Intro
Immagina di svegliarti e scoprire che tutto è diverso nel tuo mondo.
La famiglia che conoscevi e amavi non c'è più.
Il viso di tua mamma, la sua repulsione... restano impressi nella tua memoria. Il modo in cui ti guardava, come se fossi qualcosa di sporco, qualcosa da grattare via dalla sua scarpa. Eppure, eri suo figlio. Il suo unico figlio.
Il tuo letto, le tue cose e anche quella casa così accogliente che era sempre stata il tuo rifugio e in cui non vedevi l'ora di tornare dopo la scuola...
Spariti.
Spariti nel tempo di un esame medico. Spariti in pochi giorni in cui l'ansia ti mangiava vivo.
Ora sei qui, in questo inferno di "rifugio" che puzza di sudore e disperazione, circondato da altri Alpha.
Alpha come te.
Non hai mai chiesto.
Non hai scelto tu questa vita.
Perché sembra che tutti gli altri abbiano voce in capitolo nella tua vita tranne te?
Tu avresti scelto il calore, l'affetto, i tenui silenzi riempiti dall'aroma di the verde e biscotti, non certo una stanza dalla porta blindata, gli spifferi che ti uccidono le cervicali e ondate di pidocchi quando sbagliano la sanificazione delle lenzuola.
Le pareti sono spoglie e fredde, i letti duri e rigidi. Le porte di metallo vi separano come le gabbie in uno zoo, ed è esattamente così che vi trattano.
Animali, in attesa che arrivi il vostro "turno", che siate scelti da qualche Omega che vi ritenga degni.
Come dovresti sopravvivere in questo posto? Un luogo dove la bilancia pende al contrario, dove i più forti vengono calpestati e i deboli vengono innalzati a semidei?
È giustizia questa?
È vita questa?
Prima adoravi le mani che ti toccavano, che ti lasciavano carezze, dolci baci tra i capelli profumati. Ora hai paura di una serratura che si apre perché sai che riceverai calci e maltrattamenti solo perché esisti.
La tua permanenza in quel luogo freddo e rumoroso, invece di essere breve, finisce per allungarsi per mesi oppure anni; sempre la stessa routine senza fine, senza l'amore vero di un essere umano, senza le comodità di una vera casa, solo regole ferree e pillole a scandire le tue mezze giornate.
Intorno, altri come te guaiscono di dolore, sbraitano, piangono. Nei giorni migliori, uno sconosciuto (mai la stessa persona due volte) viene a trovarti e ti porta a fare una passeggiata in cortile, collare elettrificato al collo, museruola d'acciaio.
«Come il maledetto cane che sei!».
Lo dicono loro, lo sai come funzionano queste cose: si tende ad avere paura di ciò che non si conosce.
La paura conduce all'ira, l'ira all'odio; l'odio conduce alla sofferenza.
La senti, la loro paura.
È quella nota acidula, fastidiosa, che si portano dietro quando vi danno da mangiare.
È la nota più roca nelle loro offese, unico linguaggio che conosci da mesi, da anni.
Le parole dolci non le avrai più.
Le parole lievi tienile nei ricordi e le carezze di tua madre usale come sonnifero, assieme al calmante che ti iniettano in vena per renderti docile, un cucciolo sdentato che non sa neppure cosa voglia dire scappare.
Rannicchiati in quel letto sfatto, su cui ti sei ammazzato di seghe illudendoti che, prima o poi, qualcuno sarebbe venuto a salvarti, sperando che quell'esame fosse un errore, quando la tua natura diceva tutto il contrario, quando i crampi erano più forti e credevi che ti si spappolasse il fegato a furia di soppressori.
Povero caro...
Che ricerchi una parvenza di conforto con te stesso, ma è tutto inutile.
Li senti? I suoni degli Alpha che uggiolano o ringhiano... Non ti fanno compagnia? Non ti senti meno solo tra queste mura di mattoni sottili?
O il pesante giogo della disperazione minaccia di schiacciarti ogni giorno, ogni singola mattina in cui ti alzi dal letto e ricominci tutto da capo?
Non farti promesse vane: non troveri una via d'uscita da questo inferno, neanche anche a costo di ucciderti. Non hai neppure quella di possibilità.
Alla fine, che ti può capitare di peggio? Finire in un bordello?
Chiudi gli occhi, cucciolo, sforzati di dormire. Domani è un altro giorno, un'altra possibilità di sopravvivere.
Magari è un altro giorno più vicino alla libertà.
•••
Il rumore dei passi lo svegliò di soprassalto stavolta.
Aveva imparato ad avere il sonno leggero, a dormire sempre con tutti i sensi in allerta, tanto che i suoi occhi si aprirono di scatto nella semi oscurità della stanza e si sedette velocemente sul bordo del letto, le gambe aggrovigliate al lenzuolo liso, che di bianco aveva solo un vago ricordo. Mosse piano la testa cercando la fonte del rumore, ma gli ci volle comunque un momento perché la sua mente si riprendesse dal torpore del sonno e capisse di essere vivo e, purtroppo, sempre nella sua cella, al Rifugio.
Il Rifugio.
Un nome così maledettamente dolce e benevolo da nascondere ciò che realmente era: una prigione.
Strofinò gli occhi per il sonno, mentre l'udito si affinava e cercava di concentrarsi sulla figura in piedi davanti alla sua cella.
La vedeva dalla piccola finestra di controllo. Ne sentiva la colonia dozzinale che tentava di mascherare quell'insipido odore di guardia Beta che lo osservava con un'espressione truce sul viso.
«Alzati e preparati.», parve abbaiare con voce aspra e impaziente.
Esitò per un attimo prima di alzarsi lentamente in piedi, portando le mani sulla schiena, stendendosi per stiracchiarsi.
«Anche voi!», e anche gli altri Alpha, nelle loro celle, iniziarono a muoversi, alcuni gemevano in segno di protesta mentre altri, semplicemente, guardavano le guardie di fronte alle loro porte con occhi diffidenti.
«Oggi è giornata di visite, Alpha. Renditi presentabile.», lo informò la guardia con un ghigno mentre apriva la porta della sua cella e restava a guardare mentre si cambiava in fretta, saltellando su un piede per infilarsi un calzino, mentre si dirigeva verso il lavandino, attaccato al muro, sul fondo della cella.
Le mani tremarono sotto l'acqua fredda, così come brividi lunghi gli percorsero il collo nel lavarsi la faccia un paio di volte.
Deodorante, una spazzolata alla zazzera di ricci ribelli e tirò fuori da sotto il letto quelle scarpe rosse che non metteva da mesi, un po' strette in punta, consumate, sporche, ma ancora integre. Una piccola ancora per la sua anima.
«Visitatori? Credevo che per questo mese non ci fossero più adozioni...», chiese alla guardia, mentre prendeva dalla sua mano la compressa di soppressore e la trangugiava a secco, com'era abituato a fare da qualche settimana a quella parte.
«Il Direttore ha deciso così. Non metterti a rompere i coglioni come il tuo solito, I1507!».
Il ragazzo, di poco più alto della guardia, sorrise, imbarazzato: «Sì signore!», e si chinò appena, il capo piegato in avanti per permettergli di allacciargli la museruola alla testa e di fissarla con un lucchetto al collare metallico che portava sempre al collo, giorno e notte.
Mentre percorrevano il corridoio poco illuminato, il ragazzo faceva fatica a tenere il passo della guardia, troppo agitato per quella novità, il cuore che batteva forte per la curiosità e l'attesa, ma anche per la paura.
Perché il Direttore aveva permesso una seconda visita quel mese?
Lui e gli altri Alpha della sua sezione fecero colazione in fretta in refettorio, prima che le guardie li conducessero in una piccola stanza che fungeva da area visite ma a lui sembrava tanto una sala per il riconoscimento dei colpevoli, come in quei vecchi film polizieschi che tanto adorava da piccolo e che si ritrovava a guardare sul divano con...
Scosse la testa e scacciò quel pensiero, così come il magone e il pizzicore agli occhi che rischiavano di renderlo impresentabile.
Così si ritrovò, gomito a gomito con E1610, quel vicino di stanza tanto simpatico, con cui si faceva spesso forza nei momenti di sconforto, nei giorni no.
Si guardarono di sottecchi, un piccolo, timido, sorriso nel rivedersi dopo molto tempo, perché non sempre, nell'ora d'aria, era loro permesso di avvicinarsi.
«Ehi!».
«Ehi! Sei più grosso dell'ultima volta, E!».
Non avevano mai avuto il coraggio di dirsi i loro veri nomi, rimasti sempre sulla punta delle loro lingue, troppo preoccupati che li separassero, che vedessero quella piccola luce di amicizia e calore umano come la scintilla di una rivolta.
Certo: la storia insegnava che non bisogna mai fidarsi di una Alpha, ma lui...
Lui era diverso.
Loro erano diversi. L'aveva capito bene.
«Sto provando a fare flessioni in stanza... non sarà molto, ma almeno mi tengo allenato...», il ragazzo dai capelli rossi gli sorrise, gli occhi rossi, luminosi e ricchi di speranza: «Sai, magari trovo un Omega a cui piacciono i muscoli!».
Ne rise. Non per deriderlo, ma perché sperava davvero che una persona dal cuore buono come E potesse trovare davvero qualcuno in grado di apprezzarlo. Di sceglierlo per il sorriso gentile e gli occhi sinceri.
E lui? Cosa aveva lui da offrire, se non la sua intelligenza? Non aveva avuto modo di capire cosa potesse piacere alla gente di lui. Sapeva solo ciò che non andava bene.
Troppo secchione a scuola. Troppo gracile per la squadra di calcio. Troppo gentile per essere notato dalla tipa carina della seconda B.
Quando la tenda grigia davanti a loro si mosse, poté percepire l'agitazione di chi gli era accanto, di quei diciannove Alpha che stavano in quello spazio ristretto con lui, che tenevano un cartello tra le mani con un numero.
Non riusciva a vedere chi c'era dall'altra parte del vetro: le luci erano messe in maniera tale da non far vedere ai candidati chi fosse il visitatore.
Prese respiri profondi e si sforzò di calmare il battere furioso del proprio cuore, guardando di fronte a sé, i canini ben ritratti e le labbra tirate in un sorriso caldo e rassicurante.
"Girarsi di novanta gradi a destra!", gracchiò l'interfono e quella ventina di Alpha si mosse quasi in sincrono, in attesa di un nuovo ordine.
"Girarsi ancora!".
Nervosismo, palpabile, percepibile nelle note acidule che sentiva attorno a lui, in quell'olezzo che ognuno aveva e che gli vorticava in testa.
Corteccia orbitofrontale sollecitata, immediata sensazione di nausea che gli stringeva la bocca dello stomaco.
"Verso il vetro. Tutti quanti.".
Obbedirono, come i cani addestrati che avevano imparato ad essere.
Sentiva la tensione accumularsi in ogni muscolo.
Non era mai successo che ci fossero tempi così lunghi tra un comando e l'altro.
Così come non era mai successo, da quando era al Rifugio, che gli ordinassero di presentare il polso, facendolo uscire dalla piccola feritoia che si era aperta loro davanti.
Brevi sguardi preoccupati, mentre le maniche si alzavano e ognuno infilava mano e polso nella fessura.
Lui era alla fine della fila di persone e non si aspettava certo di sentirsi strattonato per il braccio, fino a quasi perdere d'equilibrio.
"Numero diciotto, rilascia l'odore.",
Chiuse gli occhi e si concentrò, sentendo il polso umido, sudato, di quella sostanza che nessuno lì dentro aveva il permesso di rilasciare.
La stanza delle visite si riempì di un tenue profumo di erba fresca, appena tagliata, con una nota leggera di menta, fresca, avvolgente.
Poi il contatto caldo sul polso svanì così come l'aveva sentito all'inizio.
"Numero quindici, rilascia l'odore.".
Silenzio e respiri trattenuti. Lanciò un'occhiata a quel ragazzo che se ne stava sempre in disparte, con quel colore di capelli così particolare da ricordargli l'ametista che campeggiava come fermacarte sul mobile all'ingresso della sua vecchia casa.
Ricacciò indietro il grumo di saliva e restò in attesa, come tutti.
Poi toccò all'Alpha numero quattro, un ragazzo dai capelli neri che non aveva mai visto o a cui non aveva mai fatto davvero caso.
"Togliere e chiudere.", gracchiò di nuovo l'interfono, lasciandoli tutti lì, a marcire nella loro ansia, che corrodeva fegato e speranze in un unico colpo, mentre la tenda si abbassava e venivano tutti condotti di nuovo fuori.
Corridoio, camerate della sezione A, cella. Ma museruola e collare erano ancora addosso al giovane, seduto sul letto, incurvato su se stesso, nei cui occhi un'altra fiammella di speranza si spegneva.
Niente di fatto. Neppure quel giorno.
Ma la guardia era ancora lì, davanti alla porta, ne vedeva il berretto nero e i capelli rasati sulla nuca. E sentiva che parlava con qualcuno, mentre la serratura scattava di nuovo.
I1507 inspirò a fondo, alzandosi dal letto e chinando il capo per farsi liberare dalla guardia, senza sapere però che quello che percepiva come il delizioso profumo di un panino dolce, appena sfornato, era il vero profumo della sua libertà.
Lord, you know I've cried a thousand tears tonight
But nothing seems to quench the thirst you keep on craving
But now I need an answer to my prayers and you're not there
So why I think you listen? Listen!
Has no one told you? Your cries are all in vain
⁓ Bullet for my Valentine ⁓
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Ringrazio la talentuosa e simpaticissima malu-27 per avermi fatto questo meraviglioso Izuku ♥️ che rappresenta pienamente l'Alpha di questa storia, la sua anima e lo sguardo di ribellione che ho immaginato io
Grazie Dani ♥️ di vero cuore
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