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I'm always running from something

Tutti ti valutano per quello che appari.
Pochi comprendono quel che tu sei.
~ Niccoló Machiavelli ~

La porta si aprì cigolando e un'altra guardia entrò, una più corpulenta di quello che l'aveva condotto fuori poco prima, i suoi stivali duri risuonarono contro il pavimento di cemento. Un brivido freddo corse lungo la schiena di Izuku mentre stava in piedi, incurvato, al centro della cella, il collare elettrificato attorno al collo gli rendeva difficile abbassare di più la testa, anche di un centimetro, senza che la base metallica della museruola non cozzasse con stridore contro il metallo del collare.

Ansia.
L'ansia e il tormento l'avevano divorato per anni, sapendo che il Rifugio sarebbe stato la sua unica casa per anni – se non per il resto della sua miserabile vita.

Il suo cuore batteva forte per l'attesa, il sudore gli imperlava la fronte; anche se aveva vissuto momenti come questo altre centinaia o migliaia di volte, abituarsi era difficile.
Non sapevi mai se la guardia che ti liberava sarebbe stata gentile o se, invece, avresti trovato un beta sadico, pronto a darti qualche scossa solo per il proprio piacere personale.

Il suono di passi pesanti che si avvicinavano gli fece balzare il cuore in gola mentre si preparava per un altro giro di tortura.

«Coraggio, ragazzo.», grugnì la guardia, con voce profonda e una punta di allegria a dar tono a quelle parole: «Questo è il tuo giorno fortunato. Sei stato scelto.», e, così dicendo, agganciò con poca grazia il moschettone all'anello sul collare, una robusta longhina di cuoio arrotolata morbida nella sua mano. Il clack! secco lo fece trasalire e alzare il mento.

I grandi occhi verdi si spalancarono d'incredulità, e la speranza tremolava nelle loro profondità come una piccola fiamma. Aveva trascorso anni intrappolato in quel posto, con la sensazione viscida che non avrebbe mai più assaporato la libertà. E ora, finalmente, sembrava che stesse accadendo l'impossibile.

Mentre la guardia rimaneva nella stanza, lui colse l'odore di qualcosa che gli sembrava di non sentire da tempo, un ricordo perso nella sua memoria, una nostalgica fotografia dell'infanzia: il profumo appetitoso dei panini dolci appena sfornati, che gli ricordava tempi più felici, quando sua madre preparava dolci per lui, prima che tutto cambiasse. Quell'aroma delizioso suscitò qualcosa dentro di lui.
Qualcosa di calmo, di gioioso. Un sole caldo che scaldava le braccia scoperte, il fresco del vento sulle gambe nude. Un desiderio di gioia e di libertà che lo portò con il pensiero a tutto ciò che c'era oltre quella prigione, oltre tutto il male che aveva visto e subito.

Alzando lo sguardo, egli si ritrovò a fissare gli occhi vermigli di una donna, ritta in piedi sulla soglia. Il suo viso era austero e incorniciato da capelli biondo chiaro, che le davano un'aria di autorità e potere. Però quelle labbra si tirarono in un sorriso gentile, i suoi occhi si addolcirono appena un poco.

«Come ti chiami?» chiese gentilmente, la sua voce in netto contrasto con il tono rude della guardia.

«I1507.», rispose l'uomo, mentre strattonava il ragazzo verso la misteriosa signora.

Che fosse per lei? Era stato scelto da lei?

«Non l'ho mica chiesto a te, idiota.», berciò infastidita, agguantando il guinzaglio con un moto di stizza, prima di scostarlo ed avvicinarsi al ragazzo.

Lui la guardò: era più bassa, minuta ma dal cipiglio deciso. Gli occhi erano brillanti e scrutavano il suo volto con insistenza. «Lui. Deve rispondermi lui.».

«I1507, signora.», e abbassò lo sguardo, pentitosi subito di quell'appellativo, prima che lei gli afferrasse la maglia metallica della museruola con due dita e lo costringesse a guardarla di nuovo in faccia.

«Il tuo nome, ragazzo.», e mise in mostra i canini poco pronunciati mentre parlava, chiaro segno che avrebbe dovuto rispondere o ci sarebbero state delle conseguenze.

«I-Izuku.» balbettò, la sua voce appena al di sopra di un sussurro. Paura e curiosità combattevano dentro di lui e non poteva fare a meno di chiedersi chi fosse quella donna e perché lo avesse scelto.

Non appena la risposta sussurrata di Izuku lasciò le sue labbra, la donna annuì in segno di riconoscimento.

«Che nome...particolare.», e un lampo di simpatia le attraversò il viso mentre gesticolava verso la guardia, che grugnì e si avvicinò a Izuku con un paio di manette.

«Misura precauzionale per il trasporto.», mormorò l'omaccione, fissando il guinzaglio attorno al collo di Izuku e facendo scattare le manette ai suoi polsi. Il metallo freddo gli affondò nella pelle e gli fece fare una smorfia.
Lo odiava, perché si sentiva ingiustamente alla stregua di un criminale.

Perché la sua colpa, la sua condanna, era solo quella di essersi rivelato Alpha, un decennio prima.

«Siamo pronti?», chiese la donna, con voce gentile, ma ferma. Izuku annuì, deglutendo a fatica mentre prendeva un respiro profondo per calmarsi, camminando piano dietro la donna, seguiti dalla guardia a far loro da scorta.

Mentre camminavano attraverso i corridoi illuminati, il cuore di Izuku batteva all'impazzata e le domande turbinavano nella sua mente. Chi era questa donna? Cosa aveva significato essere scelto? Lottò per contenere la curiosità, concentrandosi sul suono dei loro passi che echeggiavano nei corridoi.

«Perdonami se sono venuta io a prenderti personalmente, Izuku.», disse all'improvviso la donna, rompendo il silenzio. «È stato mio figlio a sceglierti.». Izuku sentì un misto di confusione e nuova ansia montargli dentro.

«Su-suo figlio?», balbettò ancora, cercando di immaginare il ragazzo che lo avrebbe scelto tra tutti gli altri.

«Sì. Lo incontrerai tra poco. Io vi attenderò nella stanza di fianco.», rispose, il suo tono s'era fatto criptico. La menzione di suo figlio sembrava portare orgoglio e preoccupazione allo stesso tempo nei suoi occhi. Izuku lo poteva vedere bene quando le si affiancò, aumentando il passo. Mentre continuavano il viaggio verso la sala riunioni, Izuku non poté fare a meno di provare un crescente senso di trepidazione. L'ignoto gravava sulla sua mente da quando era finito lì dentro, ma cercò di farsi forza e di pensare positivamente.

Era stato scelto.
Contava questo no?

Gli avevano sempre detto che quando si era scelti era per sempre. Per avere un compagno, per uscire da quella prigione forzata... Così, forte di quell pensiero, Izuku camminava a fianco della donna misteriosa, continuando a guardarla con una strana intensità.

«Cosa vuoi chiedere, tesoro?».

Si bloccò di colpo e il guinzaglio si tese improvvisamente, con uno strattone.
La donna si voltò a guardarlo, un'espressione interrogativa in volto e quell'aroma di pane che si spandeva attorno a loro: «Stai bene?».

«Io-».

Si sforzò di aprire la bocca, di dirle che nessuno lo chiamava più così da quando era piccolo.
Che quella parola detta con una tale leggerezza e con tono tanto calmo e amorevole, l'aveva catapultato indietro di anni.

A quando le ginocchia sbucciate si curavano con un cerotto e un bacio sulla bua.
Strinse i denti, contrasse la mascella e si sforzò di sorridere sotto la museruola d'acciaio, gli occhi improvvisamente annacquati che facevano sfarfallare tutte le luci su cui il suo sguardo si posava.

«Potrebbe...».

«Cosa?».

«Potrebbe, sì... Insomma... Potrebbe ripeterlo... Per favore?», la voce era tesa, bassa da essere scarsamente udita, spezzata talvolta, la testa china, il guinzaglio meno teso.

Una mano calda si posò sulle sue, bloccate ai polsi da manette che gli tiravano la pelle.
«Che cosa, tesoro? Ripetere che cosa?», chiese la donna dolcemente.

«Te-tesoro...», abbozzò lui, stringendo gli occhi per evitare di piangere.

La donna gli sorrise mentre lo costringeva a guardarla: «Te lo dirò tutte le volte che vorrai, tesoro mio. Ora andiamo...», e tirò piano il guinzaglio, mentre il ragazzo la seguiva docilmente.

Gli occhi di Izuku scrutavano le pareti candide mentre camminavano, il cuore che gli batteva forte nel petto. I tacchi alti della donna producevano un suono ritmico attraverso lo stretto corridoio, in netto contrasto con il debole e appena udibile strascichio dei passi di Izuku. I suoi pensieri correvano, cercando di dare un senso alla situazione e a quel ragazzo sconosciuto che lo aveva scelto, chiedendosi, tra un singulto e un respiro più profondo, che tipo di persona potesse essere il figlio di quella signora bionda tanto gentile.

Sarebbe stato crudele e duro come le guardie o compassionevole come la madre che lo stava conducendo da lui?

Mentre si avvicinavano alla loro destinazione, Izuku provò a prepararsi per l'incontro imminente. Sapeva che la sua vita sarebbe cambiata radicalmente e poteva solo sperare che andasse per il meglio. Qualunque cosa fosse accaduta una volta uscito da quelle mura asettiche, era determinato ad affrontarlo con coraggio.

«Posso chiederle com'è suo figlio?», azzardò ad un tratto, con la voce un po' tremante. Non era riuscito a tenere a freno quella curiosità innata che lo distingueva, che portava le guardie a prenderlo a male parole sempre, ogni volta che lui eccedeva con le domande, con le richieste; ogni volta che finiva un libro e ne voleva subito un altro. Ora quella sete di conoscenza era tutta rivolta alla novità del momento, a quella persona che lo attendeva nella sala riunioni del Rifugio e non poteva fare a meno di voler sapere qualcosa in più su questa figura misteriosa che avrebbe potuto dargli una nuova posizione in questo mondo.

L'espressione della donna si oscurò e le labbra si assottigliarono in una linea tesa. «Mio figlio...», iniziò, con voce secca e fredda, «È un individuo unico. Lo capirai quando lo incontrerai.».

Un brivido s'incastonò sulla nuca del ragazzo e gli causò un fastidio quando udì quelle parole, e non poté fare a meno di sentire un'ondata di gelida paura travolgerlo. Aveva sperato in qualche rassicurazione o almeno in una piccola anteprima della persona che stava per incontrare, ma la risposta della donna non fece altro che farlo di nuovo sprofondare nell'ansia.

Arrivarono a una grande porta di legno a due battenti, un maniglione in ottone lucido e di forma tonda campeggiava al centro di essi come un decoro. La porta era sorvegliata da due guardie imponenti con le armi legate ai fianchi.

La donna si fermò davanti alle porte e si voltò verso Izuku, con un'espressione indecifrabile, ma il suo tono tradiva la sua apprensione: «Io mi devo fermare qui, Izuku.», disse semplicemente prima che le guardie aprissero le porte.

Gli occhi verdi del giovane si spalancarono per la sorpresa mentre lei lo conduceva appena oltre la soglia della stanza e lui osservava ciò che aveva davanti: era ammaliato dal sole timido che filtrava dalle grandi tende leggere alle vetrate, e che sembrava scaldare la stanza con le sue sfumature chiare. C'era un tavolo enorme, proprio al centro di quella sala così spaziosa che, forse, era anche più grande del loro refettorio.

Poi i suoi occhi si posarono sulle due figure al centro di quella stanza dalla moquette color caffè: c'era il direttore e poi, accanto a lui, un ragazzo, più o meno dell'età di Izuku, con la postura tesa e sulla difensiva, vestito con abiti dall'aspetto costoso che sembravano fuori posto in quel luogo desolato e così simile a una prigione.

Ma ciò che risaltò di più allo sguardo di Izuku furono i suoi occhi, illuminati da impertinenti raggi di sole sfuggiti alla barriera delle tende: due iridi rosso vivo, che a lui sembravano brillare con un'intensità ultraterrena.

Il giovane s'era voltato di scatto a udire il cigolio della porta; il suo sguardo si fissò su Izuku, stringendosi con sospetto mentre un lieve ringhio proveniva dalla sua gola. Izuku non poté fare a meno di notare il modo in cui quel ragazzo aveva arricciato il naso, come se fosse offeso dalla sua semplice presenza. O dal suo odore.

«Benvenuto, I1507.», proruppe il Direttore con un sorriso finto sul volto, mentre si avvicinava a Izuku e prendeva il guinzaglio dalle mani della donna bionda accanto a lui. «Vieni. Ti presento il tuo nuovo Omega: il signor Bakugō Katsuki. Salutalo come si deve.».

Deglutendo a fatica, Izuku si costrinse a fare un passo avanti, il guinzaglio e le manette gli ricordavano costantemente la sua condizione. Da dietro la costrizione della museruola si sforzò di sorridere: «Sa-Salve, signor Bakugō.», esitò, le parole che si legavano alla saliva e non volevano saperne di uscire se non con un tono talmente remissivo che si chiese se avessero percepito la sua paura nonostante la patina di gentilezza con cui aveva tentato di coprirla. Ma era ben consapevole che non poteva mentire all'olfatto e quel sentore di erba putrescente gli colpì il naso come un pugno.

Fece un passo indietro e il guinzaglio si tese leggermente, così abbassò il capo.
Un segno di rispetto e un modo per nascondere i propri denti che torturavano il labbro inferiore.

Il ringhio del ragazzo biondo di fronte a lui cessò, ma il suo sguardo penetrante rimase. C'era un'intensità nei suoi occhi di lava che fece rabbrividire Izuku involontariamente.
Era chiaro fin dall'inizio che questo incontro non sarebbe stato amichevole.

«Almeno li educate a dovere...», rispose seccamente il ragazzo, senza fare alcuno sforzo per nascondere il disprezzo nella sua voce. Incrociò le braccia sul petto, il suo linguaggio del corpo indicava chiaramente che vedeva Izuku come un'intrusione sgradita.

I pensieri di Izuku correvano, cercando disperatamente di comprendere tutta quella ostilità che emanava dal suo nuovo padrone.

Cosa aveva fatto per giustificare tanta animosità? Era la sua sola esistenza come Alpha ad aver offeso così profondamente quest'Omega, o c'era qualcosa di più?

La tensione nella stanza era palpabile, come una fitta nebbia che incombeva su tutti loro, eppure Izuku non poteva negare un strano senso di sollievo: dopo anni di prigionia, aveva finalmente avuto la possibilità di un nuovo inizio e, arrivato a quel punto, non gli importava di certo sapere quanto impegnativa potesse rivelarsi la sua relazione con il signor Bakugō. Lui era determinato a sfruttare al meglio questa opportunità. E forse, col tempo, avrebbe potuto trovare un modo per farsi apprezzare da lui.

Izuku fece del suo meglio per ignorare il disagio e concentrarsi sul Direttore in piedi accanto a lui, il cui aspetto freddo sembrò incrinarsi solo per un momento mentre guardava il giovane ragazzo biondo con uno strano luccichio negli occhi.

Con un sorriso malizioso, il Direttore si avvicinò al giovane in giacca e cravatta: «Beh, signor Bakugo...» fece le fusa, con la voce grondante di viscidume: «Sappiamo tutti degli Alpha e dei loro... talenti speciali. Questo giovanotto qui credo sia ciò che fa al caso suo.»

Lo stomaco di Izuku si rivoltò mentre cercava di reprimere il suo disgusto per quello sguardo che l'uomo gli rivolse, provando a nascondere la sua repulsione per quell'uscita inappropriata, ma sapeva che il signor Bakugō poteva percepire fin troppo chiaramente il suo disastro dal modo in cui il suo corpo si irrigidiva e i suoi occhi sfrecciavano per sfuggire altrove.

L'espressione di Katsuki si indurì mentre fissava il Direttore, i suoi occhi bruciavano di intensa furia. Le sue labbra si curvarono in un sorrisetto minaccioso mentre parlava a denti stretti, trattenendo a malapena la sua rabbia ribollente. «Che cosa stai insinuando esattamente, Direttore?». Le sue parole erano intrise di veleno e di palese disprezzo per l'uomo davanti a lui.

E a Izuku parve strano non percepire alcun odore acre, nessuna fragranza infastidita provenire da quel corpo magro e teso.
Sorridendo, il Direttore fece una piccola risatina imbarazzata: «Oh, non volevo insinuare nulla, signor Bakugō. Mi sono solo giunte alcune voci, naturalmente infondate... Sa', gli Alpha sono famosi per essere abili a leggere le situazioni e comportarsi a dovere. Questo ragazzotto qui è stato ben istruito ed è particolarmente bravo in questo, vero?», e gli diede una poderosa pacca sulla spalla che lo sbilanciò di poco. Il volto di Izuku arrossì per l'imbarazzo quando colse a scoppio ritardato l'insinuazione, sentendosi allo stesso tempo umiliato e infuriato. Bakugō fece uno sbuffo irritato e cercò di stare al gioco, pur con riluttanza. «Se è vero, allora il nostro merdoso Alpha qui non dovrebbe avere problemi a percepire quanto io non voglia trovarmi qui in questo momento.»

Preso alla sprovvista dall'improvvisa attenzione, Izuku inciampò nelle proprie parole, ritrovandosi a balbettare: «Su-suppongo che potrei essere u-utile...». Il peso del suo collare sembrava un marchio ardente sulla sua pelle, un ricordo costante della sua sottomissione. Tentò di reprimere la paura e la rabbia dietro un sorriso sicuro.

Katsuki alzò un sopracciglio.
Cosa pensava di fare quella merda? Metterlo alla prova? In difficoltà?

Gli occhi del biondo si strinsero in fessure pericolose, un'intensità ardente bruciava dietro di loro. La sua bocca si contorse in un sorrisetto minaccioso mentre parlava a denti stretti, piccoli canini candidi spuntarono dalle labbra sottili: «Utile? Utile in cosa? Come animale da monta?», sbottò, infastidito, le parole che grondavano di palpabile disprezzo.

La mente di Izuku correva mentre vedeva il ragazzo arrivare davanti a lui con lunghe falcate, cercando di inventare qualcosa di intelligente da dire e abbastanza pungente per potergli tener testa. Ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era l'umiliazione che continuava a subire e sopportare per mano di Omega arroganti come lui.

La provocazione del biondo non fece altro che alimentare il fuoco che ardeva dentro di lui, facendogli venire voglia di ribellarsi e azzannarlo alla gola.
E poi c'erano i suoi occhi.
I suoi occhi di lava liquida. Cazzo.

Izuku strinse i pugni, sentendo la rabbia ribollire dentro di lui come in un calderone mentre Bakugō prendeva bruscamente il guinzaglio dalle mani del Direttore. Sembrava che tutto il suo corpo vibrasse di ostilità, irradiandosi da lui in onde che pulsaravano a tempo con il suo cuore che batteva forte.

«Vai avanti, schifoso Alpha. In cosa uno scarto come te potrebbe essermi utile?», sogghignò Katsuki, fronteggiando il ragazzo dai capelli verdi, sfidandolo apertamente.

Con uno sguardo determinato, Izuku raddrizzò la schiena e i suoi occhi verdi incontrarono lo sguardo di sfida di colui che sarebbe dovuto essere il suo nuovo padrone e vacillò, ricordandosi di essere più pacato, di trattenersi, o non sarebbe più uscito da quel maledetto posto.
Ma la sua anima si rifiutava di lasciarsi spezzare così. Deglutendo a fatica, Izuku concentrò tutte le sue energie nel cercare di trovare una risposta spiritosa. La sua mente correva mentre cercava di trovare le parole perfette, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era liberarsi da quella prigione e mostrare a Katsuki chi deteneva veramente il potere.
I suoi occhi brillarono e si assottigliarono con malizia, con un sorrisetto giocoso sulle labbra. «A riempirti.».

La sua voce era bassa e seducente, causando un rossore sulle guance di Katsuki e una contrazione nel suo ventre, mentre si muoveva di un passo indietro, a disagio per quell'affermazione.

L'espressione di Katsuki cambiò di nuovo appena ebbe messo una distanza di nuovo accettabile tra loro, una piccola traccia di divertimento guizzò nei suoi occhi. «Non male, Alpha. Ma, a quanto vedo, non ti hanno insegnato tutte le buone maniere.» e lo strattonò con forza per il guinzaglio, sbilanciandolo e obbligandolo a inginocchiarsi di fronte a lui.

Izuku non poté fare a meno di provare un senso di soddisfazione per la reazione agitata di Katsuki: era sempre stato lui a ricevere le provocazioni e le umiliazioni dei beta e degli Omega che lavoravano in quella struttura ed era piacevole quella breve e intensa sensazione di potere che aveva provato. Effimera, ma i cui strascichi ancora persistevano, nonostante l'umiliazione di doversi inginocchiare davanti a un ragazzo arrogante e maleducato.
Ma obbedì e chinò il capo al suo biglietto di sola andata per l'esterno.

«Voi vi credete di essere tanto in gamba, eh?», e Izuku sentì un brivido corrergli lungo la schiena alle parole del signor Bakugō, pronunciate con voce tanto graffiata da fargli stridere persino il cuore, sia per la paura che per l'eccitazione.

Lo osservò a lungo, soffermandosi su quei lineamenti così simili a quelli di sua madre. Peccato che il carattere e il buon cuore non l'avesse ereditato da lei.

«Io sono in gamba.», gli sfuggì dalle labbra quasi senza rendersene conto, rapito da quel sorriso accattivante, da quel canino che si appoggiava sul labbro inferiore e lo tirava un poco.

Gli occhi del biondo brillarono di interesse, le sue labbra si curvarono in un sorriso malevolo. «Oh, sono più che disposto a metterti alla prova, Alpha. Ma prima dovrai imparare a morderti la lingua e tornare ad essere così docile come ti hanno descritto.», sibilò, lanciando un'occhiata irritata al Direttore e, senza preavviso, il collare rilasciò piccole scosse continue, a bassa intensità, che lasciarono Izuku intontito, mentre cercava di allentare la stretta di quell'aggeggio infernale.

«Ricordati chi comanda.», continuò poi il biondo, riponendo in tasca il telecomando, che gli aveva mostrato con aria di sfida e di superiorità. «Ora, Direttore...» riprese il giovane, ritrovando il suo contegno serio: «Non lasciamoci trasportare troppo. Abbiamo molta strada da fare prima che la questione sia risolta e abbiamo ancora molto da discutere e sistemare.». Ed entrambi si allontanarono verso il tavolo, sedendosi a compilare documenti, lasciando Izuku accartocciato su se stesso, le mani a collo per cercare sollievo da quel collare di acciaio che a lui sembrava solo una tortura mascherata da misura contenitiva precauzionale.

Quando finalmente l'Alpha alzò il capo e li osservò, gli occhi gli si velarono di lacrime e il cuore sembrò voler smettere di battere, perché la speranza di una vita migliore era stata fulminata a 10.000 volt pochi minuti dopo aver assaporato quella finta libertà.

I can't look away, you're like a movie that I love to hate
I fantasize your demise
I should look away because I know you're never gonna change I keep thinking
This time, the end will be different, but it isn't
I keep thinking (keep thinking)
The end is gonna be different, but you keep on winning
Big man (ooh), little dignity
Paramore

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