. Eppure, anche così, un po' più magro del normale, ogni centimetro di lui irradiava un fascino innegabile.

Però, sotto l'ammirazione superficiale, c'era un amaro risentimento che covava nel cuore di Katsuki, che disprezzava gli Alpha per la loro natura intrinseca, per il loro istinto di dominio che sembrava radicato nel loro stesso essere e che usciva prepotentemente, come era accaduto poco prima con Izuku, anche se mascherato abilmente da scherzo.

Ma nonostante questo disprezzo che lo corrodeva, si ritrovò stranamente attratto da Izuku: per quanto detestasse quelle imposizioni sociali del cazzo, la sua presenza era come una calamita, una forza invisibile a cui non riusciva a resistere, nonostante i suoi sforzi. Era come se Izuku fosse diventato un'anomalia nella sua visione del mondo degli Alpha meticolosamente costruita.

Quella situazione di stello fece sobbalzare leggermente il respiro di Katsuki nella sua gola: la consapevolezza che quella non era la solita ostilità che provava verso gli Alpha, che fosse qualcosa di molto più complesso e inquietante., lo spaventava.

La corrente di emozioni che minacciava di travolgerlo era forte e implacabile e, per quanto cercasse di spingere controcorrente, di ringhiare e accigliarsi o di imprecare contro quell'Alpha, Katsuki si ritrovò ad affondare sempre più in questi sentimenti confusi.

«Tutto bene?».

Bastò la voce di Mitsuki a far trasalire entrambi: Izuku era con la schiena spalmata contro lo specchio del camerino, gli occhi sgranati a vedere il sorrisetto sulle labbra rosee della donna, che li stava osservando a braccia conserte.

Katsuki s'era voltato verso di lei, rosso sul collo e le orecchie e la faccia furente nel vedere la madre con quel ghigno e quel ridacchiare sommesso. Divertita, ecco cos'era. La stronza.

«Lascio il mio Alpha da solo con te e tu me lo spaventi così?», finse di sbraitare lei mentre la commessa si avvicinava di nuovo a quel gruppetto male assortito.

Izuku sapeva che lei l'aveva fatto per stemperare la situazione, ma il tempismo suo e della commessa erano stati pessimi. Davvero pessimi, per non dire catastrofici.

«Ah?». Gli occhi di Katsuki sembravano dotati di vita propria e della capacità di uccidere, perché pure sua madre si mise a ringhiare verso di lui appena aprì bocca.

E a nulla era valso l'occhiolino complice che lei aveva rivolto a entrambi i ragazzi. «Il tuo Alpha?», berciò, passando di fianco alla donna e lanciandole in testa la cravatta nera. «Potevi trovare della merda migliore, mammina.», e se ne andò via a passo spedito, calcando le scarpe sul pavimento lucido, le imprecazioni che aleggiavano attorno a lui come il fastidioso profumo di caramello bruciato.

La commessa guardò uno per uno i suoi clienti, pure il biondino infuriato che aveva preso la porta d'ingresso per sparire dalla sua vista, per poi azzardare una domanda imbarazzata: «La taglia è giusta? Camicia? Scarpe?».

Solo a quella vocetta, ora timida, Izuku si riscosse dal torpore che lo aveva colto, gli occhi umidi di lacrime e le mani strette sul tessuto leggero e morbido della giacca. «S-sì. Tutto perfetto.», azzardò, ricordandosi improvvisamente di ciò che aveva detto poco prima Katsuki stesso alla donna, sollevando poi lo sguardo verso Mitsuki che giocherellava con la cravatta nera tra le mani, incerta se ridere o arrabbiarsi.

Alla fine, dal tono, sembrava comunque contenta e soddisfatta: «Vieni qui.», disse: «Non lo sai fare il nodo, vero?».

«N-no... Lo so fare...», balbettò Izuku, in totale imbarazzo a rivivere la medesima scena che aveva subito col figlio della donna, solo che, stavolta, le dita sottili lasciarono la presa sulla cravatta, permettendogli di non sbilanciarsi e di rivolgersi finalmente allo specchio per aiutarsi nel nodo.

Trattenne il respiro a sentire le mani piccole di Mitsuki afferrargli le braccia, stringere un poco per poi affacciarsi di lato e rientrare nell'inquadratura del riflesso impacciato di Izuku.

«Chi ha scelto questo colore? Kacchan?», chiese lei, prima che Izuku annuisse piano. «Beh, ti dona molto! Mio figlio ha sempre avuto buon gusto. Sono felice che abbia deciso di avvicinarsi finalmente all'azienda di famiglia.».

Izuku abbassò gli occhi, guardandola nel riflesso dello specchio: così la donna sembrava, se possibile, più giovane e minuta di quanto non fosse.

«Sai, tesoro? Credo che un po' stia cercando di abituarsi a te.»

«Dici?».

La vide annuire nel riflesso e abbozzare un sorriso genuino: «Se così non fosse avrebbe scelto qualcosa di giallo o arancione, che con i tuoi colori proprio non stanno!», e ridacchiò. «Già con questa tonalità di grigio ha osato molto. Ma tu sei davvero un bel ragazzo e sono sicura che ti starebbe bene addosso qualsiasi cosa!»

Izuku si ritrovò ad arrossire di colpo e ad agitarsi sul posto: quella donna non aveva filtri sulla lingua, anche se di sicuro in maniera più positiva rispetto al figlio. A lui, in ogni caso, facevano uno strano effetto vista la scarsa abitudine.

«Che ti prende, tesoro

«Nie-ente... Solo... Non sono a-abituato ai complimenti...».

Mitsuki se lo strinse di più contro, in una specie di abbraccio confortante, per rassicurarlo. «Domani in ufficio ne riceverai molti, vedrai. Lo faccio solo perché tu sia pronto!», e gli diede un leggero pizzicotto sul fianco, facendolo scattare per il solletico.
«Ora togliti questa cosa e andiamo a prenderci un gelato!», sentenziò infine, lasciando la presa con un'ultima occhiata al ragazzo nello specchio. «Così quel gelosone di Kacchan non ti darà per disperso!».

Izuku sgranò gli occhi e si voltò di scatto verso la donna che già si stava allontanando.
«Ge-geloso?».

La udì ridere. Ma probabilmente era solo per prenderlo in giro, a giudicare dalle parole che gli rivolse mentre si spostava verso il bancone della cassa: «Vestito così? Domani ti marcherà stretto, tesoro. Credi a me!».


And nothing is quite
What it seems
Didn't I swear?
It such a beautiful dress
That you wear
It's but a game
This is some
Ordinary life
Liquido

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