Dandelion
Tutti noi pensiamo ad un soffione come al fiore più fragile che dura poco ed è strappato dal vento, eppure nella sua fragilità la forza della vita lo spinge a nascere a crescere e a fiorire: noi dovremmo osservare e imparare!
⁓ Enzo Bianchi ⁓
Una singola lacrima scese lungo la guancia piena di lentiggini, mentre Izuku rimaneva in ginocchio, il freddo del pavimento sotto di lui filtrava attraverso la sua pelle e pareva gelare le sue ossa. Il suono della penna che grattava sulla carta riempì le orecchie di Izuku come uno stridio fastidioso; il signor Bakugō e il Direttore del Rifugio completavano i documenti che avrebbero cambiato per sempre la sua vita. Aveva spesso pensato che la libertà sarebbe stata dolce, ma mentre lanciava occhiate furtive a quel ragazzo biondo, seduto rigidamente sulla costosa sedia in pelle, si rese conto che stava in realtà solo scambiando una gabbia con un'altra.
Ma scosse le spalle e abbassò di più la testa: il suo cuore e la sua anima soffrivano di solitudine e desideravano fuggire da quel mondo e dalla crudeltà che vi aveva conosciuto quasi quanto il suo corpo stanco e poco importava se, per ottenere ciò che voleva, avrebbe dovuto sopportare un borioso arrogante.
Aveva sperimentato la cattiveria gratuita di quelli che dovevano accudirlo. Perfino sua madre gli aveva voltato le spalle. Cosa poteva succedere di peggio?
«Va bene. Dovrebbe bastare, signor Bakugō.» disse il Direttore con un sorriso falso e la voce frizzante mentre porgeva il guinzaglio al giovane che gli si sedeva di fronte. «Per legge, le devo ricordare che da ora è responsabile dell'Alpha I1507.».
«Sì, sì. Come cazzo ti pare.», rispose bruscamente Katsuki, lanciando a malapena uno sguardo a Izuku prima di strappare dalle mani dell'uomo il guinzaglio e, con uno strattone energico, tirò Izuku in piedi, un movimento improvviso che fece quasi inciampare il giovane.
La voce di Izuku si alzò in un lamento, mentre portava le mani ammanettate al collo, per tentare di allargare inutilmente quella costrizione di metallo: «Fa' piano!», mentre i suoi occhi color smeraldo brillavano di lacrime non versate.
«Sta' zitto!», lo rimbeccò Katsuki con un basso ringhio, quasi trascinandolo fuori dalla stanza. La loro relazione si rivelava già dolorosamente tesa agli occhi vermigli della donna che li attendeva in corridoio. Il suo volto si indurì mentre si avvicinava a suo figlio, con i pugni chiusi lungo i fianchi. «Cosa ti ho detto? Vedi di trattarlo bene!», berciò, strattonandogli il braccio. Quando si voltò verso il povero Izuku, la sua voce si addolcì e allungò la mano per dargli una pacca gentile sulla spalla. «Benvenuto nella nostra famiglia, tesoro. Io sono Mitsuki.», disse con un sorriso caloroso prima di voltarsi verso suo figlio e spingerlo con una manata per fare in modo che si schiodasse da lì: «E non pensare che sarò indulgente con te, Katsuki!».
«Strega.»
«E vedi di portarmi rispetto!»
In tutto quello sbraitare osservando Katsuki allontanarsi, Izuku si sentiva inquieto, tanto che neppure la lieve carezza di Mitsuki sul suo braccio poteva calmare la tempesta che si stava preparando nel suo cuore.
La sua mente era piena di insicurezza, chiedendosi come avrebbe dovuto essere la sua prossima mossa.
Davanti a loro si stendeva di nuovo il corridoio sterile, freddo e poco invitante. Il cuore di Izuku batteva forte mentre camminava accanto alla donna, Katsuki davanti a loro di almeno una decina di passi, borbottante come una pentola in ebollizione e con il guinzaglio teso tra di loro. Percepiva la tensione pesante nell'aria, nonostante le dolci e leggere coccole che sentiva sul braccio e sulla scapola.
«Ascolta, Izuku...», disse in un soffio Mitsuki, con voce gentile ma ferma. «So che questo è un grande cambiamento per te, dopo tutti questi anni. E so che non è sempre facile per voi Alpha abituarsi a una nuova condizione... Abbiamo deciso che tu e Kasuki resterete per un po'a casa con noi, per aiutarti a adattarti alla tua nuova vita.».
Non era un segreto: per un Omega stabilire un legame affettivo con un Alpha adottato era un processo molto lento, fatto di pazienza e fiducia reciproca. E Mitsuki sapeva bene che suo figlio aveva sbagliato in partenza su tutti i fronti, tanto che si sentì in dovere di rimediare, in un qualche modo.
Le parole di Izuku erano appena udibili mentre mormorava i suoi ringraziamenti, le guance arrossate con un misto di imbarazzo e gratitudine. Poteva vedere la genuina preoccupazione negli occhi di quella donna gentile, un raggio di luce in mezzo all'oscurità che lo avvolgeva, una piccola misura di conforto in mezzo al peso schiacciante dell'incertezza che minacciava di soffocarlo.
Katsuki sogghignò, alzando gli occhi al cielo con disgusto, scuotendo la testa: «Mi sto pentendo di aver scelto un Alpha tanto patetico.», mormorò, trasudando disprezzo da ogni sillaba.
«Katsuki!», lo rimproverò sua madre, la voce intrisa di disappunto: «Come osi parlare a qualcuno in quel modo? Al tuo nuovo partner, poi?», i suoi occhi lampeggiarono di rabbia per le parole irrispettose di suo figlio, una nota fastidiosa di bruciato li accompagnava.
Izuku si morse il labbro e strinse forte i pugni mentre camminava accanto a quelle due figure bionde che continuavano a litigare, cercando di non dare peso alle parole crudeli che erano state lanciate contro di lui. Le parole del suo nuovo padrone, di colui che alla fine avrebbe dovuto prendersi cura di lui.
Parole che erano come pugnali scagliati contro la sua già fragile autostima.
Non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione; sapeva di non appartenere più a nulla, di essere incapace di avere un rapporto umano dignitoso dopo anni di estrema solitudine. La confusione che i due stavano facendo si intensificò man mano che si avvicinavano all'uscita.
Avrebbe mai trovato un posto in cui integrarsi o era destinato a rimanere sempre un emarginato? Quel senso di profonda incertezza lo rodeva dall'interno, facendogli rivoltare lo stomaco per l'ansia.
Uscendo alla luce del giorno, Izuku strizzò gli occhi per contrastare la luminosità improvvisa.
Nel piazzale, un uomo stava caricando una vecchia valigia su un'auto elegante, canticchiando tra sé. Vedendo Katsuki e sua madre avvicinarsi, fece un sorriso caloroso, rivelando una sorprendente somiglianza con il giovane ragazzo.
«Questo...?» Izuku rallentò, per osservare meglio l'uomo che aveva stuzzicato la sua curiosità.
«È mio marito, il padre di questo maleducato!», confermò la donna, con un tono allegro, per nulla paragonabile ai ringhi bassi che aveva rivolto a suo figlio fino a poco tempo prima e che fece mentre gli tirava una pacca decisa sulla nuca. Izuku osservò attentamente l'uomo dai capelli castani, notando la gentilezza dietro il suo sorriso e il modo tenero con cui sosteneva lo sguardo di sua moglie mentre lei gli si avvicinava. Nonostante l'inizio difficile con Katsuki, forse c'era speranza per un futuro migliore all'interno di quella famiglia.
La luce del sole si rifletteva sull'esterno scuro dell'auto. Izuku esitò un attimo prima di salire sul veicolo, notando il contegno allegro dell'uomo mentre chiudeva il bagagliaio. Il sorriso dell'uomo era contagioso, e Izuku non poté fare a meno di ricambiarlo con uno timido dei suoi, prima di prendere posto sul sedile posteriore.
«Allacciate le cinture e partiamo.», incitò gentilmente la donna, posando la mano sulla spalla di Izuku in modo rassicurante, mentre con una piccola chiave lo liberava dalle manette che, fino a quel momento, avevano stretto i polsi del ragazzo. «Anche tu, tesoro.», e si allungò verso il finestrino per aiutarlo a sistemare la cintura di sicurezza.
Il viaggio in macchina fu pressoché silenzioso, a parte il ronzio sommesso del motore e il fruscio occasionale dei vestiti quando qualcuno si spostava sul sedile o qualche chiacchiera sussurrata tra Katsuki (totalmente disinteressato che guardava fuori dal finestrino laterale) e suo padre, che cercava di fare di tutto per far ragionare quella specie di despota dai vestiti eleganti che aveva come figlio. Izuku si ritrovò comodamente seduto tra la donna e il finestrino, le palpebre sempre più pesanti mentre la stanchezza dovuta agli eventi della mattinata gravava su di lui. Si appoggiò al vetro fresco, lasciando che le delicate vibrazioni dell'auto lo cullassero in un sonno agitato per una mezz'ora buona o forse qualcosa di più.
«Oi! Alpha di merda! Svegliati. Siamo arrivati.».
La voce burbera di Katsuki penetrò nei sogni di Izuku, riportandolo alla realtà.
Scacciando via il sonno, Izuku si mise a sedere più dritto e guardò fuori dalla finestra. Davanti a loro si ergeva una moderna casa a due piani, con mattoni faccia vista chiari che decoravano tutta la struttura e grandi finestroni che brillavano al sole del tardo mattino. Il giardino era mantenuto in modo impeccabile, con fiori vivaci lungo il vialetto chiaro che conduceva alla porta d'ingresso. Era ben lontano dall'ambiente sterile del Rifugio. O del suo vecchio appartamento.
Avrebbe potuto davvero trovare conforto tra quelle mura?
«Muovi quel culo di merda!», sbottò Katsuki dopo avergli aperto la portiera, infastidito, allentando poi la presa sul guinzaglio per dirigersi verso la casa.
«Katsuki! Cosa ti ho detto?!» lo rimproverò la donna, mettendo una mano confortante sul braccio di Izuku, prima di scendere dall'auto. «Non ti preoccupare, sai? Prenditi il tuo tempo, Izuku.».
«Tch!».
«Grazie, Mitsuki.», sussurrò Izuku, stringendo una mano sul petto per controllare il suo cuore batteva forte, osservando il suo nuovo ambiente, paura e speranza che lottavano per il dominio dentro di lui.
I suoi grandi occhi verdi acquosi scrutarono ogni dettaglio della facciata della casa e, mentre si avvicinava esitante alla porta, non poteva fare a meno di chiedersi se quello fosse l'inizio di un nuovo capitolo della sua vita, o semplicemente la continuazione della solitudine e dell'isolamento che lo avevano afflitto fino a quel momento.
Ed era una domanda a cui solo il tempo avrebbe saputo rispondere.
«Benvenuto nella tua nuova casa.», disse l'uomo dai capelli castani, in piedi accanto a lui, con un sorriso gentile sulle labbra. «Faremo del nostro meglio per aiutarti ad adattarti.».
La porta d'ingresso si socchiuse, lasciando Izuku da solo con l'uomo sul vialetto lastricato. Il suono ovattato di Katsuki e sua madre che litigavano filtrava attraverso l'ingresso e le finestre lasciate semi-aperte, le loro voci si fondevano con il dolce fruscio delle foglie degli alberi del giardino nella brezza calda.
«Masaru.», disse l'uomo, tendendo una mano verso Izuku, il sorriso caldo e invitante.
Izuku esitò, lanciando uno sguardo diffidente alla porta socchiusa prima di accettare timidamente la stretta di mano. «Izuku.», mormorò, la sua voce appena udibile nel frastuono della discussione all'interno.
«Piacere di conoscerti, Izuku.» disse Masaru dolcemente, lasciando la presa proprio mentre Izuku sentiva un improvviso strattone al colletto.
Katsuki abbaiò dalla soglia, il viso contratto in una smorfia. Il comando rabbioso squarciò l'aria come una frusta, strappando Izuku dal suo breve momento di connessione con Masaru. «Muovi il culo, stronzo!»
«Ka-Katsuki, per favore!», balbettò Masaru, mentre il cuore di Izuku aveva ripreso a battere sempre più intensamente mentre faceva un passo verso l'interno, strattonato violentemente. Era una sensazione strana, perché non poteva fare a meno di sentirsi di nuovo un animale in gabbia, intrappolato tra l'ira dell'Omega che aveva di fronte e la gentilezza di quei genitori amorevoli, tanto che le domande turbinavano di nuovo nella sua testa: quella nuova casa gli avrebbe offerto stabilità o sarebbe stato fatto a pezzi, trascinato da queste forze opposte che lo stavano già iniziando a dilaniare?
La voce di Masaru grondava forzata rassicurazione mentre posava una mano pesante sulla spalla di Izuku. «Non importa cosa dice Katsuki.» incitò, con un senso di urgenza nel suo tono. «Non è... Non è cattivo.».
Ma le parole erano sospese nell'aria come un fragile seme di dente di leone, vulnerabile alla minima brezza, come se la verità fosse troppo difficile da articolare per Masaru. Ma a Izuku sembravano più come una bomba a orologeria, che faceva il conto alla rovescia finché la vera natura di Katsuki non sarebbe esplosa. E questa volta il peso della mano di Masaru sembrava soffocante, intrappolandolo in una rete di false speranze.
Con un respiro profondo, Izuku raccolse il suo coraggio e annuì, preparandosi per qualunque cosa ci fosse oltre quella soglia. La sua mano tremante raggiunse la maniglia, il freddo metallo gli ricordò che tutto ciò era reale: un nuovo inizio, nel bene e nel male. Quando entrò e si chiuse la porta alle spalle, fu sopraffatto da una cacofonia di voci forti e arrabbiate, insieme a un profumo di pane dolce, zucchero e cannella con qualcosa di più speziato ed esotico, tanto da fargli chiudere gli occhi e arricciare il naso in risposta a quel fastidioso odore.
Il clack! secco del moschettone che si stava chiudendo lo fece sussultare e riaprire gli occhi giusto in tempo per vedere Masaru arrotolare quel guinzaglio e posarlo ordinatamente sul mobile dell'ingresso, accanto allo svuota-tasche.
Di nuovo quel caldo sorriso spuntò sotto i baffi scuri come le iridi che, dietro gli occhiali, lo guardavano con una punta di compassione che gli fece stringere i pugni per contenere il fastidio.
«Vieni. Ti mostro la tua stanza.».
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Il sole proiettava una luce calda nella nuova stanza di Izuku. Sebbene piccola, era sistemata con cura: un letto comodo, una scrivania semplice e un armadio contenuto e ben organizzato contro una parete. Gli dava un piacevole senso di intimità e un po' ricordava la sua vecchia camera da letto, un posto che sembrava perso nei meandri del tempo e dei suoi ricordi, una vita fa.
Lo sguardo di smeraldo del ragazzo si spostò sulla vecchia valigia rovinata che giaceva aperta ai suoi piedi, vomitando una raccolta di ricordi che avrebbe preferito tenere nascosti. Vestiti che gli erano diventati troppo piccoli, magliette che non raggiungevano più la sua corporatura ormai allampanata e pantaloni che erano diventati troppo corti e lo stringevano nei posti sbagliati. Ogni oggetto evocava ricordi di un tempo in cui era solo un ragazzino ingenuo, abbandonato al freddo abbraccio del Rifugio alla tenera età di tredici anni.
Vestiti che non aveva mai più indossato.
«Ah, questi... li ricordo...», sussurrò, con la voce rotta, inspirando l'odore della sua vecchia vita, il lieve accenno del profumo di sua madre, che restava attaccato al tessuto, ed era tutto insopportabile, tanto che Izuku cadde in ginocchio, seppellendo il viso nel morbido tessuto.
La sua vista si offuscò mentre le lacrime gli riempivano gli occhi e, nonostante i suoi migliori sforzi, iniziarono a fuoriuscire, rigandogli le guance. La museruola attorno al viso gli impediva di soffiarsi il naso, aggiungendo un ulteriore strato di disagio al suo già fragile stato emotivo. «Stupido...coso!», mormorò ancora, cercando di asciugarsi le lacrime con il dorso delle dita. Il suo cuore soffriva di un dolore che era stato represso a lungo, e non importava quanto ci provasse: la diga si era rotta e ogni grammo di dolore stava emergendo, senza più riuscire a fermare il torrente di lacrime che continuava a scorrere dai suoi occhi.
Mentre Izuku sedeva sul pavimento, abbracciando i suoi vecchi vestiti al petto, inspirandone l'odore di chiuso e di the verde e lime, desiderava più che mai una possibilità di vivere veramente ed essere se stesso senza i vincoli imposti dalla società e dalle paure che quella aveva necessariamente portato. Desiderava la libertà di vivere un'adolescenza che gli era stata completamente negata.
«Dai, rimettiti in sesto.», si disse sottovoce, ma gli occhi continuavano a tradire i suoi tentativi di compostezza.
Quella stanza, quella nuova vita, non erano sue. Non era quello che aveva immaginato per se stesso. Aveva altri sogni da bambino, che erano stati infranti e non si potevano più recuperare, perché dieci anni di prigionia erano tanti, perfino per un criminale.
Ogni tanto dimenticava che gli Alpha venivano catalogati come pericolosi e che i periodi di permanenza nei rifugi potevano essere anche più lunghi, se avevi la sfortuna di nascere con odori troppo particolari o fastidiosi, o se la genetica non ti aveva benedetto con una struttura robusta da attirare gli occhi di qualche Omega voglioso.
Inspirando, tremante, sbatté le palpebre per cacciare le lacrime. Non poteva crogiolarsi nell'autocommiserazione per sempre. Aveva una nuova vita a cui adattarsi adesso, una vita con quel ragazzo biondo di nome Katsuki.
Una vita che non aveva mai chiesto, ma che non aveva altra scelta che sopportare.
Distratto dalla propria angoscia, Izuku non si era nemmeno accorto dell'arrivo dell'altro ragazzo, accompagnato da uno sbuffo spazientito.
Katsuki lasciò cadere con tonfo dolce una pila di vestiti sul letto, accompagnandola al tono sprezzante della voce. «Ecco.», borbottò, senza preoccuparsi di guardare Izuku. «Fatti una doccia e vedi di cambiarti.».
Izuku non poteva fare a meno di sussultare davanti ai modi bruschi di Katsuki, sentendosi esposto e vulnerabile in quell'ambiente sconosciuto; così tirò su col naso, nascondendo di più la faccia nel maglioncino chiaro che stava stringendo tra le mani, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Diede una rapida occhiata al letto. «Grazie.» sussurrò, anche se la sua gratitudine era attutita dalla museruola che gli stringeva ancora il viso e al tessuto con cui si stava proteggendo, con quell'evanescente profumo di casa che riusciva comunque a calmarlo anche dopo tutto quel tempo.
Per un momento, sembrò che non avrebbe risposto, che avrebbe semplicemente lasciato Izuku a crogiolarsi nella sua miseria. Ma chiaramente non era impressionato dal tentativo di gentilezza di Izuku. «Ringrazia mia madre.» rispose, girandosi e dirigendosi verso la porta.
«Katsuki...», iniziò Masaru, appostato sulla soglia, lo sguardo severo fisso su suo figlio. La sua postura era rigida e le braccia incrociate sul petto: una chiara indicazione che non aveva intenzione di lasciare che Katsuki se ne andasse senza affrontare la situazione, ma anzi rimproverandolo con un tono di disapprovazione: «Non credi che ne abbia già passate abbastanza?».
Katsuki sbuffò, alzando gli occhi al cielo in segno di sfida, incrociando le braccia sul petto, stringendo gli occhi mentre osservava il padre. Cos'era quella sensazione? Cos'era quella cosa strana che sentiva alla bocca dello stomaco che gli stava urlando di voltarsi verso quel miserabile Alpha e guardarlo?
Perché il suo orgoglio ora cedeva e gli faceva muovere i piedi e portare l'attenzione verso quel grumo di vestiti logori e muscoli che era accasciato sul pavimento?
Masaru osservò il figlio e la sua espressione si addolcì leggermente mentre notava il tentativo di mostrare una parvenza di compassione. Sapeva che Katsuki stava lottando su come gestire la situazione, diviso tra il suo bisogno innato di affermare il suo dominio e la comprensione che Izuku aveva bisogno di sostegno piuttosto che di ulteriore umiliazione.
«Quelli sono per te.» disse Katsuki in tono burbero, con le braccia ancora incrociate sul petto. «Puoi usarli quando ti sarai dato una ripulita.», e fece una pausa, inclinando la testa verso la porta, indicando dall'altra parte del corridoio. «Il bagno è laggiù. Troverai tutto quello che ti serve.».
«Grazie.» sussurrò Izuku ancora una volta, strofinando il vecchio maglioncino tra le dita. Il cuore gli martellava nel petto mentre cercava di elaborare l'improvviso cambiamento di atmosfera.
«Come ti pare.», borbottò Katsuki, stringendo di più le braccia al petto. Con un movimento del capo indicò la valigia aperta. «Scegli solo quello che vuoi tenere da quel casino lì dentro. Il resto lo butteremo via perché non credo che tu ci stia più. Domani ti compreremo dei vestiti della tua taglia.».
Izuku abbassò lo sguardo sui suoi vestiti piccoli e rovinati dal tempo, i ricordi della sua vita passata aggrappati ad ogni trama, ad ogni fantasia, ad ogni bottone o cerniera.... Il pensiero di scartarli era doloroso, ma sapeva che Katsuki aveva ragione: non gli erano più utili.
Mentre esaminava il contenuto della valigia, Izuku non poté fare a meno di lasciare vagare la mente. Perché Katsuki, che prima era stato così duro e prepotente, all'improvviso avrebbe dovuto mostrargli tanta considerazione? È stato semplicemente a causa dell'intervento di suo padre? O c'era qualcosa di più sotto il comportamento abrasivo dell'Omega?
«Smettila di sognare ad occhi aperti e sbrigati.» sbottò Katsuki, riportando i pensieri di Izuku al presente.
Mentre si rialzava da terra, gli occhi di Izuku guizzarono verso la pila di vestiti ben piegati e l'asciugamano che Katsuki aveva appena posato sul letto, in netto contrasto con gli oggetti logori e polverosi che fuoriuscivano dalla sua vecchia valigia. Il profumo del bucato fresco portava un senso di conforto in mezzo al caos.
Mentre Katsuki cominciava a lasciare la stanza, Masaru tossì apertamente, bloccandogli la strada di nuovo. «Katsuki.», disse severamente, «Non dimentichi qualcosa?».
«Te l'ho già detto. Non ho intenzione di farlo.».
«Non è più al rifugio. E ha bisogno di lavarsi senza costrizioni. Come ti sentiresti se toccasse a te?».
Katsuki sbuffò. Perché quella maledetta morsa alla bocca dello stomaco gli stava perfino facendo passare la fame.
Non bastava aver dovuto portare a casa quell'animale? Okay, ne avevano ben che discusso per tutti i giorni precedenti e lui era fermo nelle sue convinzioni. Ma quel maledetto di suo padre sapeva che tasti premere e quella cosa che stava provando sapeva tanto da senso di colpa...
Si voltò verso Izuku: «Abbassati, Alpha.», ordinò, tirando fuori dalla tasca un piccolo mazzo di chiavi. In quel momento, i sentimenti di speranza di Izuku gli fecero avvampare le guance.
«Eccomi.» mormorò Izuku sottovoce, chinandosi verso il biondo con obbedienza.
When I was a little girl, my mama said to me
"What's your favorite flower, darling? I'll get you the seed"
I said, "Dandelion, dandelion! That one's so pretty!"
She said, "Child, that one's not a flower, that one's just a weed"
[...]
Then my fragile flower turned into a ball of gray
So I took a breath and made a wish and blew them all away
⁓ Gabbie Hanna ⁓
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