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Moonlight

Poi c'è un tempo che è tregua,
tra il sollievo di un conflitto finito
e la paura di un tuono in arrivo.
~ Diceroio ~

La sagoma della luna pendeva bassa nel cielo, proiettando un bagliore argenteo sulle strade vuote sottostanti. La notte era tranquilla, a parte il frinire delle cicale che si levava da ogni giardino o macchia verde tra i palazzi e le strade.

Con un'occhiata furtiva alle spalle, Katsuki sgattaiolò fuori dalla porta d'ingresso, chiudendola con cura dietro di sé. Mentre percorreva il vialetto di casa, lasciandosi investire dal delicato profumo del gelsomino accanto al cancello, non riusciva a scrollarsi di dosso la fastidiosa sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Guardò verso l'alto, verso la finestra della camera dell'Alpha, ma non vide nulla. Scrollò le spalle e chiuse con cura il cancelletto, prima di muoversi a passo svelto e silenzioso verso destra, costeggiando le altre villette di quel quartiere.

Aveva avuto una giusta intuizione, ma Izuku era stato più furbo, tanto da non farsi vedere mentre osservava, da dietro la tenda, la partenza di quell'Omega con le sopracciglia aggrottate e la preoccupazione impressa sui suoi lineamenti.

"Dove stai andando, Kacchan?" Izuku sussurrò a se stesso, mentre il suo respiro appannava il vetro della finestra. Quel nomignolo dato da Mitsuki al figlio gli piaceva e aveva iniziato a chiamarlo così nella sua testa, da qualche giorno. Non lo faceva per mancargli di rispetto, ma solo per avere l'illusione di sentirlo un po' più vicino, la sua natura che quasi scodinzolava a quel pensiero.

Katsuki non s'era fatto vedere per tutto il pomeriggio e neppure per cena aveva degnato della sua presenza la famiglia.

Forse quella casa, ora che c'era anche lui, gli sembrava troppo stretta?

Eppure Izuku pensava che qualche passo per una convivenza civile l'avessero fatto... O, cosa più probabile, quella tregua era solo nella sua testa.

Esitò per un momento, combattuto tra dare spazio a Katsuki e quell'istinto incontrollabile che lo portava a volerne garantire la sicurezza ad ogni costo.

Era da un paio di giorni che gli capitava, sempre la sera. E, sempre di sera, Katsuki sembrava più schivo, nei confronti di tutti.

Il fatto che questa ritrosia fosse iniziata quando lui aveva smesso di prendere il soppressore della sera, fingendo di deglutirlo dopo la cena, lo aveva insospettito. E così quel piccolo momento di ribellione di Izuku era terminato qualche sera più tardi. Ma non sembravano collegate le cose...Mentre osservava il biondo andare in fretta verso destra, il cuore di Izuku batté forte nel prendere la decisione di seguire Katsuki da lontano, sgattaiolando a sua volta dolcemente nella notte.

Sapeva di non essere furtivo, ma sperava di riuscire a tenersi nascosto abbastanza bene da evitare di essere scoperto. Le strade deserte sembravano estendersi all'infinito davanti a loro, fiancheggiate da case buie e alberi ombrosi.

I passi di Katsuki erano leggeri, quasi silenziosi, mentre camminava a passo svelto. Le sue mani affondarono nelle tasche, gli occhi puntati dritti davanti a sé. Izuku lo seguiva, cercando di calcare i suoi passi silenziosi mentre teneva d'occhio l'imprevedibile Omega. Non poté fare a meno di preoccuparsi per Katsuki, chiedendosi cosa lo spingesse a cercare conforto nell'oscurità della notte.

«Hai finito di seguirmi come un cucciolo smarrito adesso?», Katsuki non si era voltato. S'era solo fermato, con le mani cacciate nelle tasche dei jeans, la testa di poco voltata a captare un rumore. Le strade silenziose sembravano aver trattenuto il respiro insieme a lui, mentre si sforzava di decifrare per bene il suono che lo aveva allertato.

«Solo se prometti di non scomparire più in quel modo.», ribatté Izuku, con voce ferma ma gentile, uscendo dall'angolo dietro cui s'era nascosto, mantenendo una mano poggiata al muro, per cercare equilibrio nei suoi passi.

Gli occhi socchiusi di Katsuki seguirono Izuku mentre emergeva dall'ombra, la tensione nel suo corpo era palpabile. La postura dell'Alpha era rilassata, quasi disinvolta, in netto contrasto con il comportamento diffidente dell'Omega.

«Pensi che non ti abbia sentito? Ti muovi come un cazzo di elefante in una cristalleria!», berciò lui voltandosi del tutto e sgranando gli occhi a vederlo sbadigliare, una mano davanti alla bocca spalancata, i canini che rilucevano leggermente sotto la luce della luna calante.

Quell'idiota era senza museruola.

«Imparerò a fare meno rumore quando ti seguo.», ammise Izuku con un sorriso sfrontato, cercando di alleggerire l'atmosfera.

«Non dovresti proprio seguirmi, Alpha.», gli ringhiò contro, facendo un passo indietro.

Lui non s'era mosso e lo osservava con curiosità, non capendo il perché di tutto quello sgomento sul suo viso.

Si stropicciò gli occhi con entrambe le mani, passandoci poi i palmi sul volto. E solo allora realizzò, tastandosi la bocca e il collo, di aver dimenticato un pezzo fondamentale e indietreggiò a sua volta a quella realizzazione.

«Dannazione, Deku.», mormorò Katsuki sottovoce, «Che cazzo ti è saltato in testa di uscire così?».

«Mi dispiace, Kacchan!», rispose Izuku, portando le mani a coprire la bocca, facendo due passi indietro, con gli occhi sgranati. «Katsuki!», si corresse immediatamente, il suono ovattato dalle proprie dita. «Mi dispiace, Katsuki!».

Il biondino sbuffò, guardandosi attorno con circospezione, sperando che nessuno li stesse osservando. Un Alpha all'esterno delle mura domestiche e senza museruola violava direttamente l'articolo 2, comma 1, lettera a della convenzione eurasiatica sui diritti degli Alpha del 2006.

Come lo sapeva? Paranoia. Ed esperienza personale che non voleva in alcun modo ripetere.

«Non ci ho pensato!», continuò l'Alpha, un altro paio di passi indietro e le mani ancora sulla bocca. «Volevo solo vedere che stessi bene!».

«Sto bene anche senza un cane da guardia.».

Tra di loro cadde un pesante silenzio e quei quattro metri che li separavano sembravano una voragine.

«Va bene, Katsuki.». La voce di Izuku era gentile, quasi rassicurante, anche se ancora attutita dalle sue mani. «Io... Io non sono qui per proteggerti. So che non ne hai bisogno... Solo... Volevo solo sapere che stessi bene. E provare a passare un po' di tempo con te...».

Katsuki lo fissò, sorpreso dalla sincerità negli occhi verdi del giovane. Una parte di lui voleva allontanare Izuku, per mantenere intatte le mura che lo avevano tenuto al sicuro per così tanto tempo. Ma un'altra parte, una parte che diventava sempre più forte ogni momento che passava, desiderava ardentemente poter far entrare qualcuno dalla stretta porticina su quelle mura.

Izuku osservò la postura rigida del ragazzo che aveva di fronte, notando il modo in cui i suoi pugni si stringevano nelle sue tasche. Desiderava davvero tendergli la mano, provare a rassicurarlo, ma si trattenne, temendo che così facendo avrebbe solo spaventato Katsuki com'era già successo. Si concentrò allora sul rimanere fermo, immobile, con la bocca coperta per non lasciare dubbi sulle sue intenzioni. Voleva davvero sapere dove andava nelle sue ronde notturne. Voleva che stesse bene e che non corresse pericoli...

Katsuki si strinse nelle spalle e, dopo aver camminato nervosamente sul posto, grattandosi la nuca, finì per osservare di nuovo Izuku, immobile, con la bocca ancora coperta dalle sue mani. «Sei un cazzo di idiota...», mormorò poi, facendo schioccare la lingua sul palato nel nentativo di capire come risolvere la questione: avrebbe dovuto scortarlo a casa, richiuderlo dentro e buttare la chiave nel cassonetto, ma la sua passeggiata notturna sarebbe stata rovinata comunque.

A poco valse anche la proposta dello stesso Izuku, di tornare a casa e prendere collare e museruola. Se doveva avercelo comunque tra i piedi perchè perdere tempo e tornare indietro?

Fu così che zittì tutto quel borbottare impacciato con un gesto della mano. «Smettila di blaterare e seguimi.».

«Ah?».

«Ti ho detto di seguirmi.», mormorò, voltando il capo istintivamente, distogliendo lo sguardo da Izuku, per mascherare il calore che gli arrossava le guance. «A patto che mantieni le distanze.».

Izuku annuì con forza, gli occhi spalancati di incredulità, resi lucidi da un velo di emozione che il biondo non comprendeva. Gli sembrava di avere davanti un cucciolo che attende con ansia un premio, un bocconcino.

Katsuki rilasciò un sospiro esasperato: «Togliti quell'espressione dalla faccia e muovi il culo, Izuku. Mi stai già facendo perdere una marea di tempo.», brontolò, riprendendo il suo cammino, separati da pochi passi l'uno dall'altro.

Il ritmo tranquillo dei loro passi riempiva l'aria, scandito solo dal sussurro occasionale del vento e, mentre camminavano, Katsuki lottava con i suoi pensieri, perchè l'aver permesso a Izuku di seguirlo gli provocava sentimenti contrastanti, confortandolo e spaventandolo allo stesso tempo.

Izuku avvertiva il peso del silenzio della sera e, mentre lo seguiva lungo le strette stradine secondarie vuote e buie, Izuku non poté fare a meno di chiedersi cosa spingesse Katsuki ad uscire così, in piena notte. Senza aver cenato o dopo aver a malapena fatto una doccia.

Lo osservava da dietro, preoccupato, non potendo fare a meno di notare come le ombre sembrassero aggrapparsi man mano a Katsuki, come se lui diventasse parte dell'oscurità stessa. E anche se desiderava ardentemente chiedere, temeva che farlo avrebbe solo allontanato ulteriormente l'Omega. Così, per il momento, lo seguì in silenzio, sperando che la sua sola presenza non gli arrecasse troppo disturbo.

Katsuki, invece, si sforzava di sopprimere quella paura che gli stava mangiando le viscere. Che idea del cazzo era stata lasciarlo venire con lui?

Più che il timore di avere un'Alpha senza museruola dietro di sé, il biondo passava con apprensione in rassegna tutti i possibili scenari nefasti che potevano presentarsi. E non riguardavano direttamente Izuku, ma le eventuali persone che avrebbero potuto incrociare nel loro cammino e rompere i coglioni perchè un Alpha era a piede libero. Completamente libero.

Perchè di gente che esce la notte ce n'è pure troppa, ammise a se stesso.

Però, in tutto quel maledetto timore, provava uno strano senso di sollievo nell'avere Izuku che lo seguiva come un cagnolino ubbidiente, mentre stava a qualche passo di distanza, cercando di rassicurarlo con quel tenue profumo di prato umido di rugiada. Anche se il suo orgoglio non gli permetteva di ammetterlo, in mezzo ai suoi pensieri tumultuosi, era grato per la silenziosa presenza dell'Alpha.

«Katsuki?», azzardò Izuku con esitazione, il tono di voce appena udibile da quella distanza. «Perchè ti piace così tanto camminare da solo di notte?».

Le spalle di Katsuki si irrigidirono, ma non si voltò. Invece, infilò le mani più a fondo nelle tasche e aggrottò le sopracciglia per il pavimento irregolare sotto i suoi piedi. Forse avrebbe dovuto chiedergli di stare anche zitto, oltre che a distanza. E magari di non osservarlo con così tanta insistenza da sentirsi quasi perforare la nuca da quello sguardo di smeraldo. Perchè, anche da quella distanza, riusciva a percepire lo sguardo preoccupato dell'Alpha su di lui.

«Mi hai sentito?», incalzò quello.

«Certo che ti ho sentito, stupido Deku.», brontolò Katsuki, voltandosi finalmente verso quel ragazzotto insistente, fermandosi e facendo fermare a distanza pure lui.

«Non vuoi rispondermi?».

Un altro sospiro esasperato e, poi, le parole rotolarono fuori dalle sue labbra quasi da sole, senza freni. «Perchè è tutto più calmo e più lento.», rispose Katsuki, con una voce appena percettibile. «E ti ho già detto che mi aiuta a schiarire le idee.».

«Davvero?», fece Izuku, sinceramente incuriosito. «Ma per tipo... Per le cose di lavoro?».

La testa bionda ondeggiò appena, una piccola smorfia di sufficienza gli increspò le labbra. «Anche...».

La comprensione apparve sul volto di Izuku mentre annuiva, rispettando il bisogno di spazio di Katsuki pur offrendo un silenzioso supporto; poi Katsuki si mosse e ripresero il loro cammino in un silenzio meno teso, più piacevole, ognuno perso nei propri pensieri.

Mentre camminavano, la mente dell'Omega tornò al breve scambio di battute di poco prima. La quieta serenità della notte era sempre stata la sua via di fuga dal caos del giorno, un'occasione per respirare e schiarirsi le idee. Per stare con se stesso e lasciare tutti i propri demoni addormentati sotto al letto. Però con Izuku che condivideva quello spazio sacro, si sentiva stranamente vulnerabile. E quel sentimento non era del tutto sgradito

La luce della luna filtrava attraverso le chiome degli alberi mentre camminavano l'uno avanti all'altro, a una distanza confortevole per Katsuki. Le ombre proiettate dalle foglie giocavano sui loro volti, creando un senso di tranquillità che sembrava sfidare quella costante tensione tra di loro.

«Posso farti una domanda?».

Il biondo alzò gli occhi al cielo, voltando poi il capo verso Izuku, rallentando l'andatura per farlo avvicinare e non farlo parlare a voce alta. «Ho una reale scelta?».

«No, va bene. Sto zitto.».

Katsuki sbuffò, fermandosi del tutto, fronteggiandolo: «Avanti, parla!».

«Perchè hai saltato la cena stasera?».

«Mi sono solo allenato, tutto qui.»

«Allenato??» Izuku inclinò la testa, perplesso.

«Sì, prendo lezioni di difesa personale.», Katsuki distolse lo sguardo, con voce burbera. «Di solito pretendo il massimo da me stesso e torno a casa esausto e non ho molta voglia di mangiare. Non subito, almeno.».

«D'altronde ci sono io in casa, no?».

«Cosa cazzo stai dicendo?».

Gli occhi verdi del ragazzo si abbassarono sui loro piedi, che calcavano l'asfalto con ritmo asincrono. «Hai un Alpha in casa. E non hai mai fatto mistero di non sopportarmi.», disse il ragazzo dai capelli verdi, osservando l'Omega camminargli a qualche passo di distanza.

Katsuki si voltò di poco per osservarlo, da sopra la spalla, trucidandolo con lo sguardo, fermandosi e costringendo anche l'altro ad arrestarsi. «Sei fuori strada, idiota. Non lo faccio perchè ci sei tu che scodinzoli per casa. E non sei il centro del mio mondo.».

Il tono era secco e sgarbato, come sempre, ma le spalle erano incurvate, come se si portasse dietro qualcosa di fin troppo pesante.

«Faccio questa cosa da prima che arrivassi tu.», sembrò giustificarsi dopo un lungo sospiro, riprendendo a camminare.

L'espressione di Izuku si addolcì mentre lo seguiva, perchè un po' si sentiva rincuorato da quella affermazione. «Capisco. Beh, scusa. Sono saltato a conclusioni affrettate allora...».

«È arrivato capitan ovvio!», smorzò Katsuki, con un ghigno.

«Alla fine, è ​​un bene che tu abbia imparato a proteggerti se ti piace così tanto andare in giro di notte, no?», e sorrise timidamente.

Continuarono a camminare in silenzio per qualche istante prima che Katsuki finalmente parlasse di nuovo. «In ogni caso, perché sei così fissato sulla mia paura di camminare da solo di notte? Sembra una cosa strana di cui essere curioso.»

Izuku alzò le spalle, guardando le falene che volteggiavano attorno alle luci dei lampioni lungo la strada. «Credo di trovare interessante il modo in cui persone diverse reagiscono alla paura. Alcuni la abbracciano, altri cercano di ignorarla e altri si lasciano consumare.».

«E quale di queste pensi che io sia?», chiese Katsuki con un sopracciglio alzato.

Izuku sorrise dolcemente. «Penso che tu cerchi di ignorarlo per la maggior parte del tempo. Ma nel profondo, c'è una parte di te che a volte si lascia consumare.»

Katsuki provò uno strano disagio per la valutazione così veritiera che Izuku aveva fatto di lui. Non voleva che nessuno vedesse quel lato vulnerabile della sua persona, ma, allo stesso tempo, apprezzò che Izuku fosse riuscito ad andare un po' oltre il suo aspetto duro.

Katsuki lo guardò con cautela per un lungo momento, soprattutto quando l'Alpha si mise al suo stesso passo, invece di restare indietro. Era strano, constatò Katsuki, avere un Alpha totalmente libero al suo fianco in quel modo. Come se fossero alla pari, uguali.

E quel pensiero gli fece male, perchè lo riportò indietro di anni, a quando le sue idee erano totalmente diverse. A quando attorno alla sua anima non c'era quella maledetta muraglia che lo isolava dal mondo.

Quella vicinanza lo rese anche estremamente consapevole del profumo di Izuku: fresco come l'erba umida bagnata dalla rugiada del mattino e un dolce profumo di menta. Proprio come quando cammini in un prato, all'alba, e ti capita di sentirla... Quell'aroma lo avvolse, provocandogli uno strano sussulto nello stomaco.

"Stupido Deku e il tuo stupido odore!" pensò Katsuki irritato, cercando di ignorare come gli faceva stringere le viscere e come un calore sconosciuto gli si accumulava nella pancia. Un gemito inaspettato gli salì su per la gola, tanto che, colto da imbarazzo, tossì per coprirlo.

Izuku si sporse, osservando Katsuki con preoccupazione. Nel silenzio momentaneo si udì un rombo distinto. Lo stomaco di Katsuki si stava lamentando, contraendosi in movimenti disordinati e rumorosi.

Le labbra di Izuku si distesero, lottando contro un sorriso e Katsuki sentì le sue guance avvampare nel vedere quella sua espressione così... morbida?

«Scommetto che non mangi da oggi a pranzo.».

«Non una parola. Continuiamo a camminare.».

«Oppure è dalla colazione di oggi che non tocchi cibo?».

«Cristo santo... La vuoi finire?».

Alla fine della strada che stavano percorrendo, le luci brillanti di un conbini rilucevano come come un faro in una notte tranquilla, Izuku si rivolse a Katsuki con un'espressione determinata. «Vedi! Pure l'universo ti sta dicendo che hai bisogno di mangiare qualcosa!».

Katsuki alzò gli occhi al cielo, un sorrisetto ad alzargli l'angolo della bocca a vederlo tanto determinato ed insistente. «Se mangio la finisci di rompermi i coglioni?», è quello annuì, le labbra strette in un sorriso frenato e gli occhi spalancati. Cosa credeva? Che fare "mamma chioccia" con lui gli avrebbe fatto acquistare punti?

«Tsk! Muoviti allora!», e lo afferrò per una manica, trascinandolo nel convenience store senza troppe proteste.

Girando per i corridoi, Izuku si accorgeva di cibi o snack che ricordava dall'infanzia, il volto che si illuminava a vedere quella confezione di dolcetti che gli piaceva da bambino, chiedendo talvolta a Katsuki se anche lui se li ricordava, finendo per canticchiare qualche jingle di pubblicità che entrambi conoscevano. C'era una leggera aria di spensieratezza in quel momento, smorzata d'un tratto davanti allo scaffale dei cereali.

«Uh? Tu li vedi?».

«Cosa?».

«Quegli anellini colorati che sapevano di frutta... Quelli con All Might in posa sul pacchetto...»

«Ah! Quelli che ti davano come sorpresa le calamite dei supereroi di Super Jump!», e a Katsuki si illuminò il volto a quel ricordo. «Devo averne ancora di quelle da qualche parte in soffitta...».

«Anche io ne-», ma Izuku smorzò l'entusiasmo in un colpo solo, attirando l'attenzione del biondo su di sè.

«Anche tu li avevi?».

«Sì... Quasi tutte...».

Katsuki sentì una specie di groppo formarsi in gola, qualcosa che neppure lui sapeva spiegare; una tristezza che faceva a pugni con la canzoncina della pubblicità che gli era venuta in mente appena l'Alpha glieli aveva ricordati. Quel groppo di malinconia nel vedere gli occhi intristiti di Izuku lo portarono solo a dire un laconico: «Peccato. Non li fanno più da anni.».

«Oh... Beh...».

«Probabilmente è colpa tua che li hai mandati in bancarotta. Cristo! Ma quanti cazzo ne hai mangiati per avere quasi tutte le calamite!», berciò il biondo, quasi con disgusto. Perchè quei cereali erano davvero stomachevoli.

Izuku ridacchiò, portandosi una mano a massaggiarti il collo, un lieve imbarazzo che gli colorava le guance e ne faceva risaltare le efelidi: «Un po'... Ma erano buoni! Mi piacevano!».

Katsuki simulò un conato di vomito, ridacchiando subito dopo, portando Izuku a gonfiare le guance per un momento, offeso da quel gesto: «Allora sentiamo: quali erano i tuoi preferiti Kacchan?», lo sfidò.

«Non fanno più nemmeno i miei.», tagliò corto, provando ad allontanarsi da quello scaffale, tirando di nuovo l'Alpha per una manica.

«Scommetto che erano al cioccolato, vero?»,  e Katsuki si irrigidì un momento perchè sì, ci aveva azzeccato.

Erano al cioccolato e li adorava. «Già. Quelle palline di cioccolato che coloravano il latte.».

«Ah! Ma quelle le fanno ancora!».

«No. Quelle non le fanno più. Sono solo stupide imitazioni. Quelle erano chimica pura, cazzo! Non sbiadivano nel latte, non si rammollivano... Adesso? Bleah!».

Quell'espressione strappò un tenue sorriso a Izuku, che seguiva docilmente l'Omega tra gli scaffali, senza trovare davvero qualcosa per cui valesse davvero la pena fermarsi ad acquistare.

Izuku gli proponeva piatti pronti da consumare lì, al volo, su un bancone attaccato alla vetrata, ma Katsuki non voleva.

Ma le loro battute continuavano mentre camminavano piano, il facile avanti e indietro lungo le corsie allentava la tensione persistente. Poco prima della cassa, Katsuki aprì le porte a vetri del congelatore prendendo due gelati e lanciandone uno a Izuku. «Mi sono rotto le palle. Prendilo. Tanto offro io, no?».

Izuku sorrise raggiante, non perchè oggettivamente non avesse un soldo in tasca e fosse stata sua l'idea di entrare lì per far mangiare quel biondino, ma perchè alla fine lui aveva comunque scelto di ascoltarlo. Avrebbe potuto uscire a mani vuote, ma non l'aveva fatto. «Bravo, Kacchan!», si ritrovò a dire, con forse troppa enfasi mentre uscivano. E proprio quelle parole e quell'enfasi si riversarono nelle orecchie di Katsuki assieme a piccoli brividi lungo la nuca e le braccia, tanto che dovette muovere collo e spalle per farli andare via.

Maledetto praise kink.

Uscirono nella notte, con i gelati in mano. Katsuki guardò di traverso Izuku per quell'affermazione, tentando di mascherare l'effetto che invece gli aveva fatto, dirigendosi verso un piccolo parco, poco distante dal negozio. Il vuoto di quel posto ad un'ora così tarda dava un senso di inquietudine a Izuku, che seguiva il biondino con passo incerto. Katsuki invece conosceva bene quel posto, dove veniva spesso da bambino, e saltò su un muretto che delimitava una giostra dall'area di sabbia dove di solito i bambini piccoli giocavano. A quell'ora probabilmente era solo un pisciatoio per gatti.

Diede colpetti allo spazio accanto a lui in un silenzioso invito. Izuku si andò ad accomodare sul muretto, di fianco al biondino, ma mantenendo comunque una certa distanza. Il gelato nelle loro mani si stava lentamente sciogliendo, gocciolando anche sul terreno sottostante tra le loro gambe mentre mangiavano in silenzio.

«Uffa, questa cosa sta facendo un casino.», brontolò Katsuki, usando la mano libera per tenere il celato e tentare di leccare dalle dita e dalle nocche i residui appiccicosi.

«Ecco, usa questo...», e Izuku gli offrì un tovagliolo che aveva preso prima di uscire dal conbini. Katsuki lo prese con un grugnito di ringraziamento, e per un po' gli unici suoni furono il ronzio lontano dei lampioni e l'occasionale scricchiolio dei coni gelato.

Poi, come a un segnale convenuto, le luci del parco si spensero d'un tratto, facendoli sprofondare nell'oscurità. Sopra le loro teste, le stelle brillavano luminose, le loro costellazioni si rivelavano lentamente contro la tela nera del cielo. Gli occhi di Izuku si spalancarono per lo stupore, parendo quasi brillare della stessa luce di quelle stelle, riflessa nelle sue iridi.

Katsuki voltò il capo ad osservarlo, mentre quello se ne stava con la bocca spalancata a borbottare a bassa voce i nomi di quelle stelle, delle loro figure. E con un peso nel petto si rese conto, in quel momento, di quanto piccolo sembrasse. Non di statura o di età, ma di anima. Quella verità, sbattuta in faccia nel buio e nel silenzio, gli diede una strana sensazione che non era dolore, ma più...compassione.

E non era quella pietà ignobile, che ti fa guardare dall'alto in basso le persone solo per il gusto di sentirsi superiori. Era più un sentimento accorato, una voglia irrefrenabile di toccarlo, di abbracciarlo. Di consolarlo.

«Le vedevi?».

Izuku voltò il capo verso di lui, guardando il profilo affilato di quel ragazzo che ora puntava al cielo. «Ah?».

«Al rifugio... Le vedevi mai le stelle?».

Gli occhi verdi tornarono a fissarsi al cielo. «In sogno... Ma non erano così belle.».

Katsuki strinse gli occhi, provando a deglutire, ma tutto il dolce del gelato sembrava svanito e sulla lingua aveva solo l'amaro di quella frase e di quella malinconia che aveva percepito.

Il suo odore virò al bruciato, all'odore acido di pane troppo cotto, e Izuku se ne accorse subito, spostando istintivamente la mano sul muretto, il mignolo a destro a sfregare con delicatezza la coscia del biondo. «Stai bene?», ma quello non rispose, limitandosi a spalancare gli occhi al cielo, l'umido della sclera a infrangere quella marea di luci in frammenti di opale e rubino. Lo vide annuire, anche se di poco, e questo parve bastare.

«Sai...», Katsuki ruppe il silenzio, con voce più dolce e morbida del solito. «Il tuo bozzetto dell'altro giorno... È stato davvero un buon lavoro.».

Izuku tornò a fissarlo e sbattè le palpebre, sorpreso, non aspettandosi un complimento da Katsuki. «L'hai visto?».

«Sì. E Portia si è spesa in elogi. Meritati, devo dire.».

Un calore si diffuse attraverso il suo petto, spingendo un sorriso genuino a formarsi sulle sue labbra. «Grazie. Non immaginavo che te lo avesse fatto vedere.».

«Sono il suo capo. È normale che mi mostri le cose.». Fece una breve pausa, in cui il braccio sfiorò quello di Izuku, allungandosi verso di lui, il palmo sul muretto a poggiarsi di peso sulla mano sinistra, la stessa posizione che aveva assunto l'Alpha, ma speculare. I volti di entrambi ora rivolti in alto. «Probabile che mio padre ti chiederà di lavorare con lei.».

Izuku non sapeva cosa dire, perchè neppure un semplice ringraziamento sarebbe stato in grado di descrivere come si sentiva, ma il suo volto si aprì comunque in un sorriso radioso. La forza della sua felicità colpì Katsuki come se fosse stato un pugno, assieme al profumo di erba fresca e menta che si intensificava, avvolgendolo come una carezza.

Katsuki deglutì a fatica, il cuore che gli faceva strani sussulti nel petto, sentimenti estranei che facevano reagire il suo corpo in modo strano alla presenza dell'odore fresco di Izuku...

Ma c'era una cosa che annebbiava un po' quel sorriso di gratitudine e, in un moto di schiettezza, mentre toccava con la propria la spalla di Katsuki, le parole uscirono dalla bocca di Izuku senza filtri. «Alla proposta di Todoroki ci hai più pensato?».

Katsuki sbuffò, distogliendo lo sguardo dalle stelle, fissandolo con un cipiglio infastidito.

«Vuoi lavorare per lui?».

«Alla fine, non è quello che stai facendo anche tu?».

Il biondo sbuffò di nuovo. «Non intendevo quello.», e fece una pausa prima di sospirare e rimettersi a parlare. «Non ho voluto pensarci.», ammise, mentre si scambiavano un breve sguardo, qualcosa di non detto che passava tra di loro. In quel momento, Izuku rilasciò una sottile ondata di feromoni dolci e rassicuranti, il cui odore era appena percettibile, ma sufficiente a provocare una strana sensazione in Katsuki, che aggrottò le sopracciglia, provando un misto di confusione e disagio. «Che stai facendo?».

Izuku esitò per un momento, con la mente piena di domande. Aveva oltrepassato il limite? «Cerco di tranquillizzarti...».

Aveva bisogno di spazio per pensare. Perchè quell'odore così leggero e fresco da sembrare una granita o un ghiacciolo lui avrebbe tanto voluto sentirlo su di sè. E non era una cosa che doveva accadere.

Così scivolò in fretta dal muro, allontanandosi già di un paio di passi, infastidito più che dall'ultimo discorso, dalla propria debolezza verso quell'aroma che il ragazzo emanava, pur debolmente. Perchè gli altri giorni non l'aveva sentito? «Dovremmo tornare indietro.», disse col solito tono brusco.

Izuku sbatté le palpebre per l'improvviso cambiamento, ma annuì comunque . «Certo, Katsuki. Andiamo a casa.»

Casa. La parola echeggiò nella mente di Katsuki mentre camminavano, iperconsapevole del calore emanato dall'Alpha al suo fianco e dal suo odore.

Avrebbe dovuto sembrare sbagliato, perchè lui doveva odiarlo, allontanarlo. Ma in qualche modo... In qualche modo sembrava giusto. E questo lo terrorizzava più di ogni altra cosa.

Persino più di avere un Alpha completamente libero che lo avvicinava e lo annusava piano, da sopra la spalla, emettendo un piccolo mugolio di apprezzamento. «Questo profumo mi ricorda qualcosa, sai?», azzardò il ragazzo, con una punta di giocosità nella voce, mentre Katsuki ringhiava piano in avvertimento.

«Distanza, Alpha!», e Izuku si ritrovò ad uggiolare e obbedire a quel comando, restando di un paio di passi indietro.

Sotto il tenue bagliore di un lampione, Katsuki si strofinava gli occhi con entrambe le mani: si passò i palmi sul viso ed emise un ringhio, sforzando la bocca e il collo, cercando disperatamente di cancellare la propria frustrazione. Ma sembrò solo spaventare Izuku, che rimase a debita distanza da lui.

«Cazzo!», mormorò sottovoce, perchè fu solo allora che si rese conto di aver dimenticato un pezzo fondamentale: «I soppressori...». E ora capiva il perchè di quella ipersensibilità a quello stupido Alpha.

Gli occhi di Izuku si spalancarono allarmati nell'udire quella parola, preoccupato che lui avesse scoperto la sua breve riduzione volontaria della dose serale; si ritrovò a prendere ulteriore distanza, portandosi una mano al collo, il timore di una nuova serie di scosse e la consapevolezza di non avere nessuno ad aiutarlo. Ma i polpastrelli toccarono la pelle nuda e calda della gola, non un collare di freddo metallo.

La tensione sembrava addensarsi tra loro come una foschia.

«Kacchan?». Gli uscì come un rantolo quel nomignolo, detto con lo stesso affetto di Mitsuki, seriamente preoccupato di quella reazione improvvisa che, in cuor suo, aveva capito che non era rivolta a lui.

«Stai zitto, Deku!», Katsuki scattò e lo interruppe. Il cuore gli batteva all'impazzata contro il petto, mentre si malediceva mentalmente per la sua disattenzione, provando a dare la colpa ad altro, quando in realtà si sentiva un idiota.

«Torniamo a casa, dai.», mormorò Izuku, distogliendo lo sguardo dalla pavimentazione screpolata sotto i loro piedi. Esitò per un momento, apparentemente alla ricerca delle parole giuste. «Devi prenderli, giusto? Non dovresti avere problemi con gli orari, vero?».

Ma più Izuku provava a calmarlo, più Katsuki stringeva i pugni, con le unghie conficcate nei palmi delle mani, mentre cercava di reprimere l'ansia che cresceva dentro di lui.

Era stato così idiota da avventurarsi di notte senza soppressori, per di più con un Alpha senza collare e museruola...

Scattò di lato, incespicando sui propri passi quando sentì la mano di Izuku sfiorargli la spalla. «Non toccarmi.», scandì con un ringhio, girando i tacchi e camminando velocemente verso casa, preda di una rabbia incontrollata verso se stesso e la sua stupidità, rimproverandosi per aver permesso che si verificasse un evento tanto pericoloso da renderlo totalmente vulnerabile.

«Katsuki aspetta!», azzardò Izuku rincorrendolo. «Non volevo spaventarti... Ho solo... Mi preoccupo per te!».

«Smettila di preoccuparti!», abbaiò Katsuki, sentendo la sua rabbia dissiparsi leggermente percependo di nuovo quella nota fresca che lo stava avvolgendo di nuovo. «Posso cavarmela benissimo senza la tua stupida preoccupazione!»

«Va bene.», rispose Izuku, con una punta di tristezza nella voce. «È che voglio solo che tu sia al sicuro...».

«Fai come cazzo ti pare, ma non ti avvicinare!», mormorò Katsuki, incapace tuttavia di ignorare il debole calore nel suo petto alle parole dell'Alpha.

Con un cenno del capo, Izuku accettò, calcando i passi e precedendolo, così forse si sarebbe sentito meno esposto, meno in pericolo. «Torniamo indietro.», decretò mentre lo superava di lato.

Era grato per i piccoli progressi che avevano fatto, e si rese conto che quella serata di tregua era stata preziosa e unica e si ritrovò comunque a sorridere, apprezzando il fragile legame che aveva iniziato a formarsi tra loro.

Però poi udì un lamento e, voltandosi, vide Katsuki in ginocchio a terra, le braccia strette al corpo e una smorfia di dolore mentre, a denti stretti, lo chiamava.

«Izuku... Aiutami...».



We're running in the moonlight
We're dancing in the open waves
You're hanging for a good time
Something that'll make you stay
~ Chase Atlantic ~

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